I SUOI DUE DESIDERI

Capitolo 1

Jasmine

 

Jasmine era lì, a fissare la porta della sua camera, con il cuore che batteva come un tamburo. Stava iniziando a sudare, le gambe tremavano. Fin da quando era una bambina, indossare il suo abito elegante significava che sua madre le avrebbe detto che lei era la sua piccola bambola di ceramica. A Jasmine non piaceva quando sua madre sottolineava quanto fosse cinese e non le ricordasse invece suo padre arabo, il sultano. Ma il suo abito tradizionale cinese era decisamente utile quel giorno.

Perché proprio quel giorno? Perché era il giorno in cui Jasmine avrebbe finalmente messo in atto la sua fuga. La sua vita da principessa era stata una tortura. Dal giorno in cui era nata, regole restrittive avevano governato ogni suo movimento. Aveva addirittura un istruttore che le insegnava come avrebbe dovuto camminare da vera principessa.

In più, ogni giorno per lei era uguale. Si svegliava, le sue ancelle entravano nella sua stanza, la conducevano in bagno, la facevano fare il bagno e la vestivano. Vestita, veniva poi condotta alla sala per la colazione dove mangiava da sola. Da lì, riceveva lezioni quotidiane. Letteratura cinese, letteratura araba, arte e musica. Ma anche nella lezione di musica, non poteva scegliere lo strumento.

Voleva imparare a suonare il pipa dopo aver visto una donna nella loro orchestra reale che lo suonava. Quell’immagine aveva risvegliato la sua percezione del mondo. Mai nella sua vita aveva immaginato che una donna potesse suonare il pipa. E il modo in cui lo teneva, era come se stesse abbracciando un amante.

Jasmine era certa che nessun altro se ne fosse accorto, ma aveva notato come il volto della suonatrice di pipa si contorceva di piacere. Aveva riconosciuto l’espressione repressa della musicista dalla propria quando aveva scoperto cosa succedeva quando si toccava tra le gambe. La musicista provava estasi mentre suonava il suo strumento, e Jasmine lo desiderava per questo.

 Ahimè, quello non era lo strumento per la nobiltà, le disse l’istruttore. Doveva suonare il guzheng. Era tradizione, aveva detto l’istruttore. E quando Jasmine si lamentò con sua madre, la donna le parlò delle tradizioni cinesi e poi prese le difese dell’istruttore.

Quell’incidente, in particolare, fece sentire Jasmine completamente impotente, come tutto il resto della sua vita. Ma c’era di peggio: il fatto che ogni momento della sua vita fosse manovrato come una marionetta. C’ era la regola che governava tutte le principesse del suo lignaggio: era che nessuno, nemmeno le sue guardie, i suoi istruttori, o gli inviati stranieri, era autorizzato a guardarla negli occhi.

Per i vent’anni della sua vita, gli unici occhi nei quali aveva guardato erano quelli di suo padre, sua madre, la sua tata d’infanzia, e il Visir. Ma, anche se poteva farlo, suo padre la guardava a stento. Raramente erano nella stessa stanza contemporaneamente. Vedeva sua madre più spesso, ma anche lei era impegnata. E, ogni volta che era abbastanza sfortunata da essere lasciata da sola con il consigliere mostruoso di suo padre, il Visir, lui le diceva le cose più vili che potesse immaginare.

Jasmine anelava con tutto il cuore di essere vista da un altro essere umano. Lo desiderava tanto che aveva considerato di salire sulla cima del palazzo e lanciarsi giù. Sarebbe stata vista in quel caso, tutta la città l’avrebbe fatto.

Ma quello che invece aveva deciso di fare era qualcosa di più grande. In una mossa avrebbe ottenuto tutto ciò che aveva sempre voluto, ma anche una vendetta contro i suoi genitori per ogni atto crudele che le avevano mai fatto patire. Jasmine lo aveva pianificato per mesi. Ci aveva pensato per anni. E dopo aver messo in atto gli ultimi preparativi il giorno prima, quello era il giorno in cui l’avrebbe messo in pratica; sarebbe fuggita.

Tuttavia, Jasmine sapeva che, come principessa, fuggire dal palazzo non sarebbe stato facile. Anche se nessuno la guardava mai negli occhi, sapeva che tutti ne conoscevano l’aspetto. Non sarebbe nemmeno riuscita a entrare nel cortile senza trovarsi una guardia a pochi passi da lei. E, se avesse abbassato la testa scappando in fretta, non sarebbe andata molto lontano.

I suoi zoccoli di legno l’avrebbero rallentata. Se li avesse tolti, correndo in calze, avrebbe ancora dovuto occuparsi dei suoi strati e strati di abiti. Sarebbe stata fermata nell’istante. Forse in quel caso, la sua gabbia sarebbe stata ancor più stretta. Non poteva immaginare come la sua vita potesse peggiorare, ma era certa un modo ci sarebbe stato.

No, aveva da tempo capito che un piano di fuga così diretto non avrebbe funzionato. Avrebbe dovuto fare qualcosa che, anche se fosse stata colta, l’avrebbe tirata fuori dal palazzo e l’avrebbe tenuta lì. Avrebbe dovuto convincere le persone a essere altrove, affinché non la costringessero a tornare indietro.

Con il cuore in gola Jasmine allungò le dita a toccare la maniglia della porta della sua camera. Il metallo sembrava elettrico. Tutto intorno a lei pareva più vivo. Era perché era l’ultima volta che avrebbe visto tutto ciò? Forse. Ma, con un ultimo respiro profondo e tutto il coraggio che poteva radunare, girò la maniglia della porta della sua camera e uscì nel corridoio.

Mentre la luce la illuminava, si guardò attorno. Appena lo fece, gli occhi sorpresi delle guardie si abbassarono. Non era impossibile che Jasmine lasciasse la sua stanza dopo cena, ma era raro. Se l’orchestra reale non suonava, si perdeva generalmente nella lettura di un libro su luoghi lontani. Dopotutto, nella vita reale, era una prigioniera. Nella sua immaginazione e nei suoi libri, invece era libera.

“Seguimi da lontano,” ordinò Jasmine con autorevolezza indiscutibile.

“Sì, altezza,” rispose il corpulento uomo barbuto.

In ogni caso, aveva osservato Visir parlare con un uomo. Da quello che poteva vedere, era un uomo estremamente affascinante. E, nella sua memoria, Visir gli stava parlando del suo laboratorio. Parlavano di un passaggio che Visir voleva far costruire. Jasmine pensava che quell’uomo fosse un architetto del palazzo, ma c’era qualcosa nel modo in cui era vestito che le diceva che non era così.

Chiunque fosse quell’uomo attraente, Visir gli aveva spiegato in dettaglio come voleva funzionasse la porta d’emergenza. Visir desiderava una porta che si aprisse su un corridoio. Quel corridoio avrebbe portato a due posti,  uno molto sotto il palazzo. L’altro era una piccola porta che si apriva oltre le mura del palazzo. Jasmine doveva essere certa di non averlo sognato. Prima di poter agire per il passo successivo del suo piano, doveva essere certa che fosse vero.

