IL SUO LUPO PROTETTORE

Capitolo 1

Dillon

 

Respirando profondamente, mi diressi verso l’edificio di mio padre. Ogni passo risuonava come il battito del mio cuore. Dopo anni di trascuratezza ed abbandono, stavo per affrontarlo. Volevo risposte, e una piccola, fragile parte di me aveva bisogno che si scusasse con me.

L’edificio di mattoni pieno di graffiti, alto tre piani, mi si ergeva di fronte. Trattenendo il respiro, entrai nel vicolo stretto. Entrando nel cortile, trovai l’uscita di sicurezza.

Con mio stupore, spingendomi contro la porta, scoprii che era già stata aperta. Così, usando il peso del mio corpo slanciato, la spinsi ed entrai.

Quante ore della mia infanzia avevo passato a fissare la finestra di mio padre dall’altra parte della strada? Le persone che di tanto in tanto vedevo all’interno erano la sua famiglia? Erano loro che aveva scelto invece di me e mia madre?

Salendo la fatiscente scalinata di cemento, umida e scrostata, arrivai all’ultimo piano. Come il negozio al pian terreno, sembrava vuoto. La carta da parati sporca cadeva a pezzi ovunque, l’unico segno di vita era una porta vivacemente dipinta in fondo al corridoio.

Presi un attimo per asciugare le mie mani sudate sui jeans, raccogliendo tutto il coraggio. Avvicinandomi alla porta feci vibrare tutti i muri al rumore della mia bussata. Ogni eco era un pugno allo stomaco.

Rapidamente, la porta si aprì con uno scricchiolio. Dall’altra parte c’era una figura pallida, immersa nella luce debole che filtrava dietro di lui. Era mio padre. Non l’avevo mai visto da vicino prima di quel momento.

Quando mi riconobbe, i suoi occhi mi perforarono.

“Tu,” sibilò.

Non riconobbi una somiglianza in lui. Le mie fattezze, che così spesso erano state elogiate, erano contorni frammentati in lui. Il mio colorito misto color caramello non trovava riscontri sulla sua pelle pallida. E i ricci ribelli che definivano il mio profilo, erano diradanti, lisci e piatti sulla sua testa.

Nonostante ciò, sapevo chi era quell’uomo. Mia madre me l’aveva detto tante volte. Era ora che lo dicesse pure lui.

“Sì, sono io. tuo figlio.”

Le parole uscirono più salde di quanto mi aspettassi. Ogni sillaba era impregnata dei miei anni di dolore, anni in cui avevo desiderato un riconoscimento che non era mai arrivato.

Passeggiando per le strade del mio vecchio quartiere, guardavo in alto verso gli edifici un tempo familiari. Il luogo era Brownsville, Brooklyn, un posto che una volta era casa mia, ma che adesso mi pareva così alieno. Fissai i lampioni che perforavano la nera oscurità della notte avanzata. Proiettavano ombre lunghe e spettrali che sembravano seguirmi.

Mentre camminavo, lo stomaco iniziò a ribollire. Un freddo vento si insinuò sul mio collo, facendomi venire la pelle d’oca.

Perché ero lì? Ero lontano chilometri dal mio appartamento universitario nel New Jersey. E avendo traslocato da Brownsville durante la scuola media, tutte le persone che camminavano per le strade mi erano estranee. L’unica persona che conoscevo e che viveva ancora lì era…

“Mio padre…” sussurrai a me stesso.

Già. Ero venuto per affrontare finalmente l’uomo che non avevo mai conosciuto. Avevo un piano su come avrei forzato l’uscita di sicurezza del suo edificio quasi abbandonato e su come avrei bussato alla sua porta. Come potevo averlo dimenticato?

Muovendomi sui talloni, digrignai i denti e fissai la struttura anonima, di tre piani, che si trovava a due isolati di distanza. La brutta facciata dell’appartamento di mio padre mi faceva male, mentre si insinuava la realtà del mio imminente confronto.

Il cuore mi martellava nel petto. Il sudore spuntava sulle mie mani mentre mi avvicinavo alla struttura familiare, ma odiosa. Sarebbe potuta sembrare un abominio per tutti gli altri, ma per me era il simbolo dell’ignoranza e dell’indifferenza dell’uomo che ci viveva.

Sollevando lo sguardo, vidi il bagliore della finestra del suo appartamento illuminato. Questo risvegliò familiari batticuori nel mio cuore; un promemoria di un tempo più semplice in cui tutto ciò che volevo era attraversare quella soglia. Innumerevoli volte da bambino, ero stato lì davanti a desiderarlo, ma quel giorno non ero qui per desiderare. Ero lì per avere delle risposte.

Come se sapessi che sarebbe stato aperto, girai attorno all’edificio verso la porta sul retro. Il lucchetto era allentato come se fosse stato forzato parecchie volte. Salendo le scale, mi sorprese quanto fosse familiare quel corridoio. Perché mi sembrava così noto? Era come se fossi stato in un luogo simile di recente. Ma dove?

Entrando nel corridoio, mi sorprese una sensazione simile. Era stato sogno che avevo visto quel posto? Durante la mia infanzia, avevo fatto più di un sogno che si era avverato e la sensazione che stavo provando era un’estensione di quella visione? Doveva esserlo, non è così?

Attraversando lentamente il corridoio, mi avvicinai alla porta vivacemente dipinta, che per qualche ragione sembrava incisa nella mia mente. Che cosa stava succedendo? Qualunque cosa fosse, non avrei permesso che mi fermasse. Avevo deciso che sarebbe stato quello giorno e doveva esserlo.

Sollevando il pugno chiuso per bussare alla porta, un pensiero mi colpì. Avevo già fatto quell’azione. Ma non aveva senso. Mai nella mia vita avevo parlato con l’uomo che mia madre diceva fosse mio padre. Così, quando bussai e un uomo pallido e malaticcio aprì la porta e mi fissò negli occhi, le cose persero ulteriormente di senso.

“Cosa ci fai qui?” l’uomo sputò in una rabbia confusa.

“Sono tuo figlio,” dissi determinato.

“Vi via e non tornare mai più,” l’uomo disse scrutando la mia anima quasi sostituendo i miei pensieri con i suoi.

“No!” risposi con fermezza. “Risponderai alle mie domande,” dichiarai mentre i miei battiti cardiaci inviavano onde di dolore attraverso il petto.

“Ho detto di andartene e di non tornare!” insistette mio padre.

“E io ho detto di no,” gridai, combattendo la sensazione che le mie tempie pulsanti stessero per esplodere.

Come se si stesse ritirando dalla mia mente, mio padre fece un passo indietro. Il suo ritiro fu come un crampo che improvvisamente cessò.

“Adesso,” iniziai, quasi senza fiato, “mi dirai perché hai abbandonato me e mia madre. Non me ne andrò da nessuna parte finché non lo farai.”

Non potevo dire se l’espressione sul volto di mio padre fosse di terrore o di disgusto, ma mi turbava. C’era dell’oscurità nel suo volto. Vederlo creava un altro sentimento in me, che non riuscivo a descrivere.

“Vuoi sapere perché ho lasciato te e tua madre?”

“È per questo che sono qui. Dimmi perché hai abbandonato tuo figlio,” dissi perdendo la presa sull’armatura che proteggeva il mio cuore.

“Perché tu non sei mio figlio,” strillò.

“Io sono tuo figlio. Sono sempre stato tuo figlio.”

“Non lo sei. Sei un abominio!” urlò con convinzione.

Le sue parole arrivarono a destinazione. Il dolore che c’era una volta nelle mie tempie ritornò due volte più dolorosamente. Era come se ci fosse un pensiero dentro di me che lottava per uscire.

