L’ALFA DEL LUPO SINUOSO

Hil

 

Ce l’avevo fatta! Non riuscivo a credere che avesse funzionato. Avremmo dovuto avere a disposizione guardie del corpo pronte a proteggerci 24 ore al giorno, ma ciononostante avevo convinto mio padre a far sì che mio fratello portasse me e Dillon, la mia migliore amica, alla fiera. Era di notte… senza supervisione.

Una volta là, Dillon e io avevamo chiesto di poter entrare nella casa degli specchi. Remy, che non voleva affatto essere lì con noi, aveva acconsentito dopo qualche breve protesta. E una volta dentro, Dillon aveva distratto Remy mentre io avevo trovato la via d’uscita ed ero fuggita.

Era un miracolo. In pratica ero come una spia in un film. O Veronica di Riverdale. Ma per quanto io fossi entusiasta di essere libera per la prima volta da sempre, quella era solo la prima parte del piano.

Avevo passato le scorse giornate a pianificare tutto e a convincere Dillon ad aiutarmi perché c’era qualcuno che dovevo incontrare. Sarà sembrato un cliché o robe simili, ma credevo di avere incontrato il ragazzo con cui avrei passato il resto della mia vita. Diceva che eravamo destinati a stare insieme, e io gli credevo.

Sapevo quel che avrebbero detto tutti quanti se gliene avessi parlato. ‘Hil ma che stai combinando, seguire un tizio conosciuto su internet. Hai 14 anni, non 8’. Dillon mi aveva già fatto questo discorso. Ma non era come sembrava. E io non ero un’idiota.

L’avevo conosciuto sulla chat di un forum, sul dark web. Poteva sembrare un posto inquietante, ma non lo era. Era solo una versione più privata del tradizionale internet. E quando avevi dei segreti come me, come la mia intera famiglia, quella era l’opzione migliore.

Per esempio, non si poteva organizzare una chat di gruppo per mutaforma su Tumblr. O meglio. Ne avevo vista una, una volta. Ma tutti su quella chat erano solo degli aspiranti mutaforma. C’era una ragazza il cui padre l’aveva trasformata sin dalla nascita in un lupo. Ed era praticamente la persona più famosa al mondo.

Tutti avrebbero voluto essere lei. A tutti piaceva pensare che se solo ci avessero provato con abbastanza determinazione, si sarebbero potuti trasformare in un lupo quando si arrabbiavano. Era un meme molto diffuso.

In quanto vera mutaforma, o almeno in quanto persona il cui padre era davvero un lupo, lo trovavo fastidioso. Non era tipo, appropriazione culturale o qualcosa del genere? O lo sarebbe stato non appena avessi iniziato a trasformarmi.

Padre diceva che ero solo lenta a maturare. Sia io che Remy. Specialmente Remy perché aveva 17 anni e non si era ancora trasformato. Secondo nostro padre, il motivo era da imputare all’umanità di nostra madre. Era preoccupato che fosse saltata una generazione.

Per questo stavo nei forum sul dark web. Stavo cercando mutaforma della mia età che conoscessero meglio l’argomento. Fu lì che incontrai Edwin. E sì, era davvero un ragazzo di 16 anni e non un pervertito. Ci eravamo scambiati delle foto.

E gli ci era voluto molto del tempo per convincermi a mandargliene una. Non amavo scattarmi foto. Tutte mi facevano sembrare grassa. Forse perché lo ero. Ma quando alla fine gliene inviai una, mi disse che io ero perfetta.

Ovvio che non lo ero. Lo sapevo. Ma il punto era che aveva continuato a ripeterlo.

“Hil, tu sei perfetta. Hil, tu sei perfetta.”

Una volta sentita questa frase abbastanza a lungo, si iniziava a crederci. O quantomeno, si iniziava a pensare che lui ci credesse.

C’erano però alcuni problemi. Il primo era che lui non mi aveva mai vista di persona. Io avevo ovviamente trovato le angolazioni perfette per nascondere il mio doppio mento, e la pancia che sporgeva più in là del mio petto. Quindi che cosa avrebbe detto una volta incontrati di persona?