Jasmine attraversò la stanza senza toccare nulla. Non voleva che Visir sapesse che era stata lì. Presto, la sua scomparsa gli sarebbe stata evidente, insieme al suo percorso nei corridoi e avrebbe capito. Ma, fino ad allora, Jasmine avrebbe avuto il tempo di allontanarsi il più possibile dal palazzo. Non sapeva quanto lontano potesse andare, e nemmeno come fosse il mondo fuori dalle mura del palazzo, ma voleva scoprirlo.

Riproducendo le parole di Visir nella sua testa, raggiunse una lanterna attaccata alla parete. Sembrava identica a tutte le altre, ma Visir aveva detto che doveva essere indistinguibile. Mettendo la mano sulla staffa di metallo che sporgeva dalla pietra, la spostò verso l’alto. Si mosse, cosa che dovrebbe accadere a ogni lampada da parete, ma molto meno di quanto si aspettasse.

Un rimbombo alla porta echeggiò e la interruppe. Le venne la pelle d’oca.

“Vostro onore, mi dispiace disturbarla. Sto cercando la Principessa. È con lei?”

Quello era il momento a cui Jasmine pensava sin da quando aveva escogitato il suo piano. Fortunatamente, o forse sfortunatamente, la voce di Visir era rimasta impressa nella sua mente. Conosceva il modo inquietante in cui cambiava di tono. Sapeva imitarla. Almeno pensava di saperlo fare.

“Non disturbarmi mai quando sto lavorando. Mai!” disse Jasmine in tono sarcastico.

“Mi scuso, vostro onore. La cercherò altrove, vostro onore,” rispose la guardia prima di tacere.

Jasmine aspettò e si mise in ascolto. Non sentì più nulla. Ciò significava che se ne era andato? La porta era di nuovo chiusa? O non era stata convincente e lui avrebbe provato ad entrare?

Mentre Jasmine fissava la porta, non successe nulla. Non ci furono altri colpi e la guardia non provò ad aprire la serratura. Almeno per qualche altro attimo, era al sicuro.

Sentendo il tempo scorrere via, si mise in azione. Con il suo lungo mantello da una parte, guardò verso il basso i suoi abiti. Indossava i pantaloni. E non solo le sottovesti che a volte indossavano le donne arabe, veri pantaloni da ragazzo. In più, indossava una camicia senza colletto tradizionale e un gilet. Dal collo in giù, sembrava un ragazzo. Sfortunatamente, c’era solo una cosa che avrebbe sicuramente tradito la sua vera identità nella società musulmana cinese: i suoi capelli. I suoi lunghi, folti, lussureggianti capelli.

Jasmine aveva pensato di indossare un cappello come parte del suo travestimento, ma cosa sarebbe successo se l’avesse perso? Il suo travestimento sarebbe stato immediatamente scoperto. No, c’era solo una cosa che poteva fare se voleva davvero sfuggire alla prigione in cui viveva.

Estraendo le forbici dalla fascia intorno alla sua vita, le afferrò con una mano e con l’altra prese in mano i suoi capelli. Non avrebbe voluto farlo. L’unico complimento che sua madre le aveva mai fatto da bambina riguardava i suoi capelli. Per quanto Jasmine sapesse, era l’unica cosa bella che aveva. Ma, se voleva vivere, veramente vivere, avrebbe dovuto lasciare andare tutto ciò a cui teneva. Con questo, Jasmine strinse e la sua coda di cavallo che le si staccò tra le mani.

Cosa aveva fatto?

Jasmine non si aspettava che le lacrime le riempissero gli occhi. Ma suo padre aveva sempre detto che la bellezza di una ragazza cinese risiede nei suoi capelli. Lo stesso si poteva dire degli uomini cinesi. Ma, fuori dalle porte del palazzo, non avrebbe cercato di passare per nessuno dei due.

L’unico modo in cui poteva vivere, veramente vivere, era come un ragazzo. Come aveva letto nei suoi libri, le ragazze libere avevano appena più libertà di lei. Ma un ragazzo, tiene il mondo nelle sue mani come una splendida perla. È quello che voleva. E, per avere una chance, avrebbe dovuto liberarsi della sua coda di cavallo.

Quando Jasmine ebbe finito, non dovette più coprirsi il viso per nascondersi. Guardando dentro una delle pentole di rame di Visir, non riusciva a riconoscersi. Era un ragazzo, non c’erano dubbi su questo. Jasmine avrebbe potuto darsi dai tredici ai quindici anni. Ma, non c’era modo che le persone la vedessero ancora come una bambola di porcellana. Quella parte della sua vita era finita.

Raccogliendo i capelli e tutti i suoi effetti personali in un mucchio, si avvicinò di nuovo alla lanterna da muro. Questa volta tirò con forza. Se non avesse aperto una porta, sarebbe caduta dal muro. Fu allora che un pannello nella parete si aprì. La porta non era leggera e richiese un altro strattone sulla lanterna per aprirsi completamente. Ma quando fu aperta, Jasmine fu pervasa da un senso di sollievo che la riscaldò nel profondo.

Stava riuscendo. Stava per essere libera. Si sentiva benissimo, avrebbe potuto mettersi a cantare. Non lo fece.

Fissando il corridoio di fronte a lei, l’unica cosa che riusciva a notare era l’oscurità. Era l’oscurità più profonda che avesse mai visto. Dopo aver fatto un passo avanti, si ritrasse. Non c’era modo che potesse attraversarlo così com’era. Avrebbe avuto bisogno di luce.

Cercando nel laboratorio del Visir trovò qualcosa che non si sarebbe mai aspettata di vedere. Appoggiato contro il muro c’era un cesto pieno di lacrime d’oro. Brillavano alla luce della lanterna. Sapeva che avrebbe avuto bisogno di qualcosa di prezioso in città e poteva solo immaginare quanto valesse una di quelle lacrime d’oro.

“No, Jasmine. Lui è il maestro della moneta del regno. Prendine anche solo una e saprà che è scomparsa. Trova una lanterna e vai.”

Con riluttanza coprì il cesto e proseguì, Jasmine trovò una torcia scartata nel fondo di un altro cesto. Non era sicura se il Visir potesse farne a meno, ma che scelta aveva? Questa o niente.

Con le braccia ancora piene dei suoi averi, Jasmine accese la torcia, entrò nel passaggio oscuro e chiuse il pannello del muro dietro di lei. Camminando, aveva l’impressione di avanzare all’infinito. Girando a sinistra e poi a destra, non sapeva se sarebbe finita all’esterno o più a fondo nelle viscere della sua prigione. Ma quando il suo percorso finì davanti a una porta sostenuta da un chiavistello di metallo, azionò la maniglia, aprì e puntò gli occhi sull’immagine più abbagliante che avesse mai visto.

Di fronte a lei c’era quella che poteva solo essere descritta come la libertà. Ce l’aveva fatta. Dopo vent’anni di prigionia, Jasmine era finalmente libera.

