Lou
Che razza di idiota invita un ragazzo a incontrare i propri genitori al terzo appuntamento? È come quando qualcuno scavalca la recinzione della gabbia dei gorilla allo zoo… e poi porta il gorilla a incontrare i propri genitori al terzo appuntamento. È una follia che solo una psicopatica potrebbe fare.
Ma il fatto è questo: abbiamo messaggiato tantissimo, e mi ha detto che si stava innamorando di me dopo il secondo appuntamento. Esatto, ho avuto un secondo appuntamento con qualcuno. So che nessuno ci avrebbe scommesso.
Ma io l’ho fatto e lui mi ha portato in montagna a vedere una pioggia di meteoriti. E aveva portato con sé una coperta e un cestino da picnic. Sto praticamente piangendo solo a ripensarci. Nessuno mi ha mai trattata così. Quindi, quando i miei genitori hanno detto che sarebbero venuti a trovarmi, come potevo non cogliere l’occasione per dimostrare loro che si sbagliavano?
«Non abbiamo problemi con la tua decisione di smettere di prendere le tue medicine», avevano detto. «Pensiamo solo che nessuno ti amerà, se non lo fai.»
Cosa? I miei genitori lo avevano detto? Pensano che la loro figlia non troverà mai l’amore?
Beh, lascia che ti dica una cosa, mamma: c’è un ragazzo sexy e ricco che ogni ragazza ucciderebbe per avere accanto. E si sta innamorando di me, la figlia che secondo te nessuno amerà mai.
L’ho sempre detto: se la vita ti dà limoni, devi riuscire a usarli per dimostrare che i tuoi si sbagliavano su di te. Seymour è il mio limone. Sey assomiglia al tipo che lancia le chiavi al messicano più vicino per fargli parcheggiare il suo yacht? Un po’. Ma secondo i miei genitori, sembro una ragazza che non troverà mai l’amore. Quindi, l’aspetto può ingannare.
L’unico problema è che ho scritto a Sey l’ora e il luogo in cui incontreremo i miei genitori e non mi ha risposto per confermare. Ogni giorno, il ragazzo mi scrive “Buongiorno, bellezza”. E la mattina in cui dovrebbe conoscere i miei, non mi risponde?
Ho commesso un errore? Ho corso troppo? È stato lui a dire che si stava innamorando di me. Non sono stata io. Quindi, quanto è stato azzardato invitarlo a conoscere i miei?
Ho rovinato tutto, vero? Oh, Dio, l’ho fatto. Ho preso un ragazzo che mi aveva offerto un ramoscello d’ulivo e l’ho usato per sculacciarlo. Non mi ha visto staccare le foglie, per caso? Avrebbe potuto fermarmi. Avevamo una parola d’ordine, almeno? No, non ce l’avevamo. Merda, l’ho spaventato.
In procinto di sperimentare un vero e proprio attacco di panico, tirai fuori il telefono e chiamai l’unico che sapeva come gestirmi quando mi trovavo in uno stato del genere.
«Titus?»
«Lou, che succede?»
Lo sentivo sorridere attraverso il telefono. Non sapeva che la mia vita stava andando a rotoli? Come poteva sorridere in un momento come questo? Chi era il pazzo, adesso?
«Cosa succede? Te lo dico io, cosa succede. Sto andando a incontrare i miei, e il mio ragazzo, che ho invitato al solo scopo di far rimangiare ai miei genitori le loro parole, non mi ha detto se verrà.»
«Aspetta, è il tuo ragazzo? Quando è successo?»
«Non lo so. Dopo il nostro secondo appuntamento. Mi ha detto che mi amava e…»
«Ti ha detto che ti ama dopo il secondo appuntamento?» mi chiese interrompendomi.
«Sì. O forse l’ha fatto per messaggio. E potrebbe aver detto che si sta innamorando di me. Ma è solo a un passo dall’amore vero e proprio, giusto?»
«Sì… credo.»
«Quindi, mi ha detto che mi amava. Poi gli ho detto che i miei sarebbero stati in città e che avrebbe dovuto conoscerli. Lui ha detto che voleva e ci siamo messi d’accordo. Ma stamattina, quando gli ho scritto i dettagli, silenzio stampa. Neanche un meme. E io adoro i meme divertenti che mi manda. È una delle cose migliori della nostra relazione.»
«Wow! È davvero tanto.»
«Cosa è davvero tanto?»
«Hai appena detto così tante cose che…»
«Oh, mio Dio, sono qui» dissi interrompendo Titus. «Cosa farò? Cosa devo fare?»
«Prima di tutto, calmati.»
«Ti sto dicendo che la mia vita è a rischio e tu mi suggerisci di calmarmi? È il momento perfetto per farsi prendere dal panico.»
«Lou, ascoltami. Fai un bel respiro. Respira.»
Fissando la pasticceria in cui avevo detto ai miei di vederci, feci quello che mi stava dicendo Titus. Feci un respiro profondo. Era difficile, visto le mani giganti che mi stringevano il petto, ma lo feci. E aveva aiutato. Non mi sentivo quasi più sul punto di svenire.
«Lo stai facendo?»
«Zitto, sto cercando di respirare» gli dissi, faticando a prendere un altro respiro.
Dopo che il mio cuore rallentò, passando da cervo sotto caffeina alla modalità scoiattolo sotto speed, mi ricomposi.
«Sei ancora lì?» mi chiese Titus.
«Sono qui.»
«Okay. Dove sei?»
«In piedi davanti al mio destino.»
«Intendevo fisicamente. A quale indirizzo sei?»
«Sono davanti a Nutmeg.»
«Bene. Hai bisogno che venga lì?»
«Non stai facendo il giro del mondo o qualcosa del genere?»
«Non sto facendo il giro del mondo. Sto solo aiutando Nero a sistemare la sua nuova casa. Lo sai. Sai anche che era il jet della sua squadra. Non potevo permettermi nemmeno le noccioline, su quell’affare. Nero ha dovuto pagarmi il biglietto di ritorno.»
«Quindi stai tornando?»
«Stiamo per atterrare. Potrei prendere un taxi ed essere lì in quindici minuti.»
«Oh, aspetta! Non dovevo venirti a prendere all’aeroporto? Mi dispiace tantissimo. I miei genitori mi hanno detto che sarebbero stati in città per un giorno e l’ho dimenticato.»
«Lo capisco. Ho capito. Non preoccuparti. Prenderò un taxi. E se mi vuoi lì, potrei raggiungerti in pochi minuti.»
Ci pensai su. Avevo detto ai miei che c’era qualcuno che volevo fargli conoscere. Quanto sarebbe stato umiliante presentarmi da sola? Avrebbe dimostrato che tutto ciò che avevano pensato di me era vero. Non potevo sopportarlo. Il solo pensiero mi faceva venire voglia di cadere in ginocchio in lacrime.
«Potresti davvero?» chiesi, amando Titus più di quanto pensassi possibile.
«Certo che posso. La hostess mi sta dicendo che devo spegnere il telefono. Ma non preoccuparti. Sarò lì al più presto. Ci sono io con te, Lou. Lo sai.»
«Lo so. Grazie,» dissi alla fine, calmandomi.
Sarebbe andato tutto bene. Non sapevo cosa fosse successo a Sey, ma ora non dovevo occuparmi di questo. Certo, avevo lasciato intendere che avrebbero incontrato qualcuno con cui uscivo, ma non conoscevano ancora Titus. Avrei potuto dire che volevo conoscessero il mio migliore amico. Sarebbe andato tutto bene.
Tornando a fissare la pasticceria, pensai a chi mi avrebbe aspettato all’interno. Frank e Martha non venivano a trovarmi da quando mi avevano accompagnata all’università. Non erano quel tipo di genitori premurosi che chiamano i figli per sapere come stanno. Ero il loro accessorio, io.
Nonostante avessero un bel po’ di soldi, sono cresciuta come se lottassimo per andare avanti. Ancora oggi, non riesco a pensare a un solo regalo che mi abbiano fatto che costasse più di 20$. Nel frattempo, loro cambiavano auto ogni anno. Facevano qualsiasi cosa li facesse apparire bene agli occhi delle orribili persone che li circondavano. Farmi sentire amata o protetta, invece, non rientrava nella lista.
L’unico motivo per cui potevo permettermi di frequentare la East Tennessee University era mia nonna. Aveva pagato lei per tutto quello che avevo. Anche quando ero piccola, se avevo bisogno divestiti nuovi o di qualche moneta in tasca, andavo da lei. Era tutto per me.