Avete presente quella sensazione, di quando si vuole credere così tanto a qualcosa che se non si rivela essere vero farà così male da ucciderti? Ecco, e se Edwin mi avesse vista e avesse iniziato a ridere di me, oppure avesse vomitato, o qualcosa di simile? Non sarei riuscita a sopportarlo. Potevo sembrare una tipa tosta per essere fuggita come una ninja, ma non lo ero.

Ero paffuta e strana, e se non fosse stato per Dillon non avrei avuto amici. Non ero esattamente un modello di autostima. Quindi una volta incontrato qualcuno come Edwin e una volta sentite tutte le cose che lui aveva detto, come si poteva non desiderare che fossero vere. Volevi almeno che una persona al mondo pensasse che tu fossi perfetta esattamente come eri, con il doppio mento e tutto il resto. E se Edwin fosse stato quel ragazzo, allora avrei fatto qualsiasi cosa per stare con lui.

Il secondo problema era un po’ più particolare. Gli avevo più o meno detto che sapevo trasformarmi. Mi aveva raccontato di sapersi mutare da anni. Mi aveva persino mandato una foto del suo lupo. Quando aveva chiesto una foto del mio, avevo usato un’immagine trovata su internet e gli avevo detto che provenisse da una vacanza di famiglia a Yellowstone.

Non sapevo perché gli avessi mentito. Okay, anche quella era una bugia. Sapevo perfettamente perché l’avevo fatto. Aveva dato un’importanza enorme al fatto che mi sapessi trasformare. Non ero sicura che gli sarei piaciuta ancora se avesse saputo che non ero in grado di farlo.

Dovevo mentire, giusto? E ora che ero a pochi minuti dall’incontrarlo di persona per la prima volta, mi chiedevo quanto fosse grande l’errore che avevo commesso. Non avrebbe mai creduto che io fossi perfetta, nel momento in cui mi avrebbe vista, giusto?

Insomma, volevo che lo credesse. Ad essere sinceri, mi avrebbe distrutta se tutto questo fosse stato un grande scherzo e non si fosse neanche fatto vedere. Non sarei riuscita a sopportarlo. Al solo pensiero mi veniva da piangere.

Oddio, era davvero tutto solo uno scherzo, vero? E io ci ero cascata. Ero la stupida ragazza grassa che ci era cascata!

Più mi avvicinavo al punto dove mi aveva detto ci saremmo incontrati, più le mie gambe mi sembravano fatte di gelatina. Stavo impazzendo. La verità stava diventando più chiara. Ero solamente una triste idiota che si era innamorata del primo ragazzo che le aveva detto qualche frase carina. Ero una patetica credulona, una sfigata che nessuno avrebbe mai potuto amare e che tutti avrebbero sempre preso in giro.

Io…

“Hil!” qualcuno mi chiamò, strappandomi dal mio vortice di pensieri.

Non riuscivo a riconoscere la voce. Mi girai per trovare la fonte e lo vidi. Era Edwin. Quando posai gli occhi su di lui, ogni cellula del mio corpo iniziò a formicolare. Era venuto. Non era uno scherzo. Era tutto vero.

Cercai di non piangere, ma non ci riuscii. Forse era lo stress accumulato? Forse. Ma mi sentii così sollevata. C’era solo un’altra cosa che volevo, di cui avevo bisogno. Era di sentirlo dire le parole che aveva utilizzato ogni volta che ci eravamo incontrati online.

“Sei perfetta,” disse, riempiendo un vuoto dentro di me che non sapevo di avere.

“Edwin?” chiesi, asciugandomi le lacrime e cercando di comportarmi in modo normale.

Era uguale alle sue foto. Era tutto quel che aveva detto di essere. Ma chi erano le persone dietro di lui?

“Sì,” disse con un sorriso. “Sono felice tu sia venuta.”

“Come potevo non farlo? Me l’hai chiesto,” gli dissi, ricordandogli quanto avesse insistito.

“Sì, diciamo che era importante.”

“Importante?”

“Sì, perché questa potrebbe essere la nostra ultima occasione.”

Lo guardai con confusione. I miei occhi guizzavano da uno all’altro dei ragazzi dall’aspetto trasandato che stavano alle sue spalle.

