DOMINARE LE SUE CURVE

Renee Wheatley si era preparata una scusa per evitare i giorni in cucina durante il programma di management dell’hotel. Non aveva esperienza di ristoranti, tranne come cliente, e non si sentiva qualificata per fare da manager allo staff di un ristorante. Ma il rapido viavai era così efficiente e ben gestito dal capo cuoco che la sua presenza era insignificante.

Come agli altri prima di lei nelle rotazioni, le venne dato uno sgabello da cui avrebbe potuto osservare senza dare fastidio. Ogni tanto le facevano assaggiare qualcosa perché si assicurasse dell’eccellente qualità del cibo. Non solo l’hotel era uno dei più importanti della città, ma il ristorante era considerato uno dei migliori al mondo.

Libera di star seduta e fare assaggi, Renee doveva anche rispondere al telefono. Sebbene gli ospiti potessero chiamare direttamente la cucina sarebbe stata sorpresa se qualcuno l’avesse fatto davvero. Molti chiamavano il concierge, altri chiamavano la hall o il servizio in camera o qualsiasi altra cosa. Toccava poi allo staff della cucina decifrare le richieste e consegnarle.

Al terzo giorno del suo turno in cucina, Renee stava giochicchiando col telefono pensando alla crème brulee al lampone che lo chef pasticcere le aveva portato con un ghigno e facendo l’occhiolino. Non le importava che tutti li dentro pensassero che avrebbe dovuto lasciar perdere i dolci e dedicarsi all’insalata. Il suo peso sarebbe stato un problema se avesse avuto una vita sociale, ma così com’era la sua carriera era la priorità assoluta e non aveva intenzione di negare a se stessa questi piccoli piaceri.

Quando il telefono squillò di nuovo Renee mise da parte il vassoio con riluttanza e rispose. Appena il concierge disse la destinazione dell’ordine il cuore le accelerò e si sedette. La penna che teneva in mano era diventata malferma e la sua calligrafia, di solito pulita e precisa, era diventata uno scarabocchio disordinato. Renee fece un respiro lento appena il concierge si interruppe.

“Okay,” disse lei. Rilesse l’ordine come se non si sentisse febbricitante, come se non sentisse niente nello stomaco. “Per la Suite Presidenziale.”

“Esatto,” disse il concierge. “E in fretta.” Fece un’altra pausa e disse in tono più basso. “E’ per il figlio del proprietario. Quindi priorità assoluta.”

“D’accordo,” rispose Renee, chiudendo gli occhi orgogliosa di quanto la sua voce suonasse calma e normale. Il figlio del proprietario dell’hotel. Naturalmente. Aprì gli occhi e diede un’occhiata allo scarabocchio, fece un altro respiro e riscrisse l’ordine. 

Il capo cuoco sembrò aver notato qualcosa nel suo volto. “Qualcosa non va?” chiese e fermandosi mentre pendeva l’ordine.

“Tutto bene,” lo rassicurò Renee. “Ma c’è una cosa urgente. Suite Presidenziale. Il concierge ha detto priorità assoluta.”

Lo chef la guardò un momento più a lungo poi prese il biglietto. “Ok. Circa dodici minuti.”

“E’ urgente?”

Lo chef annuì girandosi per dare l’ordine poi si voltò di nuovo. “Non posso cucinare le cose più velocemente di quanto necessitano, sai. Le leggi della fisica valgono ancora, non mi interessa quanto pagano per la stanza. ”

Renee annuì in risposta. Se per l’ordine ci volevano dodici minuti allora ci volevano dodici minuti, e non c’era altro da fare. Ma le sembrava un tempo assurdo da attendere, specie per il figlio del proprietario. Prese di nuovo la forchetta e tornò al dolce ma non riuscì a mangiare altro, lo stomaco era ancora in subbuglio..

Quando aveva finito la pausa aveva visto il figlio del proprietario nella lobby. Non aveva idea di chi fosse, naturalmente. In quel primo sguardo non era stato importante chi fosse, ma cosa fosse. Ed era bellissimo.