“Sono tuo figlio. Sono tuo figlio!” insistei.

“Sei un figlio del diavolo!” decretò l’uomo pallido.

“Sono tuo figlio!” continuai a ripetere, stringendomi la testa con le mani, cercando di impedirle di esplodere.

“Non sono tuo padre,” disse il vecchio un’ultima volta prima di spingermi con la forza di una palla da demolizione contro il muro del corridoio alle mie spalle.

Crollai in una cecità dolorosa mentre la porta si chiudeva violentemente davanti a me. Mi sentivo impazzire. Improvvisamente, la mia mente fu sommersa da pensieri. Gli echi rimanevano solo il tempo di toccarsi prima di volare via sostituiti da altri.

Non riuscivo a reggerlo. Stava facendo a pezzi il mio cervello. Il mio gemito si trasformò in un urlo. Strillai a squarciagola, fu come un miracolo quando tutto si fermò. Erano rimaste solo le cicatrici, e all’improvviso tutto era sparito.

Con timore aprii gli occhi. Come se il mal di testa mi avesse tolto la vista, tutto sembrava diverso. Era come se avessi aperto gli occhi alla piscina pubblica. Il mondo nebbioso intorno a me brillava. E mentre la mia vista tornava lentamente, notai qualcosa che in qualche modo non avevo notato.

Il pavimento del corridoio che terminava alla porta di mio padre era bruciato. Consumato fino alla consistenza del carbone, coperto di cenere.

Questo non era giusto. Qualcosa era cambiato. C’era qualcosa di diverso che ronzava dentro di me. E senza un momento di dubbio, capii che mio padre poteva dirmi cosa fosse.

Come se non fosse stata chiusa, toccai la porta e si spalancò. L’interno dell’appartamento ora era diverso. Tutto dal pavimento al soffitto era bruciato. Sembrava devastato dalle fiamme tranne l’uomo che avevo pianto di notte sperando mi riconoscesse.

Non era solo quell’uomo, comunque. L’immagine di mio padre era un ologramma spettrale che mascherava la creatura al di sotto. Curva e deforme, la persona che avevo conosciuto non era per niente un uomo.

Crescendo, il mio migliore amico, Hil, si era dimostrato un lupo mutaforma. Sapere cos’erano lui e la sua famiglia sfidava le mie convinzioni su ciò che può essere possibile. Come potevano esistere degli umani che si trasformavano in animali? Inoltre, come potevano esistere i vampiri?

“Sei un vampiro,” dissi prima che capire cosa stessi dicendo.

L’uomo mi fissò esterrefatto.

“Non sei mio padre. Non puoi esserlo.”

Come se l’immagine davanti a me scomparisse, mi trovai dall’altra parte della stanza mentre mio padre e mia madre condividevano un letto. All’inizio sembrava che i due stessero facendo sesso, ma non era così.

“Hai nutrito mia madre. L’hai costretta a credere di essere incinta?” dissi mentre la pellicola davanti a me continuava a roteare. “Ma perché?”

“Ho fatto quello che i miei padroni mi hanno detto di fare,” rispose la decrepita creatura con crescente paura.

“Se sei un vampiro e i vampiri non possono avere figli, chi sono io?”

“La prole dei miei padroni,” sibilò. “Un abominio.”

“Hai paura,” capii all’improvviso. “Hai paura di tutto. Ti nascondi qui, impaurito dai lupi che governano la città. Temi i vampiri che ti hanno generato. E soprattutto.” Mi fermai nel rendermene conto. “Hai paura di me. Ti ho affrontato prima. Mi hai costretto a dimenticare. Ma, non hai mai cercato di ferire me o mia madre perché… Hai paura di quello che ti faranno.”

Guardai altrove quando la confusione mi sopraffece. Chi erano i “loro” a cui mi stavo riferendo? Poteva trattarsi di demoni? Ero un figlio del diavolo come mio padre aveva insinuato?

Un momento, lui non era mio padre. I vampiri non possono avere figli. Aveva costretto mia madre a credere che fosse incinta affinché io potessi esistere.

Quando rialzai lo sguardo, l’uomo che avevo pensato fosse mio padre, era scomparso. Con la sua scomparsa, la stanza svanì lentamente tornando alla normalità. Qualsiasi cosa avessi visto era sparita.

Quanto tempo mi ero allontanato? Il vampiro mi aveva costretto di nuovo così da poter fuggire? E soprattutto, cos’ero io? Di sicuro non ero un umano. Né il figlio di mio padre.

Ero venuto per avere delle risposte e adesso avevo ancora più domande. Chi ero io? Da dove venivo? E, perché, in ogni caso, ero un ragazzo che nessuno amava?

 

 

Capitolo 2

Remy

 

Mi trovavo nel maestoso ufficio di mio padre, trasformato ora in un obitorio. Hil e mia madre erano accanto a me, tutti noi guardavamo il corpo senza vita di nostro padre. Il silenzio era soffocante, rotto solo dai singhiozzi sommessi di mia madre che cercava di trattenere le lacrime.

L’angoscia mi travolse. Ma guardando le ombre sul volto di mio padre, create dalla luce fioca, provavo qualcosa di più. La sua era un’eredità contrastante. Avevo passato la mia vita a cercare di dimostrare il mio valore al mio alpha e avevo fatto cose di cui non andavo fiero. Ora che se ne era andato, mi chiedevo se tutto fosse stato inutile.

Hil ruppe il silenzio. “Organizzerò io il funerale. Voglio farlo per papà,” disse, la voce tremante d’emozione. Capivo che cercava ancora l’approvazione di nostro padre, anche dopo la sua morte.

Lo guardai, il cuore dolente per mio fratello che aveva cercato così tanto di sfuggire alla vita criminale nella quale eravamo nati. Non era fatto per quella vita, come lo ero io. A differenza mia, non era mai riuscito a nascondere la sua attrazione per gli uomini. Questo lo aveva marchiato come una lettera scarlatta. A suo merito, nostro padre non lo aveva mai giudicato per questo. Ma quando mio padre ed io eravamo soli, non nascondeva la sua delusione.

Non era per ciò che Hil desiderava fare con altri uomini. Era che mio padre credeva che proprio questo gli impedisse di essere un mutaforma. “Non esistono lupi mutaforma gay”, mi disse una volta, “gli dei non lo permetterebbero.”

Il mio mutare, però, rendeva più complicata quella teoria. Sì, non ero gay, ma non ero nemmeno etero. Stavo in quel felice limbo a metà strada. Forse mio padre credeva che fosse per quello che io mi sia mutato così tardi? E non perché mia madre è un’umana?

In ogni caso mio padre aveva ragione su una cosa, era difficile sopravvivere al nostro mondo spietato senza ricorrere al nostro essere lupi. Altri alfa volevano morto mio padre. E lo potevo capire, dato il modo con cui mio padre deteneva il potere.               

Ciò significava che nessuno nella nostra famiglia era al sicuro. Hil, il suo figlio sensibile e umano, avrebbe sempre avuto bisogno di qualcuno che lo mantenesse in vita. Dato che il nostro branco era Alfa. Papà non aveva problemi a farlo, anche se era chiaro che voleva un erede che potesse prendersi cura di sé.

Quello che facevo io: mi prendevo cura di me stesso. Sempre incerto di quando il via libera che papà dava a Hil sarebbe finito, presto ho cominciato a prendermi cura anche di Hil. Non mi dispiaceva. Era mio fratello minore. Era mio dovere. Ma dover essere il lupo che mio padre desiderava mi aveva fatto pagare un prezzo alto.

“Grazie, Hil,” dissi, con la voce che tradiva il mio dolore.