“Che sta succedendo?” chiesi, iniziando a sentirmi a disagio.

“Oh, questi sono i miei amici. Abbiamo, uh, bisogno del tuo aiuto per fare una cosa.”

Sentii una sfumatura ben diversa da quella che avevo visto in lui quando eravamo online. Emanava un’energia nervosa. Non credevo avesse a che fare con me.

“Pensavo mi avessi chiesto di venire qui per un appuntamento, solo noi due.”

I suoi amici risero. Era divertente? Che cosa stava succedendo?

“Sì, certo,” disse Edwin attirando la mia attenzione. “È che prima devi aiutarci a fare questa cosa. Dopo ci possiamo prendere un gelato o qualcosa. Ti andrebbe bene?”

Non mi piaceva la piega che aveva preso la situazione, ma non ero sicura del perché. Era venuto, come aveva promesso. Mi aveva vista di persona e aveva ancora pensato che io fossi perfetta. Stava persino proponendo di prendere un gelato insieme.

Quello era tutto ciò che avevo desiderato, giusto? Tutto quel che dovevo fare era aiutarli prima di andare. Non era troppo strano, no?

“Di che aiuto avete bisogno?”

Edwin si voltò per guardare i suoi amici con entusiasmo frenetico. Si sistemò i capelli, raddrizzò le spalle e focalizzò i suoi occhi possessivi su di me. Mi corsero subito dei brividi lungo la schiena.

“C’è qualcuno con cui dobbiamo parlare. E non crediamo che lo farebbe se a chiederglielo fosse qualcuno di noi,” spiegò, indicando i suoi quattro amici dall’aria losca.

“Di cosa avete bisogno di parlare con questo qualcuno?”

“Vogliamo solo chiacchierare. Niente di strano. Sei una mutaforma anche tu. Vogliamo solo parlare di questo.”

“Intendi dire, tipo, che volete chiederle di unirvi al vostro branco?”

Edwin si voltò verso i suoi amici e rise.

“Qualcosa del genere,” mi rispose.

“Come dovrei fare per far parlare questo qualcuno con voi?”

“Non lo so. Siete entrambi mutaforma. Forse puoi trasformarti per lei, così che sappia chi sei, poi puoi portarla dove siamo noi.”

“E dove sarete?” chiesi, sentendo sempre più una brutta sensazione al riguardo.

“Vedi quegli alberi laggiù?” disse indicando una boscaglia fitta all’interno di Central Park. “Aspetteremo là.”

“Che cosa dovete dire a questa ragazza?” incalzai, sentendo un’ondata di paura.

“Non ti preoccupare. Tu falla solo venire. Dopo, andremo a prendere un gelato. Lo vuoi ancora un gelato, vero?”

“Sì,” risposi, desiderandolo disperatamente.

“Allora occupati di questa piccola faccenda e poi andremo,” concluse con un sorriso.

Guardai di nuovo verso il branco di Edwin. Non era uno schianto, ma anche io non ero una bellissima ragazza. L’unica cosa di cui mi importava era piacergli. Aveva detto che eravamo destinati a stare insieme. Volevo che fosse vero. E l’unico modo in cui avrebbe potuto essere vero era fare quel che il mio alfa mi stava chiedendo. Se non lo avessi fatto, avrei perso Edwin.

“Chi è la ragazza che vuoi che io convinca?”

Il viso di Edwin si contorse in un sorriso folle. Si girò e puntò il dito indicando un punto in lontananza: vidi una persona seduta da sola su una panchina. Era così piccola che la felpa con cappuccio nera che indossava la rendeva quasi invisibile nell’oscurità.

“Le volete solo parlare, giusto?”

“Sì. Solo parlare,” mi confermò Edwin.

“E poi andremo a prenderci un gelato?”

“Qualsiasi gusto tu voglia,” disse con entusiasmo.

“Lo farò,” dissi, non più sicura di niente, tanto meno di quel che stavo facendo.

Edwin e i suoi amici ghignarono come iene. Era inquietante.

“Okay, resteremo qui ad aspettarvi. Sapevo che saresti stata perfetta,” disse di nuovo.