Senza di lei non sarei sopravvissuta alla mia infanzia. Era stata lei a dirmi che andava bene che fossi ciò che ero e che mi avrebbe amato a prescindere da tutto. Questo prima che decidessi di smettere di prendere le medicine. Nonna Aggie, probabilmente, era stata l’unica a suggerirmi di fare una cosa del genere. Come poteva sapere quanto viva mi sarei sentita una volta smesso di assumerle? Sembrava sapesse molte cose a cui gli altri, invece, non pensavano neanche. Era come se avesse una connessione con l’aldilà.
Tuttavia, non usava quella sapienza come avrebbero fatto i miei genitori. Con un’abilità del genere, Martha avrebbe trasformato tutti in suoi schiavi, mentre Frank sarebbe diventato un super criminale. Frank era silenzioso, ma quando ti fissava potevi vedere nei suoi occhi le cose orribili che pensava.
Nonna Aggie era il mio unico rifugio da tutto questo. Non sarei sopravvissuta senza di lei. La vita era troppo dura e solitaria. Potrei piangere pensando al numero di volte in cui mi abbracciava dicendomi che avrei potuto superare qualsiasi cosa. Quando non le credevo, continuava a stringermi finché non mi convincevo.
Le braccia di nonna Aggie erano il mio unico spazio sicuro in tutto il Tennessee. Penso a lei ogni giorno e la chiamo spesso. Attingere alla forza che mi ha dato è l’unica ragione per cui ora sono in grado di entrare in quella pasticceria.
Non avevo un fidanzato da mostrare ai miei, ma almeno c’era Titus. Sarebbe arrivato presto, e l’amicizia che ci lega avrebbe dimostrato loro che valevo qualcosa. Anche se loro non lo pensavano, qualcuno invece lo pensava eccome. Proprio come aveva sempre fatto nonna Aggie.
Prendendo un ultimo respiro profondo, mi avvicinai alla porta a vetri e scrutai all’interno. Entrambi erano seduti lì, vestiti in maniera impeccabile come al solito. Martha indossava un tailleur blu che la faceva sembrare un marinaio, senza dimenticare le sue solite perle.
Frank, invece, indossava una polo verde e dei pinocchietti. Era la persona più anonima di tutta la sala. Io potevo pur essere il loro accessorio, ma Frank era quello di Martha. Il suo compito era quello di non metterla in ombra in alcun modo. Lui faceva i soldi e apriva tutte le porte, ma non gli era permesso avere una propria personalità. Per lui era sempre stato un bene.
Entrando, raddrizzai la schiena e mi avvicinai a loro. Quando quasi raggiunsi il tavolo, si voltarono.
«Mamma, papà.»
Mia madre trasalì. «Sai che odio quando ci chiami così.»
Lo sapevo eccome. Ecco perché lo avevo detto.
«Scusa. Frank, Martha.»
Sapevo anche che a Martha piaceva sentire il suo nome, prima.
«Ti avrebbe ucciso essere puntuale per una volta nella vita?» brontolò mia madre.
«Non lo so. L’avrebbe fatto?»
Martha si voltò verso Frank.
«Non posso avere a che fare con lei, se si comporta così. Non posso proprio, non oggi.»
«Louise, rispetta tua madre» mormorò Frank.
«Allora parli» dissi, genuinamente sorpresa che lo avesse fatto.
«Capisci cosa voglio dire?» gli chiese mia madre.
«Louise!» mi rimproverò mio padre alzando la voce.
«Bene!» risposi, alzando le mani in segno di sconfitta.
Non aveva urlato, ma qualsiasi manifestazione di emozione da parte sua era snervante.
«Devi proprio farlo ogni volta?» continuò mia madre.
«Fare cosa? Ho solo salutato. Sei tu che mi stai criticando da quando sono arrivata.»
Frank riprese la parola. «Louise, stiamo aspettando da mezz’ora.»
Aveva ragione. Avevo fatto tardi. Stavo dando a Sey tutto il tempo possibile per rispondermi.
Ma non è che loro non mi avessero mai fatto aspettare. Per esempio, stavo ancora aspettando il regalo del mio tredicesimo compleanno. Doveva pur esserci un negozio da 0,99 centesimi da qualche parte.
«Non hai toccato il tuo croissant» dissi, guardando l’oggetto di scena sul tavolo davanti a loro. «Hai intenzione di mangiarlo? Perché io non ho pranzato.»
Martha sbuffò disgustata e me lo spinse davanti. So che era una sciocchezza, ma quel cornetto era la prima cosa che mi regalavano dopo anni. Forse mi volevano bene, dopotutto.
Strappandolo a metà, le scaglie di sfoglia caddero sia sul piatto che tutto intorno. Entrambi i miei genitori mi guardavano come se fosse l’ora della pappa allo zoo.
«Allora, come va la scuola?» chiese mio padre.
Quasi affogai. Nessuno dei due me lo aveva mai chiesto, prima. Non sapevo cosa stesse succedendo. E per quanto volessi rispondere con qualcosa di sprezzante, non osai. E se la preoccupazione che mi stavano mostrando fosse reale? Se, nonostante una vita di prove del contrario, avessero davvero tenuto a me? Non potevo rischiare di rovinare tutto.
«Va tutto bene» dissi sinceramente. «Uhm, le lezioni stanno andando bene. Ho una compagna di stanza davvero fantastica… Quin. Uhm, ho anche un ragazzo» dissi improvvisamente, desiderando disperatamente la loro approvazione.
«Capisco,» rispose Frank abbassando lo sguardo.
Avevo rovinato il momento ricordandogli che non li avevo ascoltati sulla questione delle medicine ed ero sopravvissuta? L’avevo fatto, vero? Se avessi tenuto la bocca chiusa e mi fossi limitata a dire che le cose andavano bene, non avrebbe distolto lo sguardo. Lo facevo sempre: continuavo a parlare quando avrei dovuto stare zitta.
«Ed eccolo qui!» dissi vedendolo aprire la porta.
Sey era venuto. Era lì! Avrei potuto persino piangere, vedendolo. E dietro di lui c’erano cinque dei suoi compagni di squadra. Cosa stava succedendo?
Appena mi vide, gli si illuminarono gli occhi. Spalancò la porta ed entrò.
«Lou!» gridò dall’altra parte del locale. I suoi compagni di squadra si schierarono alle sue spalle.
«Sey, cosa sta succedendo?»
Sey guardò i ragazzi. Quando lo fece, questi cominciarono a cantare.
«I saggi dicono che solo gli sciocchi si buttano a capofitto. Ma io non riesco a fare a meno di innamorarmi di te.»
Mentre i ragazzi continuavano quella che doveva essere la più brutta interpretazione di una delle mie canzoni preferite, Sey attraversò la stanza per avvicinarsi a me. Sconvolta, guardai i miei genitori. Entrambi avevano lo sguardo basso e distante. Non volevano saperne nulla di ciò che stava succedendo e non lo stavano affatto nascondendo.
Non mi importava. Qualunque cosa stesse accadendo, era la più romantica che qualcuno avesse mai fatto per me e non avrei permesso loro di rovinarla.
«Lou, so che non ci conosciamo da molto tempo. Ma quando incontri la persona con cui sai di voler passare il resto della vita, lo capisci. E se è così, che senso ha aspettare?»
«Aspetta, cosa?» dissi, sia inorridita che deliziata allo stesso tempo.
«Come un fiume che scorre sicuro verso il mare, tesoro, così va: alcune cose sono destinate semplicemente a essere.»
«Lou, quello che voglio dire è che sì, forse ci siamo appena incontrati, ma già ti conosco. Ti conosco da tutta la vita perché eri il sogno che pregavo ogni notte si realizzasse. Quindi…» s’interruppe, mettendosi in ginocchio davanti a me e tirando fuori un anello dalla tasca.
«Oh, mio Dio!» sussultai.
«Louise Armoury, vuoi sposarmi?»
Prese a girarmi la testa. Tutto questo era reale? Doveva esserlo. Non avrei mai messo dei cantanti così orribili in una delle mie fantasie.
Potevo farlo? Avrei dovuto? Ci eravamo appena conosciuti. Ma, come aveva detto lui, quando lo capisci, ormai lo hai capito. E non c’era mai stato nessuno, nella mia vita, che mi aveva trattato come lui. Mai.
«Sì,» dissi. «Sì, lo voglio» gli dissi con le lacrime che mi rigavano le guance.