Mia madre arrivò al mio fianco e mi toccò la mano, il suo tocco ribolliva di un misto di tristezza e gratitudine. Vedevo la speranza nei suoi occhi per un futuro migliore, libero dalla violenza e dal pericolo che avevano afflitto il nostro branco per tanto tempo.

I miei pensieri andarono al patto che avevo stipulato con Armand Clément, il rivale più spietato di mio padre. Avevo accettato di cedere a lui le attività illecite di mio padre, in cambio di mantenere quelle legali e garantire così la protezione del mio branco.

I lupi di mio padre sarebbero diventati suoi e il mio vero branco si sarebbe liberato del mondo nascosto e criminale. Era un gioco d’azzardo disperato, ma non potevo sopportare l’idea sostituire mio padre con il suo branco alfa, non con le mie tendenze e con un fratello come Hil.

Quanti lupi di mio padre avrei dovuto uccidere prima che si arrendessero a me? Li avrei certamente sconfitti, ma volevo dare un’altra direzione al mio branco.

Inoltre, la nostra famiglia aveva già tanto per cui fare ammenda. Ad un certo punto, avrei dovuto capire come restituire qualcosa alla comunità. L’ossessione di mio padre per il potere aveva causato tanto dolore. Non poteva essere quello l’unico dono della mia famiglia al mondo. I lupi mutaforma erano molto di più che incubi degli umani.

Fu in quel momento che Dillon sfiorò la mia mente. Era il migliore amico umano di Hil e il ragazzo la cui presenza non mi faceva mai dimenticare che non ero eterosessuale. Il suo fisico snello, la sua pelle leggermente abbronzata, i capelli vagamente ricci tra i quali sognavo di far scorrere le dita.

Tutto questo mi trasformava in un lupo che sognava ogni notte di prosciugarlo. Un ragazzo che fantasticava sul passare la mano sotto la sua maglietta e avvolgere il suo torace stretto con le mie mani grandi. Era il mio punto d’appoggio nelle tempeste turbolente di mio padre e adesso, l’oceano che mi separava da Dillon giaceva davanti a me, morto e compianto.

Scusandomi con la mia famiglia, prima che vedessero il sorriso che lentamente si insinuava sul mio viso, mi diressi verso la mia camera da ragazzo. Non potevo aspettare un altro secondo. Avevo bisogno di sentire la sua voce. Il mio lupo camminava. Dovevo chiamarlo.

Recuperato il telefono, trovai il suo numero. Presi un respiro profondo e composi il numero. Il mio cuore batteva di aspettativa. Il telefono suonava e i palmi delle mie mani sudavano.

“Pronto?” la voce di Dillon arrivò dalla cornetta, calda e rassicurante come sempre.

“Ciao, Dillon, sono Remy.” cercai di tenere la voce ferma mentre parlavo. “Volevo solo dirti che mio padre… è morto.”

“Oh, Remy, mi dispiace tanto.” Come tutti noi, sapeva che sarebbe successo. Ma la sua empatia mi avvolse come un’onda di conforto. “Come stai?”

La mia gola si strinse mentre lottavo per mantenere la calma. “Sto… facendo del mio meglio,” ammisi, con il peso delle mie emozioni che minacciava di traboccare. Cercando di riprendere disperatamente il controllo, cambiai rapidamente argomento. “Ascolta, mi chiedevo se potessi aiutarmi con qualcosa.”

“Certo. Di che si tratta?”

“Hil ha detto che vuole occuparsi dei preparativi del funerale. Penso che potrebbe aver bisogno del tuo supporto in questo momento.”

Ci fu una pausa dall’altra parte prima che Dillon accettasse con dolcezza. “Non dovevi chiederlo, Remy. Farò tutto quello che posso per darvi una mano.”

Il silenzio che seguì era pesante di parole non dette, il mio cuore era ansioso di dirgli la verità sui miei sentimenti per lui. Ma non riuscivo a dire nulla, non ancora.

“Grazie. So che posso sempre contare su di te,” dissi con un sorriso.

“Non c’è problema, Remy. Mi piace poter aiutare te… e Hil,” mi rassicurò, la sua voce era piena di sincera premura. “Ce la faremo tutti insieme. Dimmi solo cosa ti serve.”

Annuii, anche se lui non poteva vedermi. “Lo apprezzo.”

“Lo so,” disse lui con sicurezza.

Mentre riattaccavo il telefono, mi chiesi cosa stessi facendo. Non dovevo più limitarmi a conversazioni di due minuti con lui. Ero libero. Non sapevo come si sentisse rispetto a me, ma non dovevo più nascondere i miei sentimenti per lui. Era ora di dirglielo.

Un calore attraversò me e il mio lupo, al pensiero. Era un misto di terrore ed euforia.

“Dopo il funerale,” dissi ad alta voce. “La mia nuova vita comincia alla fine di quella vecchia.”

Potevo a malapena immaginare una vita senza segreti e senza sotterfugi, ma ecco che ci ero arrivato. Stavo per accogliere la verità e vedere dove mi avrebbe portato. Stare con Dillon sarebbe stato davvero così semplice? Non lo sapevo, ma stavo per scoprirlo.

 

 

Capitolo 3

Dillon

 

Dopo aver concluso la chiamata con Remy, rimasi nel mio appartamento con la borsa a tracolla ancora sulle spalle. Ero reduce dal confronto con il vampiro che credevo mio padre. Che bello era stato sentire adesso la voce di Remy. Ero stanchissimo.

Remy mi aveva appena chiamato? Me lo chiesi mentre il mio cuore correva, cancellando la confusione di un’ora prima. Qual era lo scopo della sua chiamata?

Aveva detto che era per chiedermi di aiutare Hil, ma doveva sapere che lo avrei fatto comunque. No, doveva esserci altro. Cercava conforto per la morte di suo padre? Perché, per quanto io lo desiderarssi, Remy e io non eravamo così intimi.

Quindi, la ragione della sua chiamata poteva essere qualcos’altro? Poteva essere che era segretamente innamorato di me e che non ero stato pazzo tutti questi anni a sognarlo?

Era a causa di Remy che mi ero confrontato con chi credevo fosse mio padre. Beh, non direttamente a causa sua. Ma era perché avevo interagito così tanto con Remy, quando Hil era scomparso, che avevo notato il vuoto nella mia vita. Poteva essere stata la stessa cosa per lui?

Pensandoci su, mi vennero immediatamente in mente le tante ragioni per cui Remy non avrebbe avuto alcun interesse per uno come me. Per cominciare, nonostante normalmente non fossi un completo disastro, con lui, lo ero. Ci furono due mesi dopo che Hil ed io diventammo amici in cui non riuscii nemmeno a mettere insieme due parole in sua presenza.

Avevo quattordici anni, non dieci. E sì, lui era molto attraente, anche prima di trasformarsi in lupo. Ma non c’era motivo per cui avrei dovuto perdere la capacità di parlare con lui.

Poi ci fu quella volta in cui Remy sorprese Hil e me a guardare un porno gay nella stanza di Hil. Avevo chiesto a Hil se aveva chiuso la porta, e lui mi aveva assicurato di averlo fatto. Quindi, quando Remy irruppe, trovandoci con le mani nei pantaloni, avrei voluto sparire.

E infine, non posso dimenticare il tempo in cui, a sedici anni, i genitori di Hil mi lasciarono restare a casa loro mentre la famiglia di Hil portava mia madre in vacanza con loro. Dovevo andare a scuola così non li potei accompagnare ma, convinto di avere tutta la casa per me, feci una festa danzante nudo e da solo nel loro attico, completo di turbante fatto con l’asciugamano e microfono con la spazzola per capelli.