Gli occhi di Jasmine si riempirono nuovamente di lacrime. Questa volta non sapeva perché. Era la gioia per la sua nuova libertà? Era la tristezza per ciò che stava lasciandosi alle spalle? Era a causa della tempesta di emozioni che l’aveva assalita all’improvviso? Non lo sapeva. Quello che sapeva, però, era che era libera e doveva continuare a muoversi per rimanere tale.

Uscendo e chiudendo la porta dietro di sé, le crepe tra la porta e il muro sembravano sparire. Era anche quella magia? Tenendo la torcia in una mano e la veste e i capelli nell’altra, si voltò di nuovo verso la città illuminata e iniziò la sua nuova vita.

Attraversando la distanza tra il muro e la città, Jasmine rimase sbalordita dal panorama. L’aveva visto dal balcone della sua camera da letto, ma non avrebbe potuto immaginare come apparisse da vicino. Le piccole strutture di legno con i loro tetti di tegole risplendevano di vita. Più si avvicinava, più veniva avvolta dai profumi e dai suoni della città. L’aria profumava come un balletto di spezie. E la città risuonava di risate e d’amore.

Camminando tra le piccole case calde, Jasmine si perse nell’immaginare cosa stesse succedendo all’interno. Come interagivano quelle famiglie? Ballavano insieme? Ne aveva letto in storie di terre straniere. Era quello che faceva la gente comune? Non sapendolo, il suo cuore soffriva desiderando scoprirlo.

Sebbene sapesse che avrebbe dovuto scappare il più lontano e il più velocemente possibile, non corse. Per tutta la notte, camminò tra tutte le case e le strutture rumorose chiedendosi come sarebbe stato entrare. Doveva essere davvero stupendo.

Tuttavia non entrò. Come avrebbe potuto? Non sapeva nemmeno come si cammina dentro un locale dove si beve. Il suo istruttore di movimento gliel’aveva mai insegnato.

Mentre le luci delle piccole case di legno si spegnevano, Jasmine si rese lentamente conto di qualcosa a cui non aveva davvero pensato quando stava progettando la sua fuga. Ora che era libera dalla sua prigione, dove avrebbe dormito?

Poteva bussare alla porta di qualcuno e chiedere un letto? C’erano locande nei dintorni? Se c’erano, come avrebbe pagato? In effetti, come avrebbe pagato per qualsiasi cosa? Jasmine ripensò al cesto di lacrime d’oro che aveva visto nel laboratorio del Visir. Quante notti una di quelle lacrime le avrebbero pagato?

Dopo un po’, pensarci diventò troppo per lei. Jasmine aveva solo bisogno di un posto dove dormire. C’erano molti vicoli vuoti tra le case e gli edifici. Trovandone uno dove il terreno era morbido, Jasmine si sedette con la schiena contro il muro. Avvolgendosi il mantello attorno al corpo per tenersi al caldo e lontana dagli sguardi, si ripromise di chiudere gli occhi solo un attimo prima di addormentarsi.

“Svegliati, teppista di strada,” sentì Jasmine dire prima di sentire un calcio che la colpì dritto nelle costole.

“Ahi!” esclamò irritata mentre saltava fuori dal suo mantello. “Mi hai fatto male!”

“Se non vuoi essere calciato, allora non dovresti dormire per strada.”

“Non c’era altro posto dove andare,” protestò Jasmine indignata.

“Pensi che sia un mio problema? Vattene,” disse l’uomo prima di darle un altro calcio.

“Ahi! Ahi!” disse Jasmine fuggendo via.

“E dove l’hai rubato quel mantello?” disse l’uomo indicando il suo lussuoso mantello.

“Non l’ho rubato. È mio,” dichiarò Jasmine senza pensarci.

“Tuo? L’unico che potrebbe possedere qualcosa di così costoso potrebbe essere una principessa. Sei tu la principessa, ragazzo?”

Fu allora che gli occhi e la mente di Jasmine si schiarirono. Guardò negli occhi quell’uomo paffuto… Lo guardò negli occhi, e lui ricambiò lo sguardo. La stava vedendo. Era la prima persona a vederla davvero. Era incredibile.

“Vattene da qui,” disse di nuovo il negoziante prima di tirare indietro il piede e farlo volare contro il suo sedere.

Quando la colpì, sollevò il piccolo corpo di Jasmine in aria e lo depositò a pochi centimetri di distanza. Il calcio le fece male. Molto male. Aveva voglia di piangere. E guardando nuovamente negli occhi il primo nuovo individuo che aveva incrociato in un decennio, notò finalmente quanto esprimessero rabbia. La spaventarono. Doveva andarsene da lì.

Alzandosi, Jasmine fece tutto il possibile per trattenere le sue emozioni. Raccolse velocemente la vestaglia, ma si fermò quando l’uomo fece un passo avanti e si fermò sul lembo.

“No, Principessa, la vestaglia non è tua. La restituirò al legittimo proprietario.” L’espressione sul suo volto si tramutò in un sorriso ironico. “E, se non lo troverò, la venderò per farmi un bel profitto.”

‘Aspetta, la vestaglia ha valore. Posso venderla,’ si rese conto Jasmine.

“Posso vendertela se la vuoi,” disse Jasmine, rendendosi all’improvviso conto di quanto fosse affamata.

“O, posso prenderla in cambio di risparmiarti la vita.”

“Non puoi semplicemente portarmela via,” disse Jasmine, confusa dal suggerimento dell’uomo.

“Oh davvero, guardami,” disse l’uomo con una oscurità che Jasmine non avrebbe mai potuto immaginare.

Il negoziante si avventò su Jasmine con ferocia. La colpì mentre alzava le sue braccia sottili per proteggersi. Si chiedeva se stesse per morire, ma quando un colpo le arrivò in testa, ne fu sicura.

L’unica cosa a cui riusciva a pensare era come avrebbe potuto farlo smettere. C’era un solo modo che veniva in mente. Doveva gridare chi era. Doveva dirgli che era la Principessa.

“Ehi! Ehi! Lascialo in pace,” gridò un’altra voce da lontano. I colpi cessarono. Cosa era successo? Si chiese Jasmine. I colpi stavano per ricominciare?

“Tieniti fuori da questo, straccione,” disse l’uomo paffuto in direzione di quella voce.

Fu allora che Jasmine alzò la testa e guardò il suo aggressore. Era distratto. Quello era il momento di fuggire. Sgattaiolando via, tentò di afferrare la vestaglia mentre se ne andava.

“No, non lo farai,” disse di nuovo l’uomo mettendo il piede sulla stoffa. “Lasciala,” disse la nuova voce a Jasmine.

“Ma è mia,” disse Jasmine mentre si girava verso chiunque stesse parlando.

Quando lo guardò, Jasmine rimase ferma. Era un ragazzo della sua età. Era abbronzato e a torso nudo. Era il ragazzo più bello che Jasmine avesse mai visto.

Fu allora che lui la guardò. I loro occhi si incontrarono e in quel breve istante, era come se una vita di solitudine fosse svanita.