«Davvero?» chiese lui, felice quanto me.
«Lo voglio» ripetei, sapendo che era la decisione migliore che avessi mai preso.
Mi prese la mano e fece scivolare l’anello sull’anulare. Era un po’ grande, ma andava bene così. Potevamo sistemarlo. Eravamo innamorati e l’amore poteva sistemare tutto.
Si alzò e mi baciò. Era il mio primo bacio da fidanzata. Fu meraviglioso. Non ero mai stata così felice in vita mia.
Con le braccia di Sey intorno a me, mi voltai verso i miei genitori. Non avevano ancora guardato Sey. Non avevano spostato gli occhi dal pavimento. Era forse perché non sopportavano di essersi sbagliati? Avevano detto che nessuno mi avrebbe mai amato per quella che ero, ma questa era la prova che si sbagliavano.
Un uomo mi amava così tanto da chiedermi di sposarlo dopo solo due appuntamenti. Questo non diceva tutto quello che c’era da dire su di me? Ero amabile. Valevo il tempo di qualcuno.
«Allora? Non avete intenzione di dire nulla?» chiesi, avendo bisogno di una prova tangibile della loro sconfitta.
Fu allora che mia madre alzò lo sguardo. I suoi occhi si fissarono sui miei.
«Tua nonna Agatha è morta. Le esequie avranno luogo domani. Ci sarà la lettura del suo testamento. Ti aspetteremo lì, cerca di non fare tardi» disse, prima che entrambi si alzassero e uscissero.
Li guardai sbalordita. Non riuscivo a parlare né a muovermi. Dovevo aver sentito male, o forse era uno scherzo.
«Nonna Aggie è morta,» sentii dire da qualcuno.
Quel qualcuno ero io. La frase era stata intesa per essere una domanda per le due persone che se ne stavano andando, portando con sé la mia percezione della realtà. Ma non riuscirono a sentirmi. Riuscii a malapena a sentirmi io. E, mentre uscivano dal negozio e passavano davanti alla vetrina, superarono un altro viso familiare. Quella persona aveva in mano un bouquet di fiori.
«Titus» sussurrai prima che i suoi occhi devastati si voltassero verso di me e corresse oltre la vetrina, sparendo dalla vista.
Titus
Non potevo aver visto quello che avevo visto, vero? Lou, la ragazza che era stata a più primi appuntamenti di quanti alberi ci fossero in Tennessee, si era fidanzata ufficialmente? Non poteva essere vero. Eppure, lo avevo visto. Ero stato lì a guardare tutta la scena.
Lou mi aveva detto con chi si stava sentendo. Era uno studente in scambio che faceva parte della squadra di football. Era arrivato questo semestre, quindi dopo che ero stato tagliato fuori. Ma avevo riconosciuto tutti i ragazzi che cantavano dietro di lui. Erano stati i miei compagni di squadra.
Costretto a chiudere gli occhi mentre raggiungevo il mio pickup, recuperai il contegno e presi fiato. Le lacrime minacciavano di uscire, ma non glielo avrei permesso. Sì, avevo aspettato troppo. Sì, avevo ignorato tutto quello che Nero e Quin mi avevano detto sul rivelarle ciò che provavo, ma alla fine li avevo ascoltati. Questo sarebbe stato il giorno.
Avevo fatto una deviazione per prendere i fiori. Se non l’avessi fatto, avrei potuto essere lì per impedirlo? Se le avessi detto cosa provavo, avrebbe comunque detto di sì a quel ragazzo?
Mi squillò il telefono, strappandomi dalla mia crescente disperazione. Quando lo tirai fuori, vidi il nome di Lou sullo schermo. Non potevo parlarle proprio adesso. Sapendo di non poter fingere di essere felice per lei, rimisi il dispositivo in tasca.
Guardai la dozzina di rose rosse che mi erano costate un occhio della testa e le gettai a terra. Ero stato un tale idiota. Non potevo stare lì. Dovevo andarmene. Felice di essermi fermato a casa per prendere il mio pickup anziché precipitarmi direttamente qui dall’aeroporto, salii e partii.
Nel giro di pochi istanti, il telefono squillò di nuovo. Tirandolo fuori mentre guidavo, vidi di nuovo il nome di Lou.
«Non voglio sentire che ti sei fidanzata! Non lo capisci?» urlai allo schermo prima di lanciare il cellulare sul sedile del passeggero.
Sapendo che dovevo allontanarmi il più possibile da quello che era appena successo, non mi diressi al dormitorio. Avvicinandomi all’autostrada per tornare a casa, svoltai per imboccarla. Proprio mentre lo facevo, il telefono squillò di nuovo. Non capivo perché Lou non avesse afferrato il punto. Non avrei mai risposto.
Sì, le avevo detto che ci saremmo incontrati alla pasticceria, ma solo perché il suo ragazzo le aveva dato buca o altro. Ma alla fine si era presentato. Lou non aveva più bisogno di me. Allora perché non smetteva di chiamarmi?
Dopo la quarta chiamata, spensi la suoneria e accesi la radio. Non mi importava cosa trasmettessero, purché mi distraesse da ciò che avevo appena visto.
Non potevo accusarla di nulla. Lou era sempre stata sincera su chi fosse. Voleva trovare l’amore e sarebbe uscita con tutti i ragazzi dello Stato per trovarlo. Io ero quello troppo fifone per ammettere i sentimenti che provavo nei suoi confronti. Mi ero innamorato di lei dal momento in cui avevo visto il suo sorriso da birbante e i suoi grandi e adorabili occhi marroni. E invece di accettare ciò che ero, cosa avevo fatto? Ero diventato suo amico, il suo migliore amico.
Ebbene, sapete una cosa? Ero stanco di essere l’amico di tutti. Volevo essere desiderato. Volevo che Lou mi desiderasse.
Ma era troppo tardi, ora. Aveva trovato il suo uomo e si era fidanzata. Mi aveva accennato di essere uscita solo due volte con lui. Pensavo di avere più tempo. Ma la colpa era solo mia.
Non riuscendo a smettere di pensarci durante l’ora e mezza di viaggio che mi portò a Snowy Falls, fui felice di vedere il Glen’s General Store. Era l’inizio ufficioso della nostra piccola cittadina di campagna. Il viaggio verso casa di mia madre non sarebbe durato molto dopo averlo superato.
Accostando davanti alla casetta di legno a due piani in cui ero cresciuto, feci un respiro profondo. Ero a casa. E, sebbene non fosse bella come la casa che la coinquilina di Lou aveva comprato per stare con il suo ragazzo, Cage, era comunque un bel posto. Era su una collina che si affacciava su una valle coperta di alberi. Non si poteva chiedere di meglio, in una cittadina come la nostra.
Inoltre, Quin, la coinquilina di Lou, era nata in una ricchezza immensa. Mia madre aveva solo la pensione che l’Aeronautica le aveva dato dopo che mio padre era stato ucciso in combattimento. Mi aveva cresciuto da sola. Non ero il tipo da considerare mia madre come la mia migliore amica, ma era la mia roccia. Non importava cosa mi fosse successo di brutto, sapevo che mi sarebbe sempre stata accanto.
Sceso dal pickup, mi diressi verso la porta d’ingresso sapendo che, una volta entrato, non avrei avuto a che fare con tutto ciò che mi accadeva intorno. Non che avessi paura dei cambiamenti. Io ero quello che si occupava della campagna per aprire Snowy Falls ai turisti. Sono un grande fan del cambiamento. Penso che i cambiamenti siano positivi.
Ma con Lou che si era fidanzata, Nero che si era trasferito in un nuovo Stato, e io che avevo un nuovo coinquilino, tutto in meno di una settimana, avevo bisogno di un po’ di stabilità. Questa era mia madre. L’etichetta, i valori tradizionali e lo status quo erano le cose per cui viveva.
Spalancando la porta aperta, mi guardai intorno alla ricerca di mia madre. Quando la trovai, mi bloccai. Probabilmente avrei dovuto distogliere lo sguardo. Ma la prima volta che vedi tua madre e il suo ragazzo correre dal divano alla camera da letto, nudi, ci metti un po’ per metabolizzarlo.
«Oh, mio Dio!» urlai mentre l’orribile immagine mi si imprimeva nel cervello.
Era questo il motivo per cui i personaggi della mitologia greca si strappavano gli occhi? Credetti di averne capito il motivo, finalmente.
«Cosa state facendo voi due?» gridai inorridito.