Mentre si dirigevano verso gli alberi, camminai verso la panchina. Non riuscivo a credere che lo stessi facendo. Edwin aveva detto di essere un mutaforma anche lui, giusto? Se avesse voluto chiederle di unirsi al suo branco, forse tutto sarebbe andato bene, per tutti. Perché se fossi stata la fidanzata di Edwin e lei fosse stata parte del gruppo, avremmo potuto diventare amiche. Non avevo mai incontrato una mutaforma della mia età.

Mentre mi avvicinavo, la persona sulla panchina non si voltò. Non ero molto silenziosa. Doveva avermi sentita per forza. Ma non si voltò verso di me fino a che non mi sedetti di fianco a lei.

Fissandola negli occhi, il mio cuore si fermò. Non riuscii a respirare. Sapevo chi era. Edwin aveva ragione, lei era una mutaforma. Era la mutaforma più famosa del mondo. E fra i mutaforma, lei era la più odiata.

Non appena i nostri occhi si incrociarono, mi piegai verso di lei. Che cosa stava succedendo? Che cosa potevo fare?

“Non mordo,” disse la ragazza con una voce dolce.

“Sì, ah, lo so,” risposi incespicando nelle parole.

Potei sentirla fissarmi per un secondo prima di alzarsi e stare per andarsene.

“Mi dispiace, sono stata scortese?” le chiesi, cercando di trattenerla.

“No, non ti preoccupare, ci sono abituata.”

“Non volevo essere maleducata,” le dissi.

“Nessuno vuole esserlo,” rispose guardando a terra, ma senza allontanarsi.

“Quindi vedi spesso questa reazione da parte di altre persone?”

“Solo ogni giorno della mia vita.”

“È perché sei una mutaforma?”

“Perché sono una mutaforma. Perché le persone credono che io menta riguardo l’essere una mutaforma. Scegli tu.”

“Io ti credo. Voglio dire, riguardo il trasformarti.”

“Buon per te.”

“Potrei anche conoscere altri mutaforma.”

Quello fu il momento in cui sollevò lo sguardo e si voltò per guardarmi. Mi fissò ma rimase in silenzio. Perché non stava dicendo niente? Non mi credeva? Era un’altra cosa che le capitava spesso?

“Sono una mutaforma,” le confessai. “Voglio dire, non ancora. Ma forse.”

“Certo,” rispose, dubitando di me ma non del tutto certa che io stessi mentendo.

“Sto dicendo la verità. E ce ne sono molti come noi,” le dissi, parlando di cose che mai avrei dovuto dire.

“Molti mutaforma?”

“Sì! So che credi di essere l’unica, ma non lo sei.”

Chinai la testa sentendo il peso di quel che avrei fatto dopo. Sentii una fitta al cuore. Non ero sicura del perché.

“Vuoi conoscere qualcuno di loro?”

“Incontrare altri mutaforma?” mi chiese, sempre più sospettosa.

“Sì, non sono come me. Loro possono trasformarsi. Almeno uno di loro riesce.”

“Certo,” ribatté, fissandomi.

“Sono laggiù,” le dissi, puntando il dito verso il luogo dove Edwin e i suoi amici stavano aspettando.

Si voltò verso gli alberi.

“Sono là?”

“Sì.”

“Perché sono fra gli alberi?”

“Non lo so. Cose da mutaforma?”

“Riesco a sentire quando le persone mi stanno mentendo. Lo sapevi? Tutti i mutaforma riescono a capirlo.”

Mi bloccai. Di cosa stava parlando? Se fosse stato vero, mio padre non mi avrebbe mai lasciata uscire quella sera. La mia intera vita sarebbe stata diversa. E c’era anche la questione di come lei credeva di essere “l’unica della sua specie”. Decisi di stare al gioco.

“Allora sai che sto dicendo la verità. Ho amici mutaforma e mi hanno chiesto di domandarti di incontrarli.”

Quel che avevo appena detto era abbastanza vicino alla verità, in caso lei fosse davvero in grado di sentire se qualcuno le stesse mentendo.