“Basta, lascialo andare. Che se la tenga. Non ne vale la pena,” disse il ragazzo con compassione.

Fu su sua incitazione che Jasmine allentò la presa e lasciò andare l’ultimo residuo della sua vecchia vita. Alzandosi, il ragazzo la fece andare da lui.

“Vieni,” disse, agitando la mano. “E tu,” disse, spostando la sua attenzione sull’uomo possente. “Ricorda, nulla ti appartiene, tutto appartiene solo ad Allah. Andiamo,” disse il ragazzo, non togliendo gli occhi di dosso all’uomo mentre lentamente si ritirava.

Gli occhi di Jasmine balzarono tra il ragazzo che aveva deciso che avrebbe seguito ovunque, e l’uomo che l’aveva aggredita. Quando l’uomo prese il suo nuovo premio e domandò, “Questo è un capello?” Jasmine smise di voltarsi indietro.

Sentendo il tocco della mano del ragazzo sulla sua spalla mentre la guidava via, il suo corpo si mise a fremere.

“Dove hai preso una vestaglia piena di capelli?” chiese il ragazzo con una risata.

La stava guardando di nuovo, e per lei questo era davvero ipnotico.

“Non vuoi dire, eh? Va bene. Abbiamo tutti dei segreti. Io sono Aladdin, per inciso.”

Jasmine non riusciva a parlare anche se avrebbe voluto.

“Cosa? Non hai un nome?”

“Certo che ho un nome,” disse finalmente sputando qualcosa fuori.

“Parla,” disse Aladdin con una risata. “Allora, qual è il tuo nome, ragazzino?”

“Non sono un ragazzino,” protestò Jasmine non volendo dargli l’impressione sbagliata su di lei. Voleva solo che avesse la giusta impressione.

“No, vedo. Sei un uomo forte. Guarda quei muscoli,” disse con il sorriso più brillante.

Jasmine guardò il ragazzo incerta su cosa stesse succedendo. Era così che i ragazzi parlavano tra loro? Nessuno le aveva mai parlato in quel modo. Non sapeva cosa pensare tranne che le piaceva.

“È vecchio come te,” disse Jasmine.

“Davvero?” disse Aladdin dubbioso.

“Lo è.”

“E, come ti chiami?”

Jasmine pensò per un momento. “Il mio nome è… Jamar,” disse pronunciando la prima cosa che le venne in mente.

“Jamar?” disse Aladdin con un sorriso. “Va bene, affascinante,” disse pensando al significato del nome.

“Sì, esatto, Jamar.”

Jasmine non aveva intenzione di dire quel nome. Aladdin aveva ragione, tutti sanno che Jamar significa affascinante. Non sapeva perché l’avesse detto finché non guardò di nuovo negli occhi del bellissimo ragazzo.

“Allora, Jamar, hai fame?” chiese Aladdin con aria sicura.

Jasmine sentì lo stomaco brontolare. “Sì, ho molta fame.”

“Sono passati alcuni giorni, eh?” chiese Aladdin casualmente.

“Alcuni giorni?” chiese Jasmine, sorpresa. “No.”

“Bene, in ogni caso, mi sembra che sia l’ora di colazione.”

“C’è del cibo? Dove troviamo del cibo?” chiese Jasmine, entusiasta.

“Il cibo è ovunque. Basta guardarsi intorno.”

Erano entrati nel mercato. Jasmine guardò le molte bancarelle e i pani e le frutta che contenevano.

“Dobbiamo solo scegliere quello che vogliamo?” chiese, incerta su come funzionasse.

Aladdin rise. “Di dove sei?”

Fu allora che Jasmine tossì e abbassò la voce. Stava sbagliando tutto. Non poteva essere così ingenua.

“Vengo dalla città accanto. Le cose vanno diversamente laggiù.”

“Quindi, lì si passeggia per il mercado prendendo tutto ciò che si vuole?”

“No. Certo che no. Voglio dire, sì!” disse con una certa realizzazione. “Sì, passiamo semplicemente e lo rubiamo.”

“Come hai rubato la vestaglia?”

“Come ho rubato la vestaglia, l’ho solo vista e l’ho presa.”

“Quella persona la indossava quando l’hai presa?”

“Sì.”

Il sorriso di Aladdin scomparve per la prima volta.

“Voglio dire, no. Era in un negozio. Mi piaceva e l’ho presa. Ecco perché ho dovuto venire qui, per sfuggire al negoziante.”

Aladdin la fissò mentre valutava la sua storia. Ci volle un attimo ma il sorriso di Aladdin ritornò. “Nulla appartiene a nessuno, solo ad Allah, giusto?”

“Giusto,” disse Jasmine, sorridendo per la prima volta.

“Allora, che ne dici se andiamo a prenderci qualcosa per colazione?”

“Andiamo.”

Aladdin guardò Jasmine e si fermò. “Perché non ti lascio fare la strada questa volta. Vediamo un po’ di quelle tue fantastiche abilità nel rubare.”

Era una prova. Jasmine lo sapeva. C’era qualcosa nella sua storia che Aladdin non credeva e le venne data una sola possibilità per dimostrargli quanto valeva. Doveva farlo. Ma come? Non aveva mai rubato nulla in vita sua. Non era nemmeno mai stata in un mercado prima d’ora. Non aveva idea di come funzionasse tutto questo.

“D’accordo,” disse Jasmine sapendo che doveva farlo. “Lasciami solo decidere cosa.”

“Che ne dici di un pezzo di pane? Un po’ di pane è sempre buono per colazione.”

“È quello che ho sempre,” disse lei, dicendo tutto ciò che doveva per convincere il suo nuovo bell’amico.

“Bene, allora per te sarà un gioco da ragazzi. Io starò solo a guardare,” disse Aladdin apparentemente divertendosi.

“Sì. Farò tutto da solo,” disse lei sentendo il suo cuore battere fragorosamente.

“Sei nervoso?” chiese Aladdin, divertito.

“No. Perché dovrei essere nervoso?”

“Non lo so. Perché dovresti esserlo, Jamar?”

Jasmine poteva sentire Aladdin sul punto di smascherarla. Doveva fare qualcosa in fretta. “Non lo so. Nessun motivo,” disse Jasmine, alzando il mento e avviandosi verso il banco.

Per quanto cercasse di apparire sicura, le sue ginocchia tremavano così forte che poteva a malapena camminare dritta. Cosa stava facendo? Non avendo mai visitato un mercato e stava per rubare qualcosa.

Anche se… non importa come si chiamava, non era ancora la Principessa? Non era questo il suo regno, che lo rivendicasse o no? E questo non significava anche  che il mercato era suo, che i negozianti lo sapessero o no?

Fu con questo pensiero in mente che Jasmine si avvicinò a un carretto pieno di pane. Ogni fibra del suo essere voleva guardare l’uomo che stava di fronte, ma non lo fece. Lo considerò uno dei servitori che la assediavano quotidianamente. Lei non li guardava mai e loro non guardavano mai lei.