Anche se era troppo tardi e non sarei mai riuscito a chiudere di nuovo gli occhi, mi girai nella direzione opposta. Pensai di andarmene, ma a cosa sarebbe servito? Il danno era stato fatto, ormai. E poi, dove altro potevo andare?
«Cosa ci fai qui? Non dovresti essere a scuola?» chiese mia madre, che sembrava inorridita quanto me.
«Pensavo di venire a trovarti. Forse dovrei andare.»
Mia madre uscì dalla sua camera.
«Non c’è bisogno che te ne vai. Ma questo potrebbe essere un buon momento per dirti qualcosa.»
Mi voltai lentamente e trovai mia madre che si allacciava la cintura della vestaglia. Dopo quello che era successo, anche questo gesto sembrava troppo rivelatore.
«E cosa sarebbe?» chiesi esitante.
«Mike, puoi uscire, per favore?»
Oh, no!
Mike uscì in jeans, bretelle e senza camicia. L’uomo aveva un’importante stempiatura, una barba bionda e la più grande pancia da birra che avessi mai visto. Era il proprietario della tavola calda locale e, crescendo, avevo sempre assistito al flirt tra i due. Non ero cieco. Ma questo?
«Cosa sta succedendo?» chiesi nervosamente.
«Tesoro, io e Mike andiamo a vivere insieme» disse lei decisa.
«Mike si trasferisce qui?»
«No, sarò io a trasferirmi con lui.»
«Ho appena comprato una casa al lago. È vicino a Tanner Cove» spiegò Mike.
«È bellissima, Titus. E mi ci trasferirò dentro.»
«So che a tua madre piacciono le cose belle. Solo il meglio, per lei.»
Mi voltai verso mia madre.
«Allora, cosa hai intenzione di fare con questa casa?» le domandai, chiedendomi che ruolo avessi in tutto questo.
«Non ho ancora deciso. Forse la venderò.»
«Capisco» dissi sentendomi stringere il petto. Feci una smorfia e poi mi avvicinai al divano per sedermi.
«Stai bene, figliolo?» mi chiese mia madre.
«È solo che sembra stia cambiando tutto. Nero gioca a football da professionista, Lou si è appena fidanzato, tu vai a vivere con Mike. Tutti stanno avendo ciò che desiderano, tranne me.»
«Mike, potresti darci un minuto?» disse mia madre avvicinandosi a me.
«A dire il vero, devo tornare alla tavola calda per preparare la cena.»
Mike prese la camicia e le scarpe. «Ci vediamo stasera?»
Mia madre sorrise e lo guardò andare via. Quando se ne fu andato, mi raggiunse sul divano. Mi prese la mano tra le sue.
«Le cose cambiano tutto il tempo, Titus.»
«Lo so. Sono io che ho cercato di convincertene, ricordi? È solo che tutti sembrano cambiare senza di me. Cosa sto sbagliando? Perché sono io che sto rimanendo da solo?»
«Non sei solo, figlio mio.»
«Non lo sono? Tu stai con Mike. Nero ha Kendall. Lou ha quel tizio, qualsiasi sia il suo nome. E io, invece? Dimmelo, mamma. Chi ho io?»
Mia madre abbassò lo sguardo. Sembrava volermi dire qualcosa ma senza riuscirci.
«Cosa c’è?»
Si raccolse. «Non è nulla.»
«No. Smettila, mamma. Fai sempre così. Se hai qualcosa da dirmi, dilla e basta. Si tratta della casa? L’hai già venduta? Stai pensando di trasferirti fuori città?»
«Titus, hai un fratello.»
Mi bloccai. Di tutte le cose che avrebbe potuto dire, quella era l’ultima che mi aspettavo di sentire.
«Di cosa stai parlando?»
«Non posso dire altro. Ma è da un po’ che ho questo peso, e…»
«Cosa? Pensi di potermi dire che ho un fratello di cui non ho mai saputo nulla e poi lasciar perdere?»
«Non posso dire altro» ripeté rassegnata.
«Perché no? Chi è? È in città? Hai avuto un figlio prima di me?»
«No, niente del genere.» Mia madre prese un respiro profondo. «Avete lo stesso padre.»
Fissai mia madre mentre la verità di ciò che stava dicendo mi agitava. «Mamma, devi dirmi chi è. Vive da queste parti?»
«Ho promesso che non avrei detto nulla.»
«A chi? A mio padre?»
«No» rispose lei a disagio.
«Mamma, non puoi mollare una bomba del genere e aspettarti che lasci perdere. Almeno dimmi qualcosa di lui. È più grande di me? Più giovane?»
«Più giovane» ammise.
«Quindi mio padre l’ha avuto prima di partire per l’Iraq?»
Mia madre abbassò lo sguardo.
«Dai, mamma. Dimmi almeno questo. Vive in città?»
I suoi occhi incontrarono i miei.
«Sì», realizzai. «Lo conosco?»
«Titus, smettila. Stai cercando di farmi dire cose che non posso dire.»
«Puoi fare come ti pare, mamma. È così che hai sempre fatto. Voglio dire, come hai potuto tenermelo nascosto per tutta la vita?»
La sua determinazione tornò a colpire. «Questa conversazione è finita.»
Si alzò e si diresse verso la sua camera.
«Oh, perché hai finito di parlarne pensi che sia finita?»
«Lascia perdere e basta, Titus!»
«Lasciar perdere? Hai lanciato una bomba del genere e ti aspetti davvero che lasci perdere?»
Entrò nella sua stanza e sbatté la porta alle sue spalle. La fissai sbalordito. Cosa diamine era appena successo? Ero cresciuto più solo di quanto potessi sopportare, col desiderio di avere un fratello, e ne avevo avuto uno per tutto questo tempo? Non potevo crederci.
Mi distruggeva il fatto di non poter chiamare Lou e dirglielo. Ma probabilmente stava festeggiando il suo fidanzamento. Perché avevo aspettato così tanto a dirle quello che provavo per lei? Mi sentivo come se tutto il mio mondo stesse crollando.
Non volendo più stare qui, mi diressi verso il mio pickup e partii. Essendo un paesino, non avevo molti posti dove andare. Potevo fare un’escursione a una delle cascate da cui la città prendeva il nome. Ma non mi andava di stare da solo.
Avvicinandomi alla tavola calda di Mike, vidi il suo furgone parcheggiato sul retro. Pensai a lui e a mia madre. Da quanto tempo avevano una relazione?
Non che Mike fosse una cattiva persona. Quando Nero stava ancora attraversando la sua fase da stronzo, Mike era stato l’unico a dargli un lavoro. Considerando le opzioni che aveva a disposizione mia madre, lui era un buon partito. Credo che il mio problema fosse tutto ciò che comportava la loro relazione, come la potenziale perdita della casa in cui ero cresciuto.
Sentite, lo capisco. Non ero più un bambino. Potevo trovare da solo la mia strada. Ma il mondo stava cambiando sotto i miei occhi.
Avevo perso la ragazza che amavo. Stavo perdendo l’unica casa che avessi mai avuto. E da qualche parte, là fuori, c’era un fratello che forse non avrei mai conosciuto. Cosa diavolo avrei dovuto fare?
Proseguendo lungo Main Street, mi avvicinai al Bed & Breakfast della dottoressa Sonya. Era la madre del mio nuovo coinquilino. Dato che Nero era stato selezionato e Cali stava per entrare in qualità di matricola all’East Tennessee University, il fatto che condividessimo la stanza aveva senso. Noi due eravamo gli unici provenienti da Snowy Falls. Dovevamo restare uniti.
Ricordando quale altro progetto aveva in corso la dottoressa Sonya, accostai nel suo vialetto e parcheggiai accanto a un pickup che non riconobbi. Seguendo il sentiero che portava al retro della bella casa a due piani, girai intorno al grande portico posteriore in pietra, trovando tre piccoli tavolini.
«Titus! Cosa ti porta qui?» chiese Sonya per salutarmi uscendo dalla porta sul retro della casa.
«Cali mi ha detto che stavate facendo questa cosa e, visto che sono in città, ho deciso di dare un’occhiata. Come sta andando?»
«Sorprendentemente bene. Marcus è entusiasta» disse mostrando un accenno del suo accento giamaicano. «Passa ogni mattina a cucinare. È diventata una vera avventura.»
«È fantastico! Ora, se riuscissimo a coinvolgere anche il resto della città, potremmo far conoscere Snow Tip Falls e farla inserire nelle mappe.»