Mi guardò. Credevo di dovermi inventare altro, quando disse: “Okay.”

Rimasi in silenzio, sorpresa. Non riuscivo a crederci. Aveva funzionato. Non avrei mai pensato che avrebbe potuto funzionare.

“Allora dovresti venire con me,” le dissi, alzandomi.

“Okay.”

Senza dire altro iniziai a camminare verso gli alberi. Lei mi seguì.

Tutto quel che stava accadendo era assurdo. Come aveva potuto funzionare? Chi altro avrebbe potuto convincere una sconosciuta ad accompagnarla nel bosco di notte? Edwin aveva ragione, ero perfetta.

Ci pensai su. ‘Ero perfetta.’ Era quel che lui aveva sempre detto. ‘Perfetta.’ Era questo quel che intendeva? Ero perfetta per convincere una sconosciuta a seguirmi nei boschi?

Un momento! Era quello il suo piano? Io ero parte di un qualche piano? Lo ero.

Perché aveva detto di voler parlare con lei? Era perché si unisse al suo branco? Lui ne aveva parlato, oppure ero stata io?

La ragazza a pochi passi da me era la mutaforma più odiata al mondo. Il suo essersi aperta al pubblico aveva reso difficili le vite di tutti gli altri mutaforma. La volevano morta, e non solo i lupi. Anche mio padre aveva tirato fuori alcuni suggerimenti.

L’unica ragione per cui era ancora in vita era perché non c’era mutaforma abbastanza stupido da provare a uccidere una figura così pubblica.

Oh, merda!

“Devi andartene!” le dissi, voltandomi verso di lei.

“Cosa?” mi chiese sorpresa.

“Devi correre via. Non è sicuro per te qui. Vattene! Subito!”

Non dovetti ripeterlo due volte. Senza dire un’altra parola si voltò e se ne andò a gambe levate. La guardai andarsene. Che cos’avevo fatto? Che cosa avrei fatto?

Ondate di terrore mi attraversarono mentre riflettevo su cosa fare. Avrei dovuto correre? Forse sarebbe stata la cosa più intelligente da fare? Oppure no?

Era possibile forse che a Edwin e ai suoi amici non sarebbe importato che io avessi rovinato i loro piani? Forse c’era una chance che io gli piacessi davvero? La probabilità sembrava così remota che avrei dovuto essere una pazza a rischiare. Ma non c’era forse comunque una possibilità?

Non ero così disperata da fare la cosa più stupida che esistesse, vero? Non gli piacevo. Mi stava solo usando per cercare di uccidere qualcuno. Lo sapevo. Allora perché stavo camminando verso gli alberi?

Era perché avevo bisogno di qualcuno che mi dicesse quanto io valessi qualcosa. Avevo bisogno solamente che qualcuno ci tenesse a me. Volevo così tanto piacergli.

“Brutta stronza!” urlò Edwin quando entrai nell’ombra.

Stava in piedi di fronte a me, senza la sua maglia mentre i suoi quattro amici lo circondavano, indossando solo l’intimo.

“Perché l’hai fatto?” urlò furioso. “Era lì, cazzo, era lì!”

“Mi dispiace. Pensavo di venire qui per un appuntamento.”

“Un appuntamento con te, cicciona disgustosa? Avevi un solo compito. Uno solo.”

“Mi dispiace,” dissi fra le lacrime.

“Vuoi vedere quanto ti dispiacerà?” Edwin si voltò e fece un cenno con la testa ai suoi amici. “Te lo mostro,” concluse mentre tutti si tolsero gli ultimi vestiti e si trasformarono in lupi. “Non ci potremo divertire con lei, ma andrai bene anche tu,” disse sbottonandosi i pantaloni.

Il suo sorriso fu l’ultima cosa che vidi della sua umanità. Mentre lo guardavo, il suo corpo nudo di fronte a me cadde a terra e mugugnò di dolore. Riuscii a sentire le sue ossa rompersi mentre si trasformava. Non avevo mai visto niente di simile. Era orripilante. E quando gli occhi da lupo di Edwin si alzarono per incrociarsi con miei, sapevo di essere morta.