Con il suo mento ancora alto, Jasmine si avvicinò al carretto del pane, esaminò le molte pagnotte che erano lì, ne prese una e si voltò per andarsene. Era semplicemente così… o almeno pensava Jasmine. Quando sentì una presa ferrea sulla sua spalla, si rese conto che non sarebbe stato così facile.

“Cosa fai con il mio pane?” gridò un uomo panciuto. “Perderai la mano per questo, tu brutto topastro. Guardia! Guardia!”

Jasmine non poteva credere a ciò che aveva pensato. Aveva davvero pensato che sarebbe stato così facile?

Jasmine si voltò e guardò negli occhi il panettiere. Ancora una volta, era uno sguardo arrabbiato. Non aveva mai realizzato quanto potessero apparire arrabbiati degli occhi. Cosa doveva fare? Poteva lasciare cadere il pane e scappare, ma dal modo in cui l’uomo la teneva, non pensava di riuscire a sfuggirgli. “Guardia!” gridò l’uomo di nuovo.

Fu allora che Aladdin, ancora, le venne in soccorso.

“Ehi!” gridò Aladdin correndo verso di loro.

Il panettiere si voltò verso Aladdin, pietrificato alla vista. Tenendo ancora Jasmine per la spalla, allungò l’altra mano per proteggere le sue merci. La destinazione di Aladdin, però, non era lì. Andava direttamente verso il panettiere. Quando l’uomo se ne rese conto, lasciò andare immediatamente Jasmine per proteggere se stesso.

“Corri!” le ordinò Aladdin.

Liberata, Jasmine fece come le era stato detto. Con la pagnotta stretta saldamente tra i seni, Jasmine se ne andò come una freccia. Non si guardò indietro. Sapeva che ora tutti la guardavano e non le piaceva. Ma presto sentì l’attenzione di tutti spostarsi. Un ragazzo era corso verso il panettiere, lo aveva superato all’ultimo secondo, e poi era atterrato sul carretto del pane facendolo rovesciare.

Da lì, il ragazzo era saltato da carretto a carretto rovesciandoli tutti man mano che andava. Le merci volavano ovunque. Si stava creando uno spettacolo. La gente urlava e si lamentava. C’era anche un bimbo che piangeva in lontananza. Era un caos elettrizzante.

Dopo aver corso lungo il mercato, Jasmine tagliò in un vicolo e poi in un altro. Correva come se la sua vita ne dipendesse da quello. E stringeva la pagnotta come se fosse la cosa più importante al mondo, perché, in quel momento, lo era.

Quella pagnotta rappresentava la sua liberazione. Non era più una principessa imprigionata che nessuno guardava negli occhi. Era un ragazzo che tutti guardavano. E il suo amico era quello che le persone guardavano di più. Per quanto fosse terrorizzata, le piaceva tutto ciò che stava succedendo. L’unica cosa che la spaventava veramente era l’idea di correre così lontano che Aladdin non potesse trovarla.

Rallentando, Jasmine guardò indietro. Il mercato ora non si vedeva più. Aveva girato troppi angoli. Cosa doveva fare ora? Come avrebbe potuto ritrovarla Aladdin?

Pensando a tutto ciò, Jasmine si fermò. Era andata troppo lontano? Jasmine, respirando con fatica, si guardò indietro lungo il suo cammino. Cosa stava succedendo laggiù? Doveva tornare indietro? Aladdin era l’unica persona che conosceva in città. E se l’avesse perduto? Sarebbe stato orribile. Jasmine non lo voleva.

Doveva tornare. Doveva trovarlo. Se significava restituire il pane, andava bene. Doveva ritrovare Aladdin. Cosa pensava di fare correndo così lontano? Aveva commesso un errore.

“Stai andando nella direzione sbagliata!” disse qualcuno sopra di lei.

Jasmine, con la paura disegnata sul viso, si guardò attorno in cerca della voce familiare.

“No, non da quella parte,” disse Aladdin in tono scherzoso.

Allora Jasmine guardò in su. Era circondata da edifici di due piani. Aladdin stava guardando giù dall’edificio accanto a lei. Il cuore le faceva male. Lui stava bene ed era riuscito a trovarla. Vedendolo, non potè fare a meno di ridere. Aladdin le fece un sorriso affascinante, poi indicò la direzione in cui lei stava correndo.

Jasmine era stupita da quel ragazzo. Come era riuscito ad arrivare lassù? Faceva parte di un circo come quelli di cui aveva letto nei suoi libri? Non lo sapeva ma gli piaceva. Infatti, anche mentre correva al suo passo, non riusciva a smettere di guardarlo. Era incredibile e Jasmine sentì di nuovo un brivido che aveva raramente provato prima.

L’unica altra volta in cui poteva ricordare di aver provato quella sensazione era quando pensava all’uomo a cui Visir aveva parlato riguardo alla via di fuga. Era molto diverso da Aladdin, ma per molto tempo dopo averlo visto, non riusciva a toglierselo dalla mente. Era il modo in cui l’uomo la guardava nel suo sogno. Sembrava che potesse vedere dentro la sua anima.

Si era sentita nuda sotto lo sguardo dell’affascinante uomo del sogno. E ora, per la prima volta da allora, Jasmine si sentiva di nuovo guardata. Era emozionante.

“Sali,” disse Aladdin indicando qualcosa che un tempo avrebbe potuto essere considerato una scala.

“Come?”

“Semplicemente sali.”

Jasmine esaminò di nuovo il mucchio di bambù marcio davanti a lei.

“Lancia sù il pane,” disse Aladdin attirando la sua attenzione.

Jasmine guardò su verso il ragazzo e fece come le era stato detto. Aladdin aveva ragione a chiedere. Salire era diventato molto più facile con entrambe le mani.

Mentre si arrampicava, l’intera struttura traballava. L’edificio avrebbe potuto crollare da un momento all’altro. Jasmine non riusciva a capire come fosse ancora in piedi. E quando entrò nell’edificio al quale le scale oscillanti un tempo erano attaccate, si chiese come mai fossero ancora in piedi anche quelle.

“Ci sei riuscito?” disse Aladdin con la bocca piena di pane e un sorriso.

“Come sei riuscito a scappare?” chiese Jasmine sedendosi accanto ad Aladdin sul pavimento.

“Ho dei trucchi,” rispose Aladdin con più fascino di quanto Jasmine potesse sopportare.

“Avrò un po’ del mio pane?” chiese Jasmine scherzando.

“Il tuo pane? Sì, non avresti avuto nessuna possibilità di scappare se non fossi intervenuto. Se non avessi fatto qualcosa, avresti perso la mano,” disse lui, orgoglioso di sé.

“Aspetta, davvero sarebbe potuto succedere?” disse, toccandosi il polso.

Aladdin guardò Jasmine confuso. “Da dove vieni?”

“Te l’ho detto. Vengo dalla città qui vicina,” ripeté lei nervosamente.

“E come puniscono i ladri lì?”

“Non lo so. Li mettono in prigione.”