«Letteralmente» disse la dottoressa Sonya toccandomi il braccio con una risata.
Condivideva la mia frustrazione per l’indifferenza nei confronti della città. Ero sicuro che Snowy Falls sarebbe potuta diventare la destinazione ecoturistica più popolare del Tennessee. Avevamo più cascate per miglio quadrato di qualsiasi altro posto dello Stato. Avrebbe giovato a tutti.
Ma poi c’erano persone come Mike e mia madre, che preferivano che le cose restassero com’erano. Non si rendevano conto che la mia generazione aveva bisogno di un motivo per restare. Se non avremmo potuto trovare qui le nostre opportunità, le avremmo cercate altrove. E quanto sarebbe durata la città se gli unici residenti sarebbero stati gli over 50?
La dottoressa Sonya, però, l’aveva capito. Aveva aiutato il fatto fosse nata su un’isola che sopravviveva solo grazie al turismo. Probabilmente era per questo che aveva aperto il suo bed & breakfast. Era l’unico posto della città dove un forestiero poteva fermarsi a dormire. Senza di lei, la città si sarebbe ridotta a un negozio di alimentari, una tavola calda e un liceo in rovina.
«Non sembri essere gioviale come al solito. Qualcosa non va?» chiese la dottoressa Sonya.
Non mi aspettavo che se ne accorgesse. Pensavo di averlo nascosto abbastanza bene. Ma potevo dirle che la ragazzo di cui ero segretamente innamorato si era fidanzata prima che avessi la possibilità di rivelarle i miei sentimenti? Potevo dirle che mi ero imbattuto in mamma e Mike e che ora sarebbero andati a vivere insieme, lasciandomi senza un tetto sulla testa?
«Mi hanno appena detto che ho un fratello.»
La dottoressa Sonya mi guardò con lo stesso shock che avevo provato io quando l’avevo scoperto.
«Davvero?»
«Sì. A quanto pare ne ho avuto uno per la maggior parte della mia vita e mia madre non si è mai preoccupata di farmene menzione fino a ora.»
«Ti ha detto qualcosa di lui?»
Io scrollai il capo. «Ha detto che è più giovane di me e che mio padre l’ha avuto prima di essere chiamato in Iraq.»
«Tuo padre ha prestato servizio in Iraq?» chiese lei confusa.
«Non lo sapeva?»
«No.»
«Già, mio padre era nell’Aeronautica. Sinceramente ho avuto paura di chiedere se lui e mia madre fossero sposati. A lei non piace dire molto, quando si parla di lui. Tuttavia, dopo avermi detto che ho un fratello, comincio a capire il motivo. Lei sa qualcosa di tutto questo?»
«Sono tutte informazioni nuove, per me» ammise.
Scrollai le spalle. «Quindi immagino sia questo a non andare.»
«Immagino di sì. A proposito, volevi qualcosa o sei venuto solo a dare un’occhiata?»
Ripensai al pasticcino che avevo visto sul tavolo davanti a Lou.
«Ha qualche croissant?»
«Marcus ha preparato questi splendidi croissant con strisce di cioccolato» disse lei sgranando gli occhi per l’eccitazione.
«Ne prenderò uno. E magari anche un caffè.»
«Certo. Siediti, rilassati. Goditi la vista» disse indicando il panorama.
«Grazie» dissi scegliendo un posto su cui sedermi.
La vista dalla veranda sul retro di Sonya doveva essere una delle migliori della città. Le colline coperte di alberi si estendevano in lontananza. E, sulla vetta più lontana, c’era una nuvola di nebbia proveniente dalla cascata più grande nel raggio di cento miglia.
Ero perso nel panorama e nei pensieri quando sentii una voce che non sentivo da tempo.
«Titus?»
Mi voltai e trovai Claude, l’unico ragazzo della mia classe che era andato all’università subito dopo il liceo.
«Claude! Che bello rivederti. Cosa ci fai qui?»
«Qui in città o qui alla pasticceria della dottoressa Sonya?»
Scrollai le spalle. «Entrambe le cose. Ti prego, siediti.»
Claude si diresse verso la sedia di fronte a me. I ricordi mi attraversarono la mente. Ero sempre stato un po’ invidioso di lui: non solo era uno dei migliori giocatori di football della nostra squadra del liceo, ma era sempre stato così dannatamente bello.
Quell’uomo aveva lineamenti perfetti e la carnagione scura più incredibile che potessi immaginare. Non sapevo come si sentisse a essere l’unico ragazzo di colore del nostro liceo. Forse era il motivo per cui se ne stava sempre per conto suo, nonostante avessi sempre desiderato diventassimo amici.
«Beh, mi sono laureato prima. Ecco perché sono in città. E sono qui da Sonya perché Marcus ha detto che oggi ha preparato dei croissant al cioccolato» disse accennando un sorriso.
«Ho sentito dire che sono davvero buoni.»
«Oh, lo sono eccome.»
Fissai Claude per un momento.
«Sai, tra tutti quelli che se ne sono andati da questa città, tu sei stato l’ultimo che pensavo sarebbe tornato.»
«Idem» disse abbassando lo sguardo pensieroso. «Ma mia madre è qui. E aveva bisogno di un po’ di aiuto, quindi eccomi qua.»
«E cosa stai facendo? Lavori?»
«Beh, hai un computer da riparare?» chiese sporgendosi in avanti con un sorriso.
«Ripari computer? Qui?»
«Sì, beh, non c’è molta richiesta. Ma quando c’è, non c’è nessun altro. E sto lentamente convincendo alcune attività locali a passare alla gestione elettronica dei dati, quindi non si sa mai.»
Risi. «Intendi dire che stai cercando di far entrare questo paesino nel ventunesimo secolo? Beh, buona fortuna.»
«Grazie. Cosa mi dici di te? Pensavo fossi all’East Tennessee.»
«Lo sono. Sono solo in visita per un giorno.»
Claude scosse la testa per dire che aveva capito. «Sai, avevo intenzione di contattarti.»
«Davvero? Perché?»
«Fai visitare le cascate ai turisti, no?»
«Sì, in passato. Perché?»
«Hai mai pensato che, con il giusto supporto, potrebbe essere un ottimo business? Forse potrebbe essere qualcosa di più di un semplice tour. Forse potrebbe includere il campeggio o il rafting sul fiume. Si potrebbero vendere dei pacchetti. Ho fatto un paio di conti. Ci vorrà un po’ di tempo, ma una cosa del genere potrebbe essere molto redditizia.»
Lo guardai scioccato. «Sì, ci ho pensato. Sempre. Perché? Stai pensando di mettere in piedi qualcosa del genere?»
«Ci stavo pensando. Ma sono solo uno. E sarei molto più bravo nella sfera commerciale. Se avessi un socio, però…»
«Sembra che tu stia dimenticando una cosa. Non riuscirai a convincere nessuno in questo paesino ad accettare una cosa simile. Credimi, ci ho già provato io.»
«Hai cercato di convincere gli altri. Ma hai mai pensato di farlo da solo? Non hai bisogno del permesso per inseguire ciò che vuoi nella vita. Devi solo sapere cosa vuoi e poi non fermarti finché non lo ottieni.»
«Claude? Mi sembrava di aver sentito la tua voce. Sei venuto a prendere altri croissant?» chiese la dottoressa Sonya, portandomi la mia ordinazione.
«Certo che sì» le disse Claude con un sorriso.
«Beh, ne sono rimasti solo due, ma saranno tuoi se mi mostri di nuovo come si fa quella cosa al computer. Ci vorrà solo un secondo.»
Claude mi guardò con un sorriso che mi disse che ci sarebbe voluto molto più di un secondo.
«Certo.»
«Mi dispiace continuare a disturbarti per questo. Il mio tecnico informatico è fuori a segnalare palloni da football» disse prima di piangere per finta.
«Non si preoccupi. Glielo mostrerò subito.» Claude si alzò. «Pensaci, Titus. Cosa vuoi?»
Guardai i due entrare in casa e poi pensai alla proposta di Claude. Avevo pensato molte volte di avviare un’attività turistica. Non sapevo mai da dove avrei dovuto cominciare. Probabilmente era per questo che ero così concentrato a convincere le persone ad aprire la città al pubblico. Credevo che in questo modo sarebbe arrivata l’opportunità.
Forse Claude aveva ragione, però. Forse spettava a me creare le mie opportunità. Forse era giunto il momento di decidere cosa volessi.