Paralizzata, vidi la mia vita scorrermi davanti agli occhi. Ero stata così stupida. Come avevo potuto pensare che qualcuno potesse amarmi? Nessuno avrebbe mai potuto amare qualcuno come me. Nessuno.

Il lupo di Edwin fu il primo a balzare. Mentre lo fece, il mio cuore si fermò. Era la fine. Almeno lo sarebbe stata se un lupo non si fosse scontrato a mezz’aria con Edwin, buttandolo a terra.

Il nuovo lupo era potente, e grande. Serrò i denti attorno alla gola del lupo di Edwin e lo fece scuotere come fosse un giocattolo. Quando lasciò andare Edwin, inseguì i suoi amici.

“Remy!” urlai, scioccata. Avrei potuto riconoscere mio fratello ovunque.

 

 

Capitolo 1

Hil

 

“Credo di avere appena ucciso qualcuno,” dissi mentre mi sentivo la faccia diventare pallida.

“Hil, sei tu?” la preoccupazione di Dillon per il mio benessere era una delle cose per cui avevo imparato a volerle bene.

“Sono io. Che cosa ho fatto?”

“Oh mio Dio, ti sei trasformata?”

“Non mi sono trasformata,” le dissi, con il tono frustrato di una mutaforma di venti anni che ancora non era riuscita a mutare.

“Allora dove  sei stata? Ero preoccupata a morte! Dov’eri?”

“Sono in un ospedale,” le spiegai, guardando attorno a me i volti preoccupati delle altre persone nella sala d’attesa.

“Aspetta, perché sei in ospedale? Stai bene?”

“Sto bene. Ho prestato a qualcuno la mia macchina ed è successo un incidente. Ho ricevuto la notifica sul telefono di essere stata tamponata e che era stata chiamata un’ambulanza. Dillon, penso che qualcuno abbia cercato di farmi finire giù per un burrone.”

“Hil, devi dirmi dove sei.”

“Non so dove sono. È una piccola cittadina nel Tennessee. Ma sto bene. Avevo solo bisogno di sentire la tua voce. Non puoi dire a nessuno che hai parlato con me.”

“Remy mi ha chiesto di te. Ha detto che tuo padre è preoccupato.”

“Non puoi assolutamente dirglielo. Promettimi che non lo farai.”

“Hil…”

“Promettilo!”

“Okay. Lo prometto. Ma non puoi scomparire in questo modo, di nuovo.”

“Non lo farò. Ma devo fare questa cosa, devo provare a tutti quanti che posso farcela da sola.”

“Non hai appena detto che qualcuno ha provato a farti finire in un dirupo?”

“Starò bene Dillon. Posso farcela.”

“Mi è stato detto che hanno fatto entrare mia madre,” disse qualcuno con il più forte accento del sud che io avessi mai sentito, distraendomi dalla conversazione con Dillon.

Alzai la testa e vidi un ragazzo al bancone dell’accettazione, a venti piedi di distanza da me. Aveva capelli nero corvino, spalle larghe e una costituzione atletica. Oltre a questo, conoscevo il suo odore. Non sapevo come, ma era familiare. Era un lupo mutaforma.

Provenivo da una lunga stirpe di mutaforma, almeno dalla parte di mio padre. Mia madre era umana. Forse lo ero anche io.

Di solito, questo era tutto quel che ero. Ma da quando ero arrivata in quella cittadina mi stava accadendo qualcosa. Si trattava di piccole cose, come riuscire a muovere il mio corpo curvilineo come se pesasse cinquanta chili di meno. Non riuscivo a spiegarmelo. E poiché c’era molto della mia vita che non capivo, avevo appena aggiunto anche quel particolare alla lista.

Un’altra di quelle cose era come mi sentivo mentre guardavo il ragazzo fisicato di fronte a me. Riuscivo a vederlo solo di spalle ma ero attratta da lui. E quando l’uomo che mi portò in macchina all’ospedale corse verso di lui, mi alzai anch’io per raggiungerli.

“Devo andare.”

“Non sparire di nuovo. Devi dirmi dove sei.”

“Ti chiamerò presto. Te lo prometto, Dillon.”