Fu un momento come quello nei film che lei aveva sempre sognato. Attraverso una stanza affollata una coppia si scambia uno sguardo e parte una scintilla che vedono tutti, non solo loro. Renee non sapeva se qualcuno avesse visto quell’attimo, ma sapeva di averlo fissato, paralizzata. Lui aveva mosso i suoi lunghi capelli neri sulle spalle e i loro occhi si erano incontrati.

Era stato solo un attimo, ma in quell’attimo il cuore aveva iniziato a galoppare e aveva sentito un calore dal desiderio. Lo sguardo di lui aveva catturato qualcosa dentro di lei, come un re che cattura l’adorazione del suo popolo. No, era più un dio che un re. Era come un faraone che incarna la divinità sulla terra. Lui sapeva che ogni sguardo era adorazione e le espressioni più selvagge dell’adorazione gli sfioravano appena la superficie delle emozioni.

‘Il figlio del proprietario,’ concluse lei. ‘Non mi sorprende che si sia guardato attorno come un re che controlla il castello mentre veniva fatta la registrazione. Tutto ciò che è sotto il suo sguardo è di sua proprietà. Forse, nella sua mente, anche i dipendenti.’ pensò lei.

Renee nel breve istante in cui gli sguardi si erano incrociati si era sentita posseduta. I suoi occhi scuri erano quasi come una forza fisica e la stuzzicavano con un desidero di depravazione. La loro fame imperiosa l’aveva lasciata indebolita ma eccitata, quasi con le vertigini e intontita.

“Chi porta di sopra l’ordine?” chiese alzandosi, spazzando via nervosamente le briciole dal grembo.

Nessuno le rispose. Con l’ordine prioritario suo e tutti gli altri che comunque avevano bisogno d’attenzione, tutti erano troppo occupati. Renee attese qualche secondo poi andò nello spogliatoio dietro la cucina.

Prima di pensarci bene trovo una divisa da cuoco. Girando l’angolo trovò uno stanzino vuoto, si tolse i tacchi e si sfilò i vestiti. I pantaloni dell’uniforme erano stretti, ma la giacca era abbastanza lunga da coprire il fatto che le tirassero sui fianchi. Rimettendosi le scarpe sperò che nessuno notasse i tacchi. Erano il segno che diceva che tutto il resto era solo un travestimento.

Tornò in cucina appena in tempo. L’ordine del figlio del proprietario stava per essere messo sul vassoio.

“Lo prendo io,” disse Renee con la voce che nascondeva il terrore che sentiva dentro.

Il capo chef la guardò con un sopracciglio rialzato.” Di solito Tony…”

“Certo. Di solito,” disse Renee. “Ma sta facendo un’altra consegna e questo è urgente, quindi lo porto io, non c’è problema..”

“Okay,” disse lo chef alzando le spalle..

Renee si aggrappò al carrello come se stesse cercando di fermare il tremore alle mani. Sapeva cosa aveva detto lo chef, ma spingere il carrello attraverso la lobby si chiese quanti sarebbero riusciti a scoprire l’inganno. Sapeva che Tony sarebbe tornato presto, ma lei stessa stava prendendo quell’ordine perché chi lo desiderava l’aveva posseduta in quell’istante. E quella possessione si unì a un desiderio soppresso che urlava per essere soddisfatto.

 Sembrò volerci un’eternità perché arrivasse l’ascensore. Ogni secondo che passava era pieno di spavento, per la paura che Tony, l’addetto alle consegne, tornasse e chiedesse di prendere lui il carrello. O forse il suo capo l’avrebbe vista conciata in modo ridicolo e avrebbe capito.

Per fortuna l’ascensore era vuoto quando arrivò. Appena le porte furono chiuse, Renee utilizzò la chiave per mandarlo all’ultimo piano. Aveva lo stomaco in tensione. C’erano ancora tanti modi per i quali il suo trucco poteva essere scoperto. Quello che stava facendo era sciocco: se qualcuno avesse scoperto il suo intento avrebbe perso il lavoro immediatamente.