Lasciando che la mia mente saltasse da una cosa all’altra, alla fine si stabilizzò. C’era solo una cosa che volevo veramente. Era chiaro come il cielo sulle montagne davanti ai miei occhi. Quello che volevo più della vita stessa era Lou.
Andai via dalla struttura di Sonya, guidando e pensando allo stesso tempo. Cosa ero disposto a fare per averla? Ero disposto a fare qualsiasi cosa. Allora, cosa voleva dire?
Quando si fece buio, tornai in una casa vuota e mi preparai qualcosa da mangiare. Sapendo che l’indomani mattina sarei tornato a lezione, andai a letto presto. Sdraiato nell’oscurità, mi venne in mente un piano. Avrei detto a Lou come mi sentivo. Non potevo farlo con un messaggio, ma di persona.
Nel bel mezzo della prima lezione del mattino seguente, mi vibrò il telefono. Era Lou. Lessi il messaggio e tutti gli altri che mi aveva inviato.
‘Dove sei?’
‘Non stai venendo?’
‘Devo parlarti.’
‘Seriamente, dove sei?’
‘Mi stai spaventando.’
Il messaggio di quella mattina, però, fu diverso.
‘Ho bisogno di te. Ti prego, parlami.’
Sapevo di cosa volesse parlarmi. Si era fidanzata. Voleva fossi felice per lei come lo ero sempre stato. Di solito mi piaceva essere il suo fan più sfegatato. Lou era una ragazza fantastica. Ero sicuro che non si rendesse conto di quanto fosse incredibile. Ero troppo felice di ricordarglielo io stesso quando potevo.
Tuttavia, nonostante fosse per lei, stavolta non potevo. Non potevo fingere di essere felice che si fosse fidanzata con un tizio che conosceva da due settimane. Non era possibile.
Io la amavo. Volevo stare con lei. E non era possibile che Seymour, o come si chiamava, sapesse quanto Lou fosse incredibile.
‘Alle 6:30 al Commons,’ risposi rompendo il mio silenzio.
Lei mi inviò l’emoji di un cuore in risposta. Mi fece sorridere.
Non stavo commettendo un errore, allora. Anche Lou doveva provare qualcosa per me, giusto? Ero il ragazzo da cui tornava dopo ogni appuntamento. Ero quello da cui andava quando era triste. Ero il suo ragazzo.
E quando le avrei detto che la amavo, avrebbe saputo di aver commesso un errore dicendo di sì a un altro tizio. Avrebbe quindi rotto il fidanzamento e avremmo potuto finalmente avere la vita che ci aspettava da sempre.
Per il resto della giornata, feci del mio meglio per prestare attenzione alle lezioni. Tuttavia, era difficile non pensare a quello che sarebbe stato il vero inizio della mia vita. L’avevo amata per così tanto tempo. Nero lo aveva capito mesi prima.
Tornando al mio dormitorio per ammazzare l’ultima ora prima dell’incontro, incontrai il mio nuovo coinquilino, Cali. Incredibilmente, durante l’estate aveva avuto uno scatto di crescita. Così, il ragazzo magro e moro di un tempo, che aveva sempre uno sguardo misterioso, si era trasformato in un atleta tranquillo e robusto.
«Ehi,» grugnì lui quando entrai gettando la borsa sul letto per poi seguirla sul materasso.
Lo guardai. Non aveva la maglietta. Doveva essere appena tornato dagli allenamenti di football.
«Ehi.»
«Sei andato a casa?»
«Uh? Oh, già. Dovevo schiarirmi le idee.» Mi alzai di scatto. «Aspetta, conosci un ragazzo della squadra che si chiama Seymour?»
«Sey? Sì, che vuoi sapere?»
«Cosa ne pensi di lui?»
Cali distolse lo sguardo.
«Non è male, credo. Perché me lo chiedi?»
«Credo che abbia chiesto a Lou di sposarlo.»
Mi guardò di nuovo, sorpreso. «La tua Lou?»
«Già» dissi con un’espressione che lasciava intendere quanto fossi infelice al riguardo.
«Dannazione. E va bene. Vuoi andare a fare casino?»
Non era una risposta che mi aspettavo.
«Non stavo pensando a quello, ma sembra allettante» dissi con una risata. Non sapevo bene perché, ma le sue parole mi avevano fatto sentire meglio. «Cosa sai di lui?»
Cali ci rifletté su. «È ricco. Si è trasferito da Nashville.»
«Si è trasferito da Nashville?» Chiesi sapendo che, nonostante la serie di campionati vinto dall’East Tennessee grazie a Nero e a suo fratello Cage, Nashville aveva un programma di football molto più prestigioso.
«Sì. Ha detto che gli piaceva quello che c’è qui.»
«Ah. Com’è, in campo?»
«È il nostro quarterback titolare. Non bravo come il signor Rucker, ma se la cava.»
Sorrisi.
«Non è più il tuo allenatore. Puoi chiamarlo Cage.»
Cali non rispose.
«Se vuoi unirti a noi quando usciamo, non puoi chiamarlo signor Rucker. Te ne rendi conto, vero?» Lo presi in giro, e Cali diventò rosso in viso. Poteva anche sembrare una persona nuova, ma dentro era lo stesso ragazzo di provincia rispettoso di sempre. Avrei dovuto badare a lui. Senza qualcuno ad aiutarti durante la transizione, l’East Tennessee University poteva rovinarti. Ero stato fortunato ad avere accanto Nero, Quin e soprattutto Lou.
Io e Cali rimanemmo in silenzio mentre pensavo a cosa avrei detto a Lou. Non avrei menato il can per l’aia. Lo avrei detto e basta.
‘Lou, ti amo, Ti ho sempre amata. E voglio che stiamo insieme. Lou, ti amo. Ti ho sempre amata. E voglio che stiamo insieme.’
Ripetei le parole finché il loro calore non mi fece esplodere la testa. Ci volle un po’ di tempo, ma quando arrivò il momento di incontrare Lou, ero davvero pronto.
«Buona fortuna,» disse Cali nonostante non gli avessi detto cosa avevo intenzione di fare.
«Grazie,» risposi, senza chiedergli cosa sapesse.
Prima di uscire, mi guardai allo specchio e fissai gli occhi del ragazzo dai capelli arruffati che mi scrutava dall’altra parte. C’era qualche motivo per cui Lou avrebbe dovuto scegliere me invece del ricco quarterback dalla mascella squadrata che gli aveva chiesto di sposarla? Se c’era, non lo vedevo.
Ma Lou doveva sapere che nessuno l’avrebbe amata come me. Avrei fatto qualsiasi cosa per renderla felice. Chi altro poteva dire una cosa simile? Lou doveva certamente sapere che era vero.
Attraversando il campus e avvicinandomi alle grandi porte metalliche del Common’s, entrai salendo una mezza rampa di scale fino alla sala studio. Lou e io ci incontravamo spesso qui. Quando eravamo nella stessa classe, venivamo qui per studiare insieme. Quando, invece, non lo fummo più, venivamo a fingere di studiare mentre Lou mi raccontava del suo ultimo appuntamento.
Dopo averla avvistato sul divano dall’altra parte della sala, mi diressi verso di lei. Era il nostro solito posto. Ci permetteva di avvicinarci abbastanza da poter sussurrare senza disturbare gli altri.
Mi si strinse il cuore a guardarla. Dio mio, era bellissima. Non era davvero curvy né alta, ma compensava con la sua personalità. Le sue guance paffute e il sorriso sghembo la facevano sembrare sempre divertita, anche quando non lo era. E i suoi capelli scuri dalle punte più chiare erano lunghi quanto bastava per passarci le dita in mezzo e tirarli quando era il momento giusto.
Oggi, però, Lou non aveva in viso il suo solito sorriso giocoso. C’era una certa tristezza nei suoi occhi. Era forse perché mi avrebbe dato la sua grande notizia? Qualunque cosa fosse, c’era qualcosa che dovevo dire, prima. Era arrivato il momento. Se non fosse successo, non sapevo quando avrei avuto di nuovo il coraggio.
Avvicinandomi a lei, i nostri occhi si incontrarono. Mi sciolsi.
‘Lou, ti amo, Ti ho sempre amata. E voglio che stiamo insieme,’ mi ripetei mentalmente.
Quando mi sedetti accanto a lei, fece qualcosa che non aveva mai fatto prima. Mise una mano sulla mia coscia mentre il suo sguardo cadeva a terra. Quel gesto mi bloccò. Cosa stava succedendo? Facendo leva su questo aspetto, cominciai.