Remy scelse proprio quel momento per passare a controllare le stanze. Non sarebbe stato troppo imbarazzante se il piccolo Dillon non fosse stato così eccitato da uscire. Ma chi poteva biasimarlo? Mostrami qualcuno che non ama saltare al ritmo di ‘Bad Romance’ e gli dirò che non sa vivere.

Le mie guance ardevano ancora al ricordo. Ma come facevo sempre, mi ricordai che l’umiliazione che provai di fronte a Remy non contava. Perché per quanto mi piacesse fantasticare al riguardo, un tipo come Remy, con una fisicità da Dio Greco, capelli stupendi, e status di principe alfa, non poteva essere attratto dagli uomini, tanto meno da un umano come me.

Del resto, non ero lì per le fantasie. Avevo parecchio su cui riflettere, avevo scoperto di non essere umano e non avevo idea di che cosa fossi. Come avrei dovuto affrontare tutto questo?

Inoltre il mio amico Hil stava vivendo un periodo difficile. Nonostante il rapporto difficile sapevo quanto amasse suo padre. Certo, suo padre l’aveva rinchiuso nel loro attico senza mai permettere a Hil di avere una vita sociale, al di fuori di me. Ma non era perché suo padre fosse un mostro. I lupi mutaforma che gestiscono al mafia conducono una vita pericolosa.

E poi, suo padre non aveva del tutto torto. La sola volta che Hil riuscì a sfuggire alla protezione della sua famiglia, finì per essere rapito da uno dei rivali di suo padre. Remy e il fidanzato mutaforma di Hil, Cali, dovettero andare a liberarlo. In cambio di lasciare Hil libero, il tipo sparò a Cali. Cali se la cavò, ma comunque Hil e Remy vivevano in un mondo folle e loro padre doveva proteggere Hil quel mondo.

D’altro canto, quando fu chiaro che Hil era gay, suo padre, così tremendamente spaventoso, l’aveva accettato per quello che è. Hil mi disse che suo padre non lo aveva mai fatto sentire in colpa per chi gli piaceva. Cazzo, i suoi genitori ci avevano persino presentato uno all’altro e non è che qualcuno mi abbia mai scambiato per eterosessuale.

Quindi nonostante tutto, il padre di Hil era stato un padre molto migliore del mio. E ora era scomparso. Il mio cuore era con lui.

Respirando profondamente, mi promisi di accantonare il mistero sul mio essere e qualsiasi sentimento per Remy per concentrarmi sul sostegno a Hil nelle prossime settimane. E mentre l’eccitazione che sentivo sempre pensando a Remy svaniva, ripresi di nuovo in mano il telefono.

Non sapevo perché fossi nervoso, ma componendo il numero di Hil, il mio cuore si mise a battere forte. Quando la chiamata si collegò, la voce di Hil era tremante.

“Ciao, Dillon.”

“Ciao, Hil… Ho appena saputo di tuo padre.”

Ci fu una piccola pausa. “Davvero? Come?”

“Remy me l’ha appena detto,” dissi volendo condividere con lui quanto fosse stato straordinario da parte di Remy.

“Ah.. Già.”

“Mi dispiace tanto, Hil. Come stai?” dissi desideroso di poterlo abbracciare attraverso il telefono.

“È molto difficile accettare che se ne sia andato.”

“Non riesco nemmeno ad immaginare. Ma io ti sono vicino, okay? Qualunque cosa tu abbia bisogno, ci sarò.”

Hil sospirò, la voce appena incrinata. “Lo apprezzo molto. Ho detto a Remy che voglio occuparmi io del funerale.”

“Caspita, un gran lavoro.”

“Sì, ma ho detto a Cali che stavo pianificando di farlo e lui ha chiesto di potermi aiutare. Quindi, mi appoggerò a lui per la maggior parte delle cose.”

“È meraviglioso.”

“Sì,” disse interrompendosi per qualche secondo.

“Cosa c’è?”

“C’è qualcosa con cui potresti aiutarmi, però.”

“Certo! Qualsiasi cosa. Dimmi solo quando e dove.”

Il giorno dopo, Hil ed io ci ritrovammo in un negozio di pompe funebri specializzato in urne. Non sapevo nemmeno che esistesse una cosa del genere. Ma esisteva e noi eravamo lì.

Quel luogo emanava una sobria eleganza, con luci soffuse che gettavano un bagliore caldo sui vasi lucidi e dipinti a mano. Essere lì, a fare shopping per l’ultima dimora del padre di Hil, era surreale. Non solo per il significato del gesto, ma anche per i prezzi sulle etichette.

Con tutto il rispetto, le urne sono semplicemente vasi con coperchi. Come potevano costare ventiduemila dollari l’una? Certo, erano in marmo ornato di filigrana d’oro… o qualcosa di simile. Ma io a malapena potevo permettermi l’autobus che ho preso per arrivare lì.

Mentre girovagavamo tra i corridoi esplorando la collezione di urne con diamanti, l’argomento della nostra conversazione si spostò da suo padre a Remy. Non fui io a cambiare discorso, ma non stavo per perdermi l’opportunità di aggiungere materiale alla mia scatola dei desideri… quando sarebbe stato di nuovo il momento giusto per farlo… fantasticando sul fratello del mio migliore amico.

“Credo di avere fatto pace con il fatto che papà preferisse Remy. Voglio dire, lo capisco. Lui ha lo stesso bisogno di mio padre di prendersi cura di tutti. L’aveva anche quando era bambino.

“C’è stato un momento durante la crescita in cui mi ha fatto le peggio cose da fratello maggiore. Ma se mi chiedessero chi mi proteggerebbe se mi accadesse qualcosa di brutto, non avrei dubbi: lui!”

Feci un cenno con la testa, capendo quanto Remy significava per Hil. “Ti è sempre stato vicino, vero?”

“Sì, ma allo stesso tempo, non posso fare a meno di preoccuparmi per lui.”

“Perché?” chiesi, pungolato dalla curiosità.

Hil sospirò, passandosi una mano tra i capelli. “Non credo che riuscirà mai a lasciarsi alle spalle la vita del nostro branco.”

“Con ‘la vita del nostro branco intendi il lavoro della vostra famiglia?”

“Sì. E so che ha fatto l’accordo che dovrebbe liberarci, ma non sono sicuro che ci sia una vera via uscita.”

“Tu sei riuscito a uscirne,” dissi riferendomi alla nuova vita di Hil in una piccola città con il suo fidanzato, nel Tennessee.

“L’ho fatto, ma non sono mai stato parte di quell’aspetto del branco di mio padre. Lui una volta disse a Remy e a me che l’unico modo per abbandonare il suo mondo era in una sacca per cadaveri. Non credo che Remy potrebbe lasciarli, anche se ci provasse.”

Aggrottai la fronte, non volendo credere a quella teoria. “Penso che con la persona giusta al suo fianco, potrebbe sicuramente lasciarsi alle spalle quel tipo di vita.”

Hil mi guardò, il volto insondabile. “Dillon, stai parlando di te?”

Esitai, realizzando che potevo essere frainteso. “Beh, voglio dire, non solo io. Ma qualcuno che si preoccupi per lui e voglia vederlo felice.”

Hil si spostò a disagio, chiaramente non gradendo l’idea. “Posso farti una domanda seria? Perché so che ti piace prenderla alla leggera.”

“Certo che puoi. Di cosa si tratta?”

“Pensi veramente che tu e Remy…”

Non appena iniziò a dirlo, sentii il volto in fiamme. Non ero sicuro se fossi imbarazzato o solo ferito, ma non potevo sopportare di sentirlo finire quello che stava per dire.

“Intendo, perché no?” interruppi. “È così ridicolo pensare che potrei essere un bene per lui?”