“Ebbene, in questa città, è…” Aladdin fece il suono di una spada che taglia l’osso. “E questo ti dica quanto sono bravo: guarda, ho entrambe le mani.”

“Non mi ero reso conto che qui facessero cose del genere,” disse Jasmine, sconsolata.

“Cosa? Stai pensando di tornare a casa?”

Jasmine non aveva seguito il suo ragionamento fino alla sua conclusione, ma considerando ciò che aveva appena appreso e che non aveva soldi, né un posto dove dormire, forse non era una cattiva idea.

“No, non tornerò a casa. Ci sono cose peggiori che perdere una mano.”

“Allora dovrai imparare ad essere più scaltro nel rubare. Non puoi semplicemente avvicinarti al carrello e prendere il pane. Non devi farti vedere. Devi aspettare che la persona sia distratta, poi devi afferrare quello che vuoi e andartene. E’ così che lo faccio io. E…” Aladdin alzò di nuovo le sue due mani.

Jasmine non rispose. Tutto ciò era molto angosciante per lei. Così, invece, guardò solo il pane, aspettò che Aladdin lo spezzasse a metà e poi mangiò.

“Allora, Jamar, dimmi come hai trovato quella tunica? Non c’è modo che un negoziante lasci entrare qualcuno con il tuo aspetto dentro il suo negozio, tantomeno abbastanza a lungo da prendere qualcosa.”

Jasmine guardò Aladdin senza capire cosa intendesse. Che aspetto aveva? Jasmine si guardò per capirlo. Esaminando i suoi vestiti impolverati, si rese conto che Aladdin aveva ragione. Era molto simile a lui. Era per questo che gli uomini l’avevano chiamata topastro di strada?

“Sì, credo tu abbia ragione. Nessuno mi avrebbe mai lasciato entrare nel suo negozio con questo aspetto e la tunica… l’ho trovata. L’ho semplicemente raccolta per terra e l’ho tenuta.”

“E i capelli?” chiese Aladdin contento di averlo capito.

“I capelli?”

“Oh, aspetta, faccio io l’ipotesi, li hai presi da un negozio di barbiere?”

“Sì, esatto. Sì, li ho presi da un negozio di barbiere. Deve essere stato del barbiere ed erano buttati lì in un mucchio di capelli. Suppongo che alcuni di essi si siano attaccati quando li ho raccolti.”

“Sì, è quello che pensavo. Ricorda bene questa lezione. Non c’è modo di ingannare il vecchio Aladdin” disse, pieno di sicurezza.

“Sì, immagino di no. Sono stato sciocco a provarci,” disse Jasmine, divertita.

“Sì, è vero Jamar.”

I due rimasero in silenzio mentre continuavano a mangiare. Mentre mangiava, Jasmine osservava Aladdin. Quando lui si accorgeva del suo sguardo, lei rapidamente distoglieva gli occhi. Sperava di non arrossire, ma si rese conto di farlo. Non poteva evitarlo. Lui era diverso da qualsiasi ragazzo che avesse mai conosciuto, e questo non solo perché era l’unico ragazzo della sua età che avesse mai incontrato.

“Mi guardi perché mi trovi strano?” disse Aladdin, dopo averla sorpresa a guardarlo una volta troppo.

“Scusami.”

“No, non c’è problema. Mi fa piacere,” disse Aladdin con un sorriso imbarazzato. “Quindi, dimmi, quella tunica era l’unico motivo per cui hai lasciato la tua città?”

“Cosa intendi?”

“Voglio dire, sembra che tu sia il tipo di ragazzo che potrebbe essere in fuga da qualcosa.”

Jasmine riconobbe che, nonostante avesse detto qualche ovvietà, Aladdin aveva colto nel segno con la sua ultima osservazione. Lei era in fuga da qualcosa.

“Sì, credo di sì.”

“Capisco. È figo.”

“E tu? Come sei finito qui? Stai scappando da qualcosa?”

La sicurezza di Aladdin scomparve alla domanda di Jasmine. “Sono cose diverse,  io vivo per strada perché non ho una famiglia. E, potrei stare scappando dalla stessa cosa da cui stai scappando tu.”

Jasmine non capiva cosa intendesse dire. Ma non voleva entrare in domande a cui avrebbe avuto difficoltà a rispondere.

“Cosa è successo alla tua famiglia?” chiese Jasmine con empatia.

“Non lo so. Non ho molti nella memoria. Ricordo solo che mi amavano. E ho questo vago ricordo che i capelli di mia madre avevano il profumo del gelsomino.”

Il cuore di Jasmine si fermò sentendo il suo nome. L’aveva detto appositamente? Sapeva veramente chi fosse lei? Ma, come poteva? Come avrebbe potuto saperlo, dato che non aveva mai lasciato il palazzo?

“Mi stai guardando in quel modo di nuovo,” fece notare Aladdin.

“Mi scuso,” disse Jasmine distogliendo lo sguardo.

“Va bene,” rispose Aladdin, prima di scivolare davanti a lei e passare le dita tra i suoi capelli corti.

Fu in quel momento che Jasmine se ne rese conto. Aladdin non la riconosceva come la principessa. Non la riconosceva nemmeno come una ragazza. Aladdin pensava che fosse un ragazzo e la trattava teneramente per quel motivo.

Non capiva cosa stesse succedendo. Era così che i ragazzi trattavano altri ragazzi quando nessun altro era nei paraggi? La carne fra le sue gambe pulsava all’idea. Aveva l’impressione che Aladdin stesse per baciarla. Poteva lasciarlo fare? Voleva che succedesse. Non aveva mai desiderato niente di più in vita sua. Ma, non sarebbe stato un momento rubato? Un momento destinato ad altri e non a lei?

Senza pensare, Jasmine girò la testa interrompendo quel momento. Il suo cuore si spezzò per averlo fatto. Lo rimpianse immediatamente, ma ormai era troppo tardi.

Visto il suo rifiuto, Aladdin si ritirò. Continuò a cercare i suoi occhi ma lei non tornò a guardarlo. Si vergognava.

Aladdin si spostò con imbarazzato. Jasmine lo guardò chiedendosi cosa avrebbe fatto adesso. Aveva rovinato tutto?

“Hai visto qualcosa della città?” chiese Aladdin cambiando improvvisamente argomento.

“Non molto. Quasi nulla,” ammise Jasmine.

“Allora, perché non facciamo un giro? Ti piacerebbe?”

“Sì, mi piacerebbe,” rispose, attratta da lui più che mai.

“Allora, vieni,” disse Aladdin alzandosi e tendendo la mano.

Jasmine gli prese la mano e si alzò. Lui la condusse fuori da una finestra e sul tetto della casa accanto. Correndo sul tetto con la mano di Aladdin nella sua, si sentiva libera. Il suo tocco la eccitava. Non si era mai sentita così viva. Questo era ciò che sperava quando era scappata dal palazzo e ora lo aveva ottenuto.

I due saltarono da tetto a tetto ammirando le meraviglie di una delle città più grandi del Nord della Cina. Le moschee con le loro cupole dorate brillavano alla luce del sole. E quando la città si fermava per pregare, i due facevano lo stesso, benché nessuno dei due fosse devoto.