«Lou, io…»
«Mia nonna è morta» disse interrompendomi.
«Cosa?»
«È per questo che i miei sono venuti a trovarmi. Il funerale è stato sabato scorso.»
«Non ti hanno detto del funerale?» chiesi scioccato.
Lou mi aveva parlato di lei. Aveva detto che sua nonna era l’unica ragione per cui era sopravvissuta alla sua infanzia. Ora era morta e i suoi genitori le avevano rubato l’opportunità di dirle addio.
«Mi dispiace tanto» sussurrai, sentendo il cuore soffrire per lei.
Poi Lou fece un’altra cosa che non aveva mai fatto. Mi cadde tra le braccia e pianse. La abbracciai dimenticando qualsiasi piano avessi in mente. Lou aveva bisogno di me e io avrei fatto qualsiasi cosa per starle accanto.
Lou
Niente mi era sembrato vero finché non l’avevo detto a Titus. E subito dopo avevo capito che mia nonna era davvero morta. Non l’avrei mai più rivista. Nemmeno in una bara. I miei genitori me l’avevano impedito. Avevo sempre saputo che la mia famiglia mi odiava, ma non avevo mai pensato potesse essere così crudele.
«È andata via» dissi, sentendo le sue braccia calde avvolgermi. «Non riesco a credere che se ne sia andata.»
«Mi dispiace tantissimo» continuava a ripetere lui.
Mi bastò per perdonarlo perché non mi aveva contattata fino a quel momento. Mi aveva detto che sarebbe venuto a salvarmi dallo stare da sola con i miei genitori. Lo avevo persino visto in piedi fuori dalla porta del locale. Aveva scelto di non entrare, però.
Vederlo andare via mi aveva fatto male. L’unica cosa che avrei voluto era fare quello che stavo facendo ora, ovvero piangere tra le sue braccia. Ma mi aveva abbandonata. Non mi ero mai sentito così solo.
Tuttavia, tutto questo non aveva importanza ora che era qui. Non avevamo bisogno di parlare del perché fosse andato via. C’erano molte cose di cui non dovevamo parlare.
Non sapevo come gli avrei dato la notizia del mio fidanzamento. In parte perché non ero sicura fossimo davvero fidanzati. Sì, mi aveva chiesto di sposarlo con un coro di compagni di squadra che cantavano in sottofondo. Era stata la cosa più romantica che qualcuno avesse mai fatto per me, che avevo detto sì. Ma dov’era, da allora?
I miei genitori avevano sganciato quella bomba il giorno del mio fidanzamento, ed era stata una cosa orribile da parte loro, indubbiamente. Aveva rovinato quello che doveva essere il giorno più felice della nostra vita. Eppure, non era colpa mia: io ero la ragazza a cui era stato strappato il cuore. C’erano cose più importanti dei gesti teatrali, e Sey aveva chiesto di diventare mio marito.
Certo, mentre io ero rimasto seduta, stordita, aveva mandato a casa i suoi compagni di squadra e mi aveva tenuto la mano mentre cercavo di elaborare il tutto. Ma alla fine mi aveva riaccompagnata a casa e da allora non l’avevo più sentito.
Pensava forse che toccasse a me contattarlo per parlargli di come stavo? Stava cercando di darmi il mio spazio per elaborare il lutto?
Qualunque cosa stesse facendo, la odiavo. E considerando che erano passate più di ventiquattro ore dall’ultima volta che lo avevo sentito, cominciavo a credere che la sua proposta fosse stata uno scherzo. Forse “scherzo” era la parola sbagliata. Forse l’aveva fatto perché sapeva quanto mi rendessero insicura i miei genitori e aveva deciso che così avrebbe dimostrato loro che qualcuno mi stimava.
Non gli avevo detto nulla dei problemi che avevo avuto con la mia famiglia nel corso degli anni. Ma non poteva essere un segno che lui era quello giusto? Lui che sapeva di cosa avevo bisogno senza che dovessi dire nulla?
«Cosa vorresti fare?» mi chiese alla fine Titus, rompendo il silenzio.
«Nulla» ammisi. «Voglio solo stare seduta qui.»
«Per tutto il tempo che vuoi» rispose sincero.
«In realtà, sai cosa sarebbe davvero bello? Una serata a giocare. Niente di che. Solo qualcosa di carino, sai?»
«Organizzerò tutto.»
A quelle sue parole rassicuranti, mi alzai a sedere staccandomi dalle sue braccia. Lo fissai. Era il miglior amico che si potesse desiderare. Probabilmente era il momento di dirgli del mio fidanzamento. Anche se non era stata una vera e propria proposta di matrimonio, era la mia occasione per parlarne.
Forse mi avrebbe presa in giro per il fatto che mi ero fidanzata con la stessa rapidità con cui facevo tutto il resto. Forse avrei fatto qualche battuta al riguardo e avrei messo da parte il mio momento di follia. Qualunque cosa sarebbe successa, questa era la mia occasione per renderlo reale.
«Credo di voler andare a dormire» gli dissi, invece.
«Certo» rispose lui raccogliendo le mie cose e porgendomi una mano per aiutarmi ad alzarmi in piedi.
Io la presi e poi gli passai un braccio intorno alla vita. Mi sentivo sempre così piccola tra le sue braccia. Aveva trascorso la maggior parte dell’anno prima nella squadra di football. Aveva ancora il fisico per dimostrarlo. Un giorno sarebbe stato il fidanzato ideale di qualche ragazza.
Avevo pensato ci fosse la possibilità che provasse una certa attrazione per me? Ovviamente sì. Avevo chiesto di uscire a un numero sufficiente di ragazzi per capire quando qualcuno pensava fossi carina. Tuttavia, c’è una grande differenza tra pensare che qualcuno sia attraente ed essere disposti a fare il necessario per instaurare una relazione con questo qualcuno.
La chiave è saper distinguere i due casi. E io non pensavo che Titus mi considerasse meritevole di tanto sforzo. Forse non lo avrebbe mai fatto.
Ma andava bene così, perché era il miglior amico che avessi mai avuto. Non sapevo nemmeno che un’amicizia come la nostra fosse possibile, prima di conoscerlo. Perché avrei dovuto fare qualcosa per rovinare tutto?
Sarebbe stato il gesto più stupido che avrei mai potuto fare. E di cose stupide ne avevo fatte tante. C’era stata persino una volta in cui avevo accettato di sposare una persona con cui ero uscita solo due volte. Riuscite a immaginarlo?
Titus mi accompagnò al mio dormitorio e mi seguì in camera. Quin era in casa.
«Ehi, Titus» lo salutò allegramente.
I due si erano conosciuti al primo anno, quando Quin stava cercando i genitori biologici del suo ragazzo. Quin era stata la stessa che aveva convinto Titus a frequentare l’East Tennessee. I due si conoscevano da tempo.
«Perché non mi hai detto che la nonna di Lou è morta?» sbottò Titus, rivolgendosi a Quin.
Quin si congelò sul posto. «Lou, tua nonna è morta?»
«Sì, ma non è niente di che» dissi cercando di allontanare il mio dolore.
«Quando?» chiese ancora Quin, con il suo bel faccino che si increspava.
«È per questo che i miei sono venuti a trovarmi.»
Quin si coprì la bocca mentre gli occhi le si riempivano di lacrime.
«Non è nulla» insistetti intanto che attraversavo la stanza per andare in camera mia e arrampicarmi sul letto, col peso del mondo sulle spalle.
«Smettila di dire che non è nulla» disse Titus seguendomi. «È un… problema. La morte di una persona importante è un grosso ostacolo da superare. I tuoi genitori che non ti hanno detto del funerale sono un grosso problema.»
«I tuoi non ti hanno detto del funerale?» chiese Quin mentre le lacrime avevano già preso a rigarle le adorabili guance.
«Sono sicura che c’era un motivo» risposi, sperando ci fosse davvero.
Questo non impedì a Quin di infilarsi sotto le lenzuola e di avvolgermi tra le sue braccia. Non aveva mai fatto nulla del genere, prima. Non era mai stata una tipa affettuosa. Ma mentre mi stringeva forte, tutto quello che riuscivo a pensare era che la sensazione mi piaceva.
«Penso tu sia in buone mani» disse Titus dalla soglia della camera.
Io aprii gli occhi alla ricerca dei suoi.
«Grazie. Non so cosa farei, senza di te» dissi sincera.
«Ti chiamo domattina per sapere come stai» aggiunse, riempiendo un vuoto che non sapevo di dover colmare.