“No, Dillon, non è questo.” Hil sospirò, la voce tesa. “Penso che lui non sia un bene per te. Sei la persona migliore che conosco. Cosa succederebbe se accadesse qualcosa tra voi due? Lo scenario migliore sarebbe che tu finiresti nel suo mondo pericoloso.

“Dillon, ho passato tutta la mia vita a pianificare la mia fuga da quel posto. Potresti finire per rimpiangere enormemente di stare con Remy.” Hil prese un’urna e la tenne tra noi. “O peggio,” disse con tristezza negli occhi.

Guardando l’urna lucidata, un brivido mi percorse la schiena. Ma nonostante quello che Hil aveva detto, non potevo perdere la mia fiducia in Remy.

“Hil, se mai dovesse succedere qualcosa tra me e Remy, lui mi proteggerebbe proprio come protegge te. Non lo fa? Secondo te, potrebbe smettere di proteggere le persone se ci provasse?”

Incontrando ancora una volta lo sguardo di Hil, vidi la sua frustrazione. Mentre ritornavamo a osservare le urne, capii che la conversazione fosse terminata.

“Ma sai se a Remy piacciono i ragazzi che non sono del tutto umani?” Hil proruppe all’improvviso, più forte di quanto chiunque dovrebbe in un negozio di urne.

Invece di rispondere, pensai a tutti gli sguardi rubati e ai tocchi prolungati che avevano alimentato le mie fantasie nel corso degli anni.

“In primo luogo ci sono stati momenti in cui siamo stati soli noi due che mi hanno fatto pensare che potrebbe,” dissi onestamente.

Hil alzò un sopracciglio. “Aspetta, quando mai siete stati soli insieme?”

“Non è successo spesso,” ammisi, “ma è successo nel corso degli anni. E a volte quando succede, mi guarda in un modo che non può essere eterosessuale.”

Hil sembrava ancora scettico.

“In secondo luogo,” dissi non sapendo se fosse il momento di dirglielo.

“In secondo luogo, cosa?”

“In secondo luogo, non credo di essere umano. Anzi, sono abbastanza sicuro di non esserlo,” dissi esitante.

Lo scetticismo di Hil si trasformò in confusione.

“Di cosa stai parlando?”

“Non te l’ho detto, ma ho deciso di affrontare mio padre.”

“Affrontare tuo padre? Cosa intendi?”

“Non ne ho mai parlato con te prima, ma non ho mai parlato con mio padre.”

“Cosa?” disse Hil confuso e orripilato.

“Sì. È un argomento doloroso, quindi l’ho sempre evitato.”

Hil sembrava sbalordito. “Quando l’hai affrontato?”

“La scorsa notte.”

“Ci siamo sentiti al telefono. Perché non me l’hai detto?”

“Perché tuo padre era appena morto.”

“Avresti comunque potuto dirmelo. Affrontare tuo padre è una cosa importante.”

“Sì. Ancora di più se aggiungi che l’uomo che pensavo fosse mio padre era solo un vampiro che aveva convinto mia madre a credere che fosse incinta e pare che io abbia sviluppato dei poteri.”

Hil rimase a bocca aperta.

“Che poteri hai?”

Guardai Hil chiedendomi come avrei potuto spiegarlo.

“Posso dirti che sei un lupo.”

Hil guardò intorno per assicurarsi che nessuno stesse ascoltando. “Ma tu sai che sono un lupo.”

“Lo so. Ma ora posso vederlo.”

“Cosa intendi?”

Feci una pausa e mi concentrati su Hil.

“Quando strizzo gli occhi, vedo te, ma vedo anche un lupo fatto di luce che si trova dove sei tu.”

“Come se fosse sopra di me?”

“È come se tu e lui foste nello stesso posto.”

“Capisco. L’hai visto con altre persone?”

“L’ho visto con mio padre… o, l’uomo che pensavo fosse mio padre. Ma per lui era diverso. Nel tuo caso, tu sei l’immagine reale e il tuo lupo è la proiezione di luce. Nel suo caso, la persona che tutti vedevano era la proiezione di luce, e la creatura dentro di essa era il vero lui.”

“E pensi che sia un vampiro?”

“Ne sono sicuro.”

“Come?”

“Lo so e basta.”

“E ti ha detto che ha convinto tua madre a credere di essere incinta? Perché avrebbe fatto una cosa del genere?”

“Ha detto che l’ha fatto perché gliel’hanno detto i suoi padroni,” dissi in modo sinistro.

“Beh, è davvero inquietante.”

“Dimmi un po’. Quindi, non solo non sono umano, ma non ho idea di cosa io sia, né perché qualcuno ha dovuto far credere a mia madre di essere incinta.”

“È stato per farle pensare che fossi suo figlio,” disse Hil con sicurezza.

Mi fermai a rifletterci. “Quindi, mi stai dicendo che nemmeno mia madre è veramente mia madre?”

Hil mi guardò con compassione. “Mi dispiace, Dillon.”

“Cavolo,” dissi sopraffatto da tutto.

Mentre mi perdevo nei miei pensieri in spirale, Hil prese un’urna.

“Questa,” disse tenendo su quella che esprimeva una maggiore eleganza signorile. “Cosa ne pensi?”

“È bellissima,” dissi cercando di tornare al mio amico in lutto. Penso che a tuo padre piacerebbe.”

“La prenderò,” disse con sicurezza. “E Dillon, non preoccuparti. Ti aiuterò a capire cosa sei. Ho incontrato persone nel paese di Cali che sanno di queste cose.” Hil esitò. “Il che significa che non devi coinvolgerti con Remy per scoprirlo.”

Hil aveva visto chiaro in me.

“E se lui sapesse qualcosa che i tuoi amici non sanno? Quando ero nella mente del vampiro…”

“Eri nella sua mente?” Hil mi interruppe.

“Sì. Era come se stessi leggendo i suoi pensieri o vedendo la sua storia o qualcosa del genere. Comunque, mentre lo facevo, ho visto che aveva paura dei lupi che governano la città. Si tratta di tuo padre, giusto?”

“Credo di sì.”

“Quindi, non avrebbe senso parlarne con Remy.”

Hil mi guardò con empatia e prese le mie mani nelle sue.

So com’è Remy e quanto può essere affascinante ma ti garantisco che ha un prezzo. E io non sopporterei di perderti.”

Guardandolo, vidi il dolore nei suoi occhi. Tirandolo tra le mie braccia dissi: “Ti voglio bene, Hil. Sarò sempre qui per te, nonostante tutto ciò che possa accadere.”

“Non sopporterei di perderti,” ripeté lui abbracciandomi.

Ma tenendo il mio migliore amico tra le braccia, presi una decisione. Per quanto amassi Hil, e quanto tenessi ai suoi sentimenti, e per quanto la mia crisi d’identità mi opprimesse, non potevo ignorare i miei sentimenti per Remy. Dovevo almeno scoprire cosa provava Remy per me.

Il fatto che il vampiro avesse fatto riferimento ai lupi, mi aveva dato la scusa di parlare con Remy e magari trovare un punto di contatto con lui proprio per questo motivo. Così avevo intenzione di usare tutto questo per capire i suoi sentimenti nei miei confronti.

Se non gli piacevano i ragazzi, va bene. L’avrei accettato e sarei andato avanti. Ma se c’era una possibilità che provasse lo stesso, dovevo prenderla.

Qualche mese prima Hil si assunse il rischio di scomparire da chiunque gli volesse bene. Quel rischio lo aveva portato a trovare la persona con cui passerà il resto della sua vita. Se Remy fosse quella persona per me, dovevo saperlo. E avrei fatto la prima mossa dopo il funerale.