Mentre il giorno si trasformava in notte, Aladdin la condusse in una parte della città che Jasmine poteva vedere dal balcone del suo palazzo. Aveva sentito dire che quello era un quartiere pericoloso. Tutto questo la eccitava. Si sentiva spaventata, ma sapeva anche che Aladdin l’avrebbe protetta.

Mentre si avvicinavano alla porta di un locale rumoroso, Jasmine sperava che lui la stringesse tra le sue braccia. Era sicura che, dato che era vestita da ragazzo, lui non l’avrebbe mai fatto. Forse di ritorno nella privacy della sua casa abbandonata, ma non in pubblico. Ma anche solo l’idea riscaldava Jasmine.

“Sei mai stato in un casinò prima d’ora?” chiese Aladdin con un sorriso.

“Un casinò? Che cos’è?”

Il sorriso di Aladdin si fece più luminoso. “Vedrai.”

Aladdin si avvicinò alla porta e bussò.

“Cosa c’è?” disse una voce burbera da dentro.

“L’uccello del deserto gracida come il cappello del Sultano,” disse Aladdin prima che la porta si aprisse e lui facesse entrare Jasmine.

“Fahim, amico mio. Questo è Jamar. È a posto,” disse Aladdin, indicando Jasmine.

L’uomo robusto e baffuto, guardò Jasmine con sospetto. Dopo averla esaminata da capo a piedi, mugugnò. “Non combinare guai qui stasera, Aladdin,” disse l’uomo spostando l’attenzione.

“Io? Combinare guai? Mai,” esclamò lui, stupito che Fahim potesse mai suggerire una cosa del genere.

L’uomo fissò Aladdin e mugugnò. Aladdin fece entrare Jasmine, che passò davanti all’uomo robusto.

“Entriamo.” dichiarò Aladdin con un sorriso vittorioso.

Jasmine si guardò attorno esaminando i tavoli e le persone sedute. La prima cosa che notò fu che erano tutti uomini. Quello era un posto che non avrebbe mai potuto vedere da principessa.

La seconda cosa che notò furono tutti i segni sui tavoli.

“Che cosa sono?” Jasmine chiese, attratta da tutto ciò.

“Quello è il Sic Bo. È un gioco di fortuna. Dimmi, Jamar, ti senti fortunato stasera?”

Jasmine ci pensò per un secondo. Non lo sapeva. Certamente era fortunata ad aver incontrato Aladdin. Ma poteva dirsi fortunata in generale?

“Sì,” concluse Jasmine con un sorriso.

“Allora, perché non mettiamo alla prova quella fortuna?”

“Come?”

Girandosi verso Jasmine, Aladdin arretrò urtando un uomo molto ubriaco. L’uomo barcollò e se non fosse stato per Aladdin che lo afferrò, sarebbe caduto.

“Guarda dove vai,” biascicò l’ubriacone.

“Mi dispiace davvero,” rispose Aladdin. “Ecco, lascia che ti aiuti,” disse Aladdin tendendogli il braccio.

“Non ho bisogno del tuo aiuto. Un’altra volta stai più attento.”

“Certo. Ti terrò a distanza, ho capito,” rispose Aladdin con un inchino.

Prendendo il braccio di Jasmine, Aladdin la condusse via. “Come si gioca vuoi sapere? Con questa,” disse mostrandole una fiche del Sic Bo.

“Dove l’hai presa?” chiese Jasmine stupita.

“Potrebbe essere che l’ho acquisita da un amico ubriaco che ho incrociato di recente?”

“L’hai rubata?” chiese Jasmine incerta su cosa provare. Rubare del cibo era una cosa. Tutti devono mangiare. Rubare soldi era un’altra cosa.

“Non preoccuparti, la restituirò. La tua fortuna ci farà vincere talmente tanti soldi che potremo comprare questo posto quando avremo finito.”

“Non so se…” esitò Jasmine sentendo lo stomaco brontolare. Non aveva mangiato che metà del panino quella mattina e ora era ben oltre il calar della notte.

“Andiamo, Jamar. Confido in te.”

Jasmine guardò in giro sentendo l’energia della sala piena. Alcuni uomini ridevano e si davano pacche sulle spalle. Altri erano avvinti ai loro bicchieri. E ovunque ci fossero segni di vita che superassero di gran lunga la monotonia controllata attraverso la quale viveva al palazzo.

“Bene. Cosa devo fare?”

“Bravo. Allora, devi prendere questa fiche, avvicinarti a quel tavolo. Poi, devi piazzarla su un numero. Quell’uomo poi lancerà i dadi e se esce il tuo numero, avremo vinto.”

“È tutto qui?” chiese Jasmine nervosa.

“Certo,” rispose Aladdin con sicurezza.

“Quale numero devo scegliere?”

“Bene, devi semplicemente chiudere gli occhi e scegliere.”

“Chiudo solo gli occhi e scelgo?”

“Certo,” confermò Aladdin.

 Jasmine sentì il cuore pulsare mentre si allontanava da Aladdin e si avvicinava al tavolo. C’era solo un altro uomo lì. Prendendo posto, sentì lo sguardo dell’uomo che gestiva il gioco. Lei lo guardò.

“No grazie. Preferisco guardare per un turno.”

“Il tavolo è solo per giocatori,” borbottò l’uomo burbero.

“Oh, capisco.”

Jasmine osservò tutti i numeri ancora una volta. C’erano tante combinazioni possibili quanto i tre dadi dell’uomo.

“Metti la tua fiche o vattene,” disse l’uomo.

“Va bene, sto decidendo,” rispose lei, sentendo la pressione. Essendo una principessa, aveva accesso a più soldi di chiunque altro in tutto il regno. Ma, visto che Aladdin e la loro cena dipendevano da lei, quella singola fiche sembrava la più preziosa fortuna del mondo.

Rasserenandosi, Jasmine mosse la mano sopra il tavolo. Stava pensando al numero 24, ma anche al 3. 17 sarebbe stata la scommessa più sicura. C’erano molte più combinazioni possibili per quello. Ma, ancora, c’era qualcosa nel numero 3 che la attirava.

“Numero 3,” disse Jasmine posizionando la sua fiche.

Guardando l’uomo infilare i dadi nel bicchiere, capì quanto fosse pessima la sua decisione. Il dealer avrebbe dovuto lanciare tre 1 perché vincesse. Quali erano le possibilità? I suoi insegnanti non le avevano insegnato molta matematica, ma immaginava che le possibilità non fossero buone.

L’uomo sollevò il bicchiere, lo scosse e fece lentamente rotolare i dadi sul tavolo. Il cuore di Jasmine batteva a mille. Con uno strato di sudore sulla fronte, le mani le sudavano.

“Tre,” annunciò l’uomo con enorme sorpresa di Jasmine.

“Ce l’hai fatta,” sentì dire alle sue spalle. “Sapevo che ce l’avresti fatta. Ora, scegli un altro numero e scommetti tutto di nuovo,” incalzò Aladdin.