«Uhm, non troppo presto, però» scherzai io.
Titus sorrise. «Cosa sono, un mostro?»
Risi. Era la prima volta che lo facevo da quando avevo ricevuto la notizia. Stavo provando più dolore di quanto ne avessi mai provato in tutta la mia vita. Ma sapevo che, finché avessi avuto Titus accanto, ce l’avrei fatta… e poi ero così comoda tra le braccia di una bella ragazza. Mia nonna si stava chiaramente prendendo cura di me anche da lassù.
Il giorno seguente ricevetti un’e-mail dai miei genitori, in cui mi informavano sulla lettura del testamento di nonna. Mi sorprese che non avessero aspettato l’ultimo minuto per dirmi anche questo.
Se non altro, mia nonna aveva sempre detto chiaramente che mi avrebbe lasciato in eredità tutto il suo patrimonio. Non che mi interessassero cose del genere, ma aveva insistito. Mi aveva detto che se n’era già occupata e che dovevo prepararmi.
Io, ovviamente, non l’avevo fatto. Quello sarebbe stato un problema della Lou del futuro. Io ero la Lou del presente. E lasciate che ve lo dica: la Lou del passato era un po’ uno stronzo. Scaricava su di me ogni cosa che doveva fare. Sapeva almeno cosa fosse, la responsabilità?
Non dovendo essere alla tenuta di mia nonna fino al venerdì, decisi di non pensare a nulla di tutto ciò finché non sarebbe arrivato quel momento. Ero in lutto. Avevo cose più importanti di cui preoccuparmi, come alzarmi dal letto.
«Pensi che ti andrebbe di giocare, venerdì?» chiese Titus quando ci videochiamammo.
«Devo tornare a casa, venerdì.»
«E giovedì?»
«Va bene, credo.»
«Allora segnati la data.»
«Non ho altro da fare, quindi non dovrebbe essere un problema» risposi tristemente.
Ci fu una pausa, un lasso di tempo in cui ci fissammo a vicenda.
«Come ti senti?»
«È difficile da credere, sai? La chiamavo ogni due o tre giorni. Ma non parlavamo da settimane, prima che morisse. Non sapevo nemmeno che fosse malata.»
«Sai qual è stata la causa?»
«I miei non me l’hanno detto.»
«Pensi di poter ottenere maggiori informazioni da tuo fratello?»
«Intendi l’Anticristo? Non gli parlo dall’ultima volta che siamo tornati entrambi a casa. Non siamo così intimi.»
«Non sarebbe il momento perfetto per ricucire i rapporti?»
«Titus, non mi fido nemmeno a lasciargli un martello.»
«Sono serio, Lou.»
«E anch’io! Una volta, da bambini, mi si è avvicinato con un martello, mi ha guardato negli occhi e poi mi ha colpito un piede.»
«Cosa?»
«Era uno di quei martelli di plastica, e aveva cinque anni, ma mi ha guardato negli occhi prima di farlo. Ho ricevuto il messaggio da allora.»
«Quanti anni avevi tu?»
«Quattro. Ti dico che è il figlio del diavolo… e di mio padre.»
«Okay, beh, hai qualche zio o zia che puoi contattare per avere maggiori informazioni?»
«Non proprio.»
«Mi dispiace, Lou.»
Scrollai le spalle. «La cosa positiva è che, dopo questo weekend, non avrò più bisogno di nulla dai miei genitori.»
«Questo è un bene?»
«Credimi, quando hai dei genitori come i miei, non dover avere a che fare con loro è come festeggiare il compleanno abbastanza tempo prima di Natale da ricevere due regali diversi.»
Titus sorrise. «Allora sono felice per te. Ma mi dispiace che sia andata così.»
«Grazie» dissi, accorgendomi della sua sincerità.
«Sei sicura di farcela per la serata di giovedì?»
«Penso di sì. Non ti stai facendo tanti problemi, vero?»
Titus sembrò rifletterci. «Mi sto facendo abbastanza problemi perché spero che tu non debba andare a un appuntamento, ma non abbastanza perché tu debba sentirti in colpa, nel caso.»
Risi. «Mi conosci così bene.»
«Mi fa piacere tu l’abbia notato» disse con un sorriso.
Quando riattaccai, sentii improvvisamente l’energia necessaria per alzarmi dal letto. Avevo delle lezioni da seguire, dopotutto. Eredità o no, nessuno vuole uscire con una ragazza stupida, non importa quanto sia bella.
Costringendomi a vestirmi, pensai a Sey. Non avevo ancora avuto sue notizie.
Mi rifiutavo di essere io a contattarlo per prima. Ero in lutto. Non lo capiva? Titus lo capiva, Quin lo capiva. Non era un concetto così difficile da comprendere.
Tuttavia, forse l’altro motivo per cui non l’avevo contattato era che speravo che l’intera faccenda scivolasse nel dimenticatoio. Non fraintendetemi, c’erano cose dell’essere fidanzati che amavo. Non vedevo l’ora di portarlo alla lettura del testamento di mia nonna e sbattere in faccia alla mia famiglia il mio fidanzamento.
«Mamma, hai detto che nessuno mi avrebbe mai amata. Beh, guarda i suoi meravigliosi zigomi e dimmi quanto ti sbagliavi. Non essere timida, anche quell’Anticristo del tuo altro figlio vuole sentirlo.»
Sì, quello era sicuramente un episodio che doveva accadere. Ma volevo Sey alla serata dei giochi di Titus? Non ne ero sicura. Sembrava qualcosa di riservato alla famiglia. Sey non era la mia famiglia, adesso? Non mi sembrava affatto. Avrei dovuto sentirmi così?
Dopo una giornata passata a sentire spesso Titus, decisi di fare la persona matura e mi misi in contatto con Sey. Non era una battaglia, questa. O almeno non doveva esserlo. Gli mandai un messaggio dicendogli che mi sentivo meglio, per parlargli della lettura del testamento. Perché non gli avevo parlato anche della serata dei giochi? Credo mi fosse sfuggito.
‘Sono felice che tu stia meglio, tesoro! Quando ci sarà la lettura?’
‘Domenica.’
‘Sabato dovrei avere una partita. Dove si farà?’
Gli inviai l’indirizzo della tenuta.
‘Ti farò sapere.’
«Ti farò sapere?» ripetei, leggendo il testo ad alta voce.
Niente mi dava meno fiducia del suo ‘ti faccio sapere’. Voglio dire, mi sarebbe stato vicino, giusto? Doveva pur sapere che era una cosa importante. Come poteva non saperlo?
«Ti stai preparando per domani sera?» mi chiese Titus quando ci videochiamammo di nuovo, stavolta mentre uscivo dall’ultima lezione pomeridiana.
«Dovrei?»
«Io lo farei, considerando quanto spesso ti schiaccio, quando giochiamo l’uno contro l’altra. Ma non preoccuparti, sto che stai attraversando un brutto momento. Ci andrò piano.»
«Oh, è proprio così che andrà. Perché se vuoi che ti dia filo da torcere, te lo darò. Puoi contarci.»
«No, no. Tutti sono d’accordo sul fatto che ci andremo piano. Sappiamo che non puoi sopportare un altro colpo con tutto quello che sta succedendo.»
Fissai lo schermo del telefono e il sorriso sghembo di Titus. Era impazzito? Doveva sapere che potevo far mangiare la polvere a tutti loro. Voglio dire, finché non si trattava di un gioco con parole perché… beh, perché c’era Quin. Ma, a parte questo dettaglio, avrei potuto benissimo farli a pezzi.
Con la bocca ancora aperta, sentii la voce di Titus sdoppiarsi. Alzai lo sguardo e lo vidi in piedi di fronte a me. Mi stava ancora sorridendo con la sua adorabile faccia da stupido.
«Stai prendendo le mosche» disse, ricordandomi che avevo ancora la bocca aperta.
«Sono così scioccata che pensi di avere una chance di battermi… in qualsiasi cosa.»
«È buffo come il dolore influenzi la tua memoria.»
Gli feci una risata vendicativa. «Oh, ho delle sorprese in serbo per te.»
«Risparmiale per domani, Malefica.»
«Malefica?» chiesi, essendomi dimenticata di tutto tranne che delle cose che gli avrei fatto.
«Ho preparato un paio di sandwich. Vuoi trovare un bel posto in mezzo al verde per mangiarli insieme a me?»
«Hai preparato un paio di sandwich, eh?»