 

 

Capitolo 4

Remy

 

Gettando uno sguardo attorno alla sala conferenze elegantemente decorata dell’edificio in cui ero cresciuto, osservai le luci soffuse e i fiori eleganti che adornavano i tavoli. L’atmosfera era pesante con un misto di dolore e nostalgia, ma sembrava ancora la celebrazione della vita che doveva essere.

Osservando gli ospiti, notai mia madre sedata eppure sorprendentemente socievole. Stava gestendo la cosa meglio di quanto ci si aspettasse. I miracoli della farmacopea moderna, vero?

Oltre lei, c’era mio fratello, Hil, e il suo ragazzo, Cali. Vedere Cali portava sempre un sorriso sul mio volto. Il mutaforma dei boschi che aveva il coraggio di frequentare apertamente un ragazzo, era incredibilmente facile da imbarazzare. Questo rendeva divertente prenderlo in giro.

‘Vediamo, come lo chiamerò oggi?’ mi chiesi, mentre mi avvicinavo a loro. Montanaro? No, lo chiamavo così l’ultima volta. Collo rosso? Troppo banale. Inseguitore di trattori? Magnetico? Amante della flanella?

Avvicinandomi al mio fratello afflitto, afferrai la sua spalla e strinsi.

“Hai fatto un ottimo lavoro con la veglia, Hil. Davvero. Tutti sono impressionati. A papà sarebbe piaciuto.”

Prima che Hil potesse rispondere, mi voltai verso Cali. “E in questa situazione, un ottimo lavoro significa che non ha messo una singola foto di cugini che si baciano in giro per il posto. So che è strano per te.”

“Remy!” protestò Hil.

“Cosa?” chiesi con innocenza. “Stavo solo assicurandomi che il tuo Principe Rosso qui accanto potesse seguire la conversazione. Stavo cercando di essere inclusivo.”

Cali balbettò, volendo rispondere ma sapendo che non poteva farlo per rispetto alla situazione. L’espressione torturata nei suoi occhi mi procurava un’infinita gioia.

“Remy, non è divertente,” replicò Hil.

Finsi di essere ferito. “Hil, oggi mi urlerai contro? Qui? Siamo al funerale di nostro padre. Hil, sto piangendo,” dissi sperando che il mio ghigno non fosse ancora visibile.

Hil, a corto di parole, si zittì abbastanza a lungo per permettermi di vedere, dietro di lui, in piedi da solo, Dillon. Ci stava osservando. Quando i nostri sguardi si incrociarono, il mio lupo riemerse.

Mentre alzava il bicchiere alle labbra, distolse lo sguardo. Ma era troppo tardi. Il mio lupo era conquistato. E per la prima volta da quando ci eravamo incontrati, ero libero di ottenere ciò che volevo, cioè, lui.

“Remy, quello che sto dicendo è…”

“…che non hai alcuna empatia per il mio dolore. Sì, sì, sì. Lo so, ma potremmo riprendere questo discorso più tardi? Ho degli ospiti addolorati a cui devo prestare attenzione,” dissi a mio fratello minore, sentendomi rigenerato.

Attraversando la sala verso l’uomo che avevo desiderato per così tanto tempo, mi resi conto che quello era il momento giusto. Avrei confessato i miei sentimenti. Sapevo che avrei dovuto essere nervoso, ma non lo ero. La vita che avevo sognato e programmato per anni era a portata di mano. Non vedevo l’ora che iniziasse.

Avvicinandomi a Dillon, non potei fare a meno di sorridere.

“Grazie per essere qui,” dissi sinceramente.

“Prego,” rispose Dillon, i suoi occhi castani morbidi e sinceri. “Se c’è qualcosa che posso fare per te, fammelo sapere.”

La mia mente barcollò sull’orlo di pensieri inopportuni, ma mi trattenni. “In realtà, c’è qualcosa di cui devo parlare con te.”

Dillon sembrò divertito. “È buffo perché devo dire anch’io qualcosa a te. Ma comincia pure tu.”

“Veramente?” chiesi sorpreso. “In tal caso, prego, fai tu per primo,” insistetti cortesemente.

“No, comincia tu. Io posso aspettare.”

“No, no. Credo che dovresti cominciare tu,” dissi mostrandogli che tipo di fidanzato sarei stato per lui.

“Remy, per favore,” disse toccandomi l’avambraccio.

Il calore si diffuse in me. Non c’era modo di resistere alla sua richiesta.

“Sai cosa? Hai ragione. Quello che devo dire potrebbe influenzare quello che hai da dire tu, quindi è meglio che cominci io.”

“Oh!” disse Dillon colto di sorpresa. “Va bene,” accettò nervosamente.

Mi raddrizzai, l’emotività avvolse il mio volto. “Ho pensato a te… a noi. E… non so.”

Con la sua pelle abbronzata che volgeva al rosso intenso, posò le sue dita delicate sul mio petto. “Aspetta, prima che tu lo faccia, devo dirti questo.”

“No, davvero, dovrei dire prima io.”

Dillon insistette, “Non dirlo finché non ti ho detto quello che devo dire.”

“Oh, merda!”

“Non è niente di grave. Te lo prometto,” Dillon mi rassicurò prima di notare che stavo guardando qualcosa alle sue spalle. “Cosa c’è?”

“Torno tra un attimo e ti prometto che continueremo questa conversazione,” dissi, staccandomi da lui con riluttanza.

Attraversai di nuovo la sala, con il mio lupo pronto ad emergere, mi diressi verso Armand Clément, il più grande rivale di mio padre e l’alfa con cui avevo fatto il mio affare. In cambio della mia uscita dal mondo della mafia, avevo accettato di cedergli gli affari illegali di mio padre.

In cambio, avrei mantenuto le aziende che avevo creato da zero. Inoltre, il suo branco avrebbe offerto alla mia famiglia la sua protezione. Lo avevo considerato un vantaggio reciproco. Lui avrebbe ottenuto ciò per cui lui e mio padre avevano versato sangue, e io avrei potuto avere ciò che avevo costruito… e Dillon.

Hil, mia madre e io non gli avremmo dovuto nient’altro. Non avremmo mai dovuto rivederlo.

E invece, eccolo là, fiancheggiato da due dei suoi scagnozzi e da una bionda mozzafiato abbastanza giovane da essere sua figlia. Trattenendo il mio impulso di mutarmi e fare a pezzi lui e il suo lupo, mi avvicinai abbastanza vicino da percepire i mutamenti del suo profumo.

“Cosa ci fai qui, Armand?” chiesi senza dargli tregua.

“Remy, sono qui per rendere omaggio,” rispose con un accenno di sarcasmo.

“Stronzate. Se volevi mostrare rispetto non saresti mai entrato nel territorio di mio padre.”

“Ma questo non è più il territorio di tuo padre. È mio. È tutto mio. Grazie a te.”

“E il nostro accordo era che ti saresti tirato indietro e ci avresti lasciato vivere la nostra vita.”

“No,” corresse Armand con un ghigno. “Il nostro accordo era che vi avrei trattato come un branco. Quindi, sono qui… per il mio branco.”

Fissai il suo volto presuntuoso desiderando affondarvi i miei denti da lupo. Non potevo, però. Non lì. Non in quel momento.

“Taglia corto e vieni al dunque, Armand. Perché sei qui?”

L’uomo con una cicatrice sul viso, costruito sull’indulgenza, rilasciò un sorriso da serpente.

“È per questo che mi piaci. Vai sempre dritto al punto. Ok, ecco cosa c’è. Ho fatto delle ricerche. Sembra che le aziende che ti ho permesso di tenere valgano un po’ di più di quanto avrei pensato. I miei contabili dicono più di un miliardo.”