“No!” Jasmine protestò sconvolta. “Non posso rifarlo.”

“Certo che puoi. Scegli un altro numero.”

Jasmine guardò l’imponente quantità di fiches che l’operatore le spingeva davanti. Dovevano essere una ventina. Non c’era modo che potesse giocarle tutte.

“E se ne metto la metà?” propose.

“No. Devono essere tutte,” disse Aladdin con un sorriso.

Jasmine si sentiva un relitto. Aveva vinto tanto. Non poteva succedere ancora.

“Andiamo. Fai come hai fatto l’ultima volta. Scegli un numero e gioca,” spiegò Aladdin.

Jasmine si voltò di nuovo verso il tavolo. Quale numero sentiva questa volta? Il 7 sembrava buono. O forse il 14. Non lo sapeva.

Beh, Aladdin le aveva detto di chiudere semplicemente gli occhi e scegliere. Ecco cosa avrebbe fatto. Così, chiuse gli occhi e spostò le fiches sul tavolo. Quando li aprì, erano di nuovo sul 3.

“Ah!” gemette Aladdin.

“Cosa? Ho sbagliato?”

“È solo che non si gioca mai due volte lo stesso numero. Porta sfortuna.”

“Posso spostarlo?” chiese Jasmine cominciando a precipitare nel panico.

“Le fiches sono messe,” disse l’operatore bloccando la mano di Jasmine.

“Ma le ho messe nel posto sbagliato.”

“Ormai le hai messe!”

Jasmine ritirò la mano impaurita che le venisse tagliata. Aveva sicuramente commesso un errore. Che cosa stava pensando quando aveva spinto ciecamente le fiche? Aveva rovinato tutto. Aladdin non le avrebbe mai perdonato il fatto di aver perso tutte le loro fiche e l’avrebbe lasciata per strada a morire di fame.

“Tre,” disse l’uomo con grande stupore di tutti quelli che erano lì a guardare.

Il cuore di Jasmine fece un balzo sentendo quelle parole. Il rumore intorno a lei si attenuò. Sentì un brusio interiore che sembrava provenire da ogni parte e che lentamente si concentrava in un unico punto.

Si voltò verso Aladdin e lo fissò. Come al rallentatore, lui festeggiava sollevando entrambe le braccia nell’aria. Aveva bisogno di sentirsi toccata da lui. L’idea che lui la stringesse tra le braccia e la baciasse le procurava onde di eccitazione.

Jasmine lo voleva disperatamente. Non le importava più se lui desiderasse Jamar o la ragazza che c’era in lei. Aveva bisogno di essere amata da Aladdin, ed era disposta a fare tutto il necessario per averlo.

“Ci sei riuscito!” esclamò Aladdin eccitato. “Ora, scommetti tutto di nuovo.”

“No!” gridò Jasmine, senza nemmeno considerarlo.

“Sei fortunato. Non lo vedi?” spiegò Aladdin.

“Ma sono anche intelligente.”

Aladdin rise. “Sì, sei intelligente. Prendiamo la nostra vincita e andiamo.”

Raccogliendo le fiche tra le braccia, ne mise una da parte. Notando l’uomo ubriaco da cui Aladdin aveva rubato la fiche, si precipitò da lui e gliela mostrò.

“Penso che tu l’abbia persa,” disse Jasmine offrendogliela.

L’uomo ubriaco capì a malapena cosa stesse succedendo. Guardò Jasmine confuso, prese la fiche, la infilò nel suo sacchetto e se ne andò senza dire una parola.

“Ah, stai restituendo vecchi debiti? Bravo, gentile da parte tua. In realtà ci sono alcuni altri debiti passati che dovremo saldare prima di riscuotere le nostre vincite,” spiegò Aladdin.

“Certo, a quanto ammontano?”

Aladdin guardò la pila di fiche. Jasmine guardò Aladdin confusa. Dopo aver parlato con la cassiera, la sua confusione si dissolse. Aladdin aveva quasi tanti debiti quanto avevano vinto. Non proprio tanti, comunque. E quando se ne andarono con abbastanza pezzi d’oro da mangiare per un mese, Jasmine considerò l’avventura notturna un successo.

Fuori, camminando per le strade sotto il chiaro di luna, Jasmine premette la spalla contro il suo fianco. Voleva che lui le stringesse le braccia attorno alla vita. E quando lasciarono le strade pubbliche, lo fece.

Il cuore di Jasmine si spezzò quando lui la toccò. Quando arrivarono nella casa abbandonata di Aladdin e sedettero davanti alla finestra a fissare la luna, Jasmine si voltò e si mise davanti ad Aladdin. E mentre la luna proiettava le loro ombre sul terreno, Aladdin si piegò e sfiorò le sue labbra.

Jasmine fu certa che il suo corpo fosse improvvisamente invaso da formiche. La sensazione era elettrizzante. Premuta contro le calde labbra di Aladdin e avvolta dal suo profumo, si sentì girare la testa. E quando lui si mosse per portare la mano sul suo stretto giro vita, sentì un nodo tra le gambe che faceva tanto male quanto la riempiva di piacere. Non sapeva cosa le stesse succedendo, ma non voleva che finisse.

Quello che la costrinse a fermarsi fu la sensazione di Aladdin che afferrava la sua camicia come se stesse per toglierla. Sapeva che non poteva permettere che ciò accadesse. Non aveva le forme delle ballerine turche di danza del ventre che una volta si erano esibite nel palazzo, ma la sua forma era sufficiente per far capire ad Aladdin che non era un ragazzo.

“No,” disse Jasmine distogliendo le labbra da quelle di Aladdin e sottraendosi al suo abbraccio.

“Va bene, Jamar. Capisco. Vuoi che restiamo vicini?” chiese Aladdin dolcemente.

Jasmine ci pensò su. Fino a quel giorno non aveva nemmeno guardato negli occhi un ragazzo. Ora stava considerando di andare a letto con lui. Chi era diventata?

“Sì, mi piacerebbe,” gli rispose non potendo dire altro che la verità.

Al comando di Aladdin, Jasmine si distese lentamente sul pavimento. Era ben lontano dal letto che aveva lasciato, ma era meglio del vicolo sporco della notte precedente. Girando le spalle ad Aladdin, sentì ogni momento in cui lui premeva il suo corpo contro la sua schiena. Quella sensazione le incendiava la mente.

Il dolore che aveva preso possesso della carne tra le sue gambe minacciava di ritornare. Fece del suo meglio per impedirlo. E quando Aladdin spostò le sue braccia sul corpo di Jasmine per sdraiarsi sul suo petto, lei sollevò le sue braccia e le adagiò sul suo seno.

Non avendo null’altro a cui appigliarsi, Aladdin avvolse la sua grande mano attorno al suo polso. Rimase lì per un po’, poi risalì fino al suo palmo. Le sue dita si intrecciarono infine con quelle di Jasmine e fu così che lei abbandonò tutti i suoi problemi e si addormentò.

 

 

Capitolo 2