“Intendi le aziende che ho costruito da zero senza l’aiuto di mio padre?”

“No, intendo quelle che hai costruito sulle spalle dell’impero di tuo padre, un impero che ora è mio.”

“Non è andata così. Mio padre non aveva niente a che fare con le mie aziende.”

“Ma il suo denaro sì. Denaro che proveniva dal sangue del mio branco, a mie spese.”

Stringendo i pugni, lottavo per mantenere calmo il mio lupo. “Armand, ti ho dato tutto il resto. Cosa vuoi di più?” chiesi.

I suoi occhi brillarono di malizia. “In realtà, quello che voglio è farti un’offerta generosa. Non ti chiederò la quota delle tue aziende, come molti direbbero che merito. Ti offro invece una soluzione per assicurarmi che nessun male toccherà mai le persone che ami.”

“E come sarebbe possibile?”

“Unendo le nostre famiglie.” Indicò la giovane donna che stava accanto a lui. “Voglio che tu sposi mia figlia, Eris.”

Lo fissai stordito, poi ridacchiai. “Devi essere pazzo.”

Il volto di Armand si indurì. “Non sto scherzando, Remy. Sposa mia figlia e le nostre famiglie saranno legate da qualcosa di più che affari. Non propongo questo accordo alla leggera. Il tuo rifiuto sarebbe per me un grande insulto.”

Il mio sguardo passò da Armand alla bellissima donna accanto a lui, poi a Dillon, che osservava attentamente dall’altra parte della stanza. Sapevo cosa stava suggerendo Armand, ma non importava. Non potevo farlo. Non l’avrei fatto.

“Guarda, apprezzo la… proposta, ma non posso sposare tua figlia.”

I suoi occhi si restrinsero. “Ti suggerisco di ripensarci, Remy. Non vorrai insultarmi. Non su questo punto. Se lo facessi, ne pagherai… le conseguenze.”

Sentendo la sua minaccia, il mio lupo cominciò a prepararsi. Valutando rapidamente le mie opzioni, guardai di nuovo nella stanza. Ero in una posizione impossibile. Non potevo mettere a rischio la sicurezza della mia famiglia, né potevo mettere in pericolo Dillon. Ma sposare Eris avrebbe significato rinunciare a qualsiasi possibilità avessi con Dillon, l’uomo che amavo.

Come potevo fare questo? Non potevo. Ma come potevo evitarlo?

Le grosse mani di Armand afferrarono il mio bicipite tirandomi da parte e risvegliandomi dalla mia illusione. Stavo per dirgli di andare all’inferno e affrontare le conseguenze, quando abbassò la voce parlando da lupo a lupo.

“Vedo che sei combattuto. Forse c’è qualcun altro con cui preferiresti stare?”

“Arriva al punto,” insistetti non volendo discutere dei miei sentimenti per un altro uomo con lui.

“Il punto è che siamo alfa, anche se uno di noi non ha un branco. E i lupi come noi non possono essere contenuti. Non mi aspetterei che tu lo fossi. Tutto ciò che mi aspetto da te è un matrimonio ed un erede. Oltre a ciò, chi può dire quello che fai? Vivi la tua vita senza insultarmi e non mi importerebbe che cosa combina il tuo lupo.”

Io fissai Armand stordito. Stava proponendo che tradissi sua figlia?

“Nel mio branco, è una tradizione,” mi confermò inducendomi ad odiarlo ancora di più.

Il mio lupo cominciò ad agitarsi, alimentato dalla rabbia e dall’impotenza. Stavo per rifiutare di nuovo quando guardai il suo scagnozzo. Il suo profumo mi diceva che stava per mutarsi in lupo, e anche il suo compagno. Armand era venuto preparato per versare del sangue. Non potevo permettere che succedesse in una stanza piena di persone a cui tenevo… e Cali.

Con i miei pensieri che acceleravano verso il panico, serrai i denti e dissi: “Va bene!” Uscì prima che mi rendessi conto di quello che stavo dicendo.

“Cosa hai detto?”

La mia mascella si serrò dopo aver preso un momento per considerare la situazione. Mi aveva incastrato.

“Sposerò tua figlia,” gli feci sapere rimanendo stordito dalle parole uscite dalla mia bocca.

Il sorriso di sufficienza di Armand tornò. Si allontanò rapidamente da me e si rivolse alla stanza attirando l’attenzione di tutti.

“Signore e signori, ho grande rispetto per l’uomo che oggi siamo qui ad onorare. Possiamo aver avuto le nostre differenze, ma il tempo delle controversie è finito.

“Per questo motivo, vorrei annunciare una notizia felice in un giorno altrimenti triste. Si tratta del fidanzamento di mia figlia, Eris, a Remy Lyon, una unione che permetterà a pace e prosperità di fiorire per tutti. Lasciamo che la nostra un tempo aspra rivalità finisca qui e che le nostre grandi famiglie ora si uniscano.

“Facciamo un applauso ai nuovi fidanzati,” chiese ai presenti sorridendo da un orecchio all’altro.

Un applauso confuso e formale riempì la stanza. Lo shock era inciso sulle espressioni della mia famiglia. Era surreale. Che cosa avevo fatto? La realtà della mia decisione non mi colpì fino a quando non sorpresi Dillon incrociare il mio sguardo. La sua delusione e il suo dolore erano ineluttabili.

L’eccitazione elettrizzante che avevo provato nel parlare con lui era sparita. La sostituiva un vuoto doloroso, senza scampo. Avevo appena rinunciato alla mia possibilità di amare. E per cosa?

Ma guardandolo, capii che dopo essere stato così vicino ad averlo, non potevo semplicemente lasciarlo andare. Anche se non potevo stare con lui, lo volevo vicino a me. Sapevo di dovergli offrire qualcosa.

“Dillon,” lo chiamai, mentre si dirigeva verso la porta posteriore sembrando sul punto di piangere. Si fermò. Quando lo raggiunsi avvolsi il mio braccio intorno al suo bicipite. Era così magro. Lo attirai più vicino a me, ma lui non voleva guardarmi.

“È di questo che volevi parlarmi? Che stavi per sposare quella donna?” sputò pieno di gelosia.

“No. Non era quello per niente.”

“Allora non avevi intenzione di dirmi nulla al riguardo?” disse finalmente guardandomi negli occhi.

“Non è quello che intendevo.”

“Allora cosa?”

Aveva ragione. Cosa gli avrei detto? Dovevo dirgli che avevo appena venduto la mia anima per la vita di tutte le persone lì dentro? Era la verità. Ma nemmeno ero in grado di fare il martire in quel modo.

No, avevo avuto altre opzioni e avevo fatto la mia scelta. Adesso dovevo viverci. Ma questo non significava che avrei lasciato Dillon. Secondo Armand, non avrei dovuto nemmeno farlo, anche se, la mia proposta di chiedergli di essere il mio fidanzato probabilmente doveva cambiare.

“Considereresti di lavorare per me? Potrei usare qualcuno di fidato nelle mie attività.”

Esitò, il suo sguardo fisso sul mio. Colto di sorpresa, sembrò confuso.

“Remy, sai che sto ancora studiando all’università, vero? Mi manca almeno un anno prima di laurearmi.”

“Ma sta per arrivare la pausa estiva, no? E quando ti laureerai, avrai bisogno di esperienza lavorativa. Quindi, a questo proposito, vorrei assumerti come mio…”

“…segretario?” interruppe Dillon.

Lo guardai, sorpreso dalla sua modesta ipotesi. Gli era venuta quell’idea al volo, quindi non sapevo effettivamente cosa stavo per proporgli. Ma mi diede una mano a conoscere le sue aspettative.

“No,” ribattei. “Come mio assistente. Mi aiuterai quotidianamente e potrò contattarti ogni volta che avrò bisogno di te.”

“Sembra proprio il lavoro di un segretario,” insistette Dillon.

Scossi la testa, “Non lo è.”

“Dovrei sedermi a una scrivania fuori dal tuo ufficio?”

L’idea di poter alzare lo sguardo in qualsiasi momento e vederlo mi fece immediatamente eccitare. “Assolutamente. Quella parte non è negoziabile.”

“Allora sarò un segretario,” concluse lui senza dare ancora nessun indizio su come si sentisse riguardo all’idea.

“Chiamalo come vuoi. L’unica cosa che conta per me è, accetti?”

 

 

Capitolo 5

Dillon

 

Sedevo nel sofisticato caffè di Soho, sfregando le mani sudate sui jeans, in attesa di Hil. Il mio cuore batteva forte, chiedendomi cosa avrebbe detto del fatto che avevo accettato l’offerta di lavoro di Remy. Aveva avuto ragione sul fatto che Remy non aveva lasciato il mondo della Mafia. E ora io ero pronto a entrarci volontariamente.

Il caffè era un mix di moderno e vintage, con pareti in mattoni a vista, sedute in pelle eleganti e un’atmosfera calda e accogliente. Era un luogo che frequentavamo da ragazzi. Molte delle nostre giornate estive le passavamo lì a sorbire caffè, immaginandoci più grandi di quanto fossimo, con la guardia del corpo di Hil a un tavolo di distanza.

Come nel caso del vampiro, vidi lo stesso ricordo attraversare la mente di Hil quando entrò. Gli regalai un sorriso nervoso quando il suo sguardo si posò su di me e lui si avvicinò.

“Ho scelto questo posto perché pensavo che ci avrebbe riportato indietro con la memoria,” gli dissi mentre si sedeva.

Hil si guardò attorno, prendendo in considerazione l’ambiente familiare. Io rividi la sequenza del film del nostro periodo insieme. Stavolta era iniziato senza sforzo. Era come se la barriera tra me e la mia capacità si stesse consumando.

“Se non fosse per te, non saprei nulla di New York,” ammise. “Venivamo qui facendo finta di essere adulti. Ora vivo con il mio ragazzo e tu sei a un anno dal laurearti. È strano.”

“Sì. Strano,” dissi con una risata, la nostalgia mi riscaldava nonostante l’ansia.

Prendendo un respiro profondo, mi inebriai dell’ultimo nostro vecchio rapporto e dissi, “Hil, Remy mi ha offerto un lavoro.”

La sua espressione rimase indecifrabile. “Non dovresti accettarlo, Dillon,” disse fermamente.

Mi si riempirono gli occhi di lacrime. Guardando in grembo, mormorai, “Va bene.”

Una lacrima scivolò lungo la mia guancia, e la mano di Hil si tese per confortarmi.

“Perché stai piangendo?” chiese dolcemente.

Mi soffiai il naso, incontrando il suo sguardo. “Perché pensi che non sia all’altezza della tua famiglia?”

Hil sospirò, i suoi occhi si riempirono di preoccupazione.

“Per niente, Dillon. Non è per niente così. Tutta la mia vita, mi sono sentito intrappolato nella vita folle della mia famiglia. Non voglio che tu mi segua in questa cella.” Fece una pausa, perso nei ricordi. “Non sai come è stato crescere in quella gabbia che era il nostro attico, dove l’unico amico che avevo mi stava vicino per pietà.”

Scossi la testa, negando la sua affermazione. “Non è per questo che siamo amici, Hil. Siamo amici perché ti voglio bene.” La mia voce tremava mentre continuavo, “E sono davvero stanco di essere il caso di carità della tua famiglia. Ne sono grato, non pensare altrimenti. Ma voglio cavarmela da solo.

“Se accettassi l’offerta di Remy, forse potrei farlo. E forse se mi meritassi la mia strada, potrei essere io a portarti fuori invece di dipendere sempre dalla tua generosità.”

Avendo sentito quello che ho detto, Hil si asciugò gli occhi, singhiozzando.

“Non voglio che tu ti coinvolga con Remy, Dillon. E non perché non sei all’altezza della nostra famiglia. Penso già a te come a un fratello.”

“Allora, non capisco. Perché non vuoi che stiamo insieme?”

“Perché ho bisogno di te, Dillon. E so che se ti mettessi d’accordo con lui, ti farebbe soffrire. Quando accadrà, capirai che sei troppo buono per persone come noi, e poi… non vorrai più essere amico mio,” ammise mentre le sue lacrime continuavano a scorrere.

“So che è egoista, ma non sopporterei di essere di nuovo solo, Dillon,” aggiunse Hil, la voce rotta. “E tu sei tutto quello che ho. Non voglio perderti.”

Stesi la mano e gli strinsi la sua. “Hil, niente potrà mai rompere la nostra amicizia. E non sarai mai più solo. Non solo hai Cali, ma io non me ne andrò da nessuna parte. Te lo prometto.”

Hil sorrise tra le lacrime, annuendo. “Sono davvero fortunato ad avere voi due. Ma per favore, promettimi che non ti farai coinvolgere con Remy. Farei qualunque cosa. Se hai bisogno di soldi, posso far sì che la commissione delle borse di studio aumenti il tuo stipendio. Se si tratta di ricercare ciò che sei, tornerò da Cali tra qualche giorno. Inizierò a chiedere in giro non appena lo farò”.

Scossi la testa. “Niente di tutto questo, Hil. Voglio iniziare a guadagnare i miei soldi. E voglio accettare l’offerta di lavoro di Remy con la tua benedizione.”

Hil esitò un momento, poi finalmente si arrese. “Va bene, Dillon. Hai la mia benedizione. Ma promettimi una cosa: non cadere nel fascino di mio fratello.”

Sorrisi. “Lo prometto.”

“Grazie,” disse avvicinandosi e abbracciandomi.

Tenendolo, guardai in giro il posto dove una volta avevamo fatto finta di essere adulti e mi chiedevo se avevo fatto una promessa che avrei potuto mantenere.

Una settimana dopo aver accettato l’offerta di lavoro di Remy, entrai nel suo elegante palazzo di Brooklyn per la prima volta. Non sapevo cosa aspettarmi ma quando Remy uscì dal suo ufficio per salutarmi, i miei pantaloni sottili non riuscivano a nascondere la mia eccitazione.

La possente figura di Remy, alto quasi due metri, riempiva una camicia bianca come se fosse stata dipinta su di lui. E con le maniche arrotolate, i suoi tatuaggi erano completamente esposti. Riuscivo a malapena parlare, sentendo un’ondata di desiderio mi travolgeva. Era come se avessi di nuovo quattordici anni, erezione incontrollabile e tutto il resto.

“Dillon, sono così eccitato di averti finalmente…”

“… qui?” balbettai.

“Dove preferisci,” rispose con un sorriso e una suggestione abbastanza forte da mettermi in ginocchio. “Ora, il primo punto all’ordine del giorno, vieni con me,” disse passando rapidamente a un tono serio.

“Dove stiamo andando?” chiesi, la mia voce suonava debole non avendo avuto il tempo di appoggiare i miei effetti personali.

“Facciamo una riunione a piedi. Sembra professionale, vero? Sì, facciamo una riunione professionale a piedi,” disse guidandomi fuori.

“Avrò bisogno di prendere appunti?” risposi, cercando il mio telefono per dar prova di un minimo di professionalità.

Mentre lo tiravo fuori e accedevo all’applicazione per gli appunti, lui guardò il mio vecchio dispositivo e sospirò.