Chiusi la chiamata e raggiunsi i due ragazzi al bancone dell’accettazione. Marcus, quello che mi aveva accompagnato, si voltò verso di me mentre mi avvicinavo. “Hil, questo è Cali. La Dottoressa Sonya è sua madre.”

Il tizio più alto mi guardò. Mi tremarono le ginocchia mentre lo stava facendo. C’era qualcosa nel suo profumo e nel modo in cui i suoi occhi scrutavano i miei che mi fece sentire debole.

“Perché mia madre stava guidando la tua macchina?” sbottò l’uomo stupendo.

Feci un passo indietro, sapendo bene di cosa potesse essere capace da lupo. Ma il cuore, che stava battendo all’impazzata, rallentò quando mi misi a considerare la situazione dalla sua prospettiva.

Quello non era uno degli episodi di mio fratello adolescente, che in balia degli ormoni mi aveva spaventata così tanto da piccola. Aveva senso che fosse arrabbiato. Lo sarei stata anch’io nella sua situazione. Ma non riusciva a capire che anche io ero preoccupata?

“Quando sono arrivata al bed and breakfast mi aveva fatto i complimenti per l’auto. L’aveva poi menzionata alcune volte, quindi siccome avrei dovuto partire oggi, le ho chiesto se volesse provare a farci un giro. Non avrei dovuto? Non è brava a guidare?”

Fissandomi, Cali si calmò.

“No, non fa niente. È brava a guidare come chiunque. Non potevi sapere cosa sarebbe successo. Scusami, come hai detto che ti chiami?”

“Sarebbe Hilaire, ma tutti mi chiamano Hil,” risposi, tendendogli la mano.

Avvolse la mia mano paffuta nella sua e la strinse più a lungo di quel che mi aspettassi. Il modo in cui mi scrutava mi fece sentire vulnerabile. Era come se riuscisse a vedere dentro di me. Non avevo segreti quando mi guardava in quel modo.

“È un piacere conoscerti, Hil. Immagino di doverti chiedere scusa per quel che è successo alla tua macchina.”

“Non essere ridicolo. È per questo che esistono le assicurazioni. Spero solo che tua madre stia bene.”

Cali lasciò andare la mia mano e si voltò, rompendo quella specie di connessione che avevamo. Faceva male sentire di averla persa. Uno dei tanti lati negativi di essere cresciuta in una famiglia come la mia, era che non avevo mai avuto la possibilità di incontrare ragazzi come Cali. Mio padre era così protettivo che non andai mai a scuola. Non avevo avuto altro che tutori. Non avevo mai avuto una vita.

Quando mio padre scoprì che non riuscivo a trasformarmi,, non ne fece un gran problema. Ma quella situazione divenne un’altra cosa dalla quale sentiva di dovermi proteggere .  Ero la sua piccola principessa. Ma una di quelle che non avrebbe mai potuto trovare un principe. Avevo la sensazione che nessuno si fidasse di me. Quello era in parte il motivo per cui avevo intrapreso questo viaggio, per dimostrare che potevo sopravvivere da sola.

Ad essere sincera, un’altra ragione era che di ragazzi con l’aspetto di Cali e che mi facevano sentire quel che lui mi faceva sentire, ce n’erano davvero pochissimi. A venti anni ero ancora vergine. E questo non sarebbe mai cambiato continuando a vivere sotto la protezione di mio padre. Dovevo andarmene. Ma ora ero in un ospedale nel mezzo del nulla in Tennessee, non ben sicura di cosa fare, dove andare o come arrivarci.

“Grazie per essere venuto Marcus. Ma non devi rimanere. Sono certo che hai molto da fare. Non voglio trattenerti,” disse Cali senza guardarlo.

“No, posso rimanere per tutto il tempo di cui hai bisogno. È tua madre, ma ci tengo anch’io a lei.”

“Grazie. Ma Claude e Titus saranno qui presto, non c’è ragione per cui tu debba rimanere,” lo liquidò in modo sprezzante il ragazzo corpulento.

“No, davvero, posso rimanere per tutto il tempo di cui hai bisogno.”

Cali si girò a guardarlo con un’espressione del tutto lupesca. .

“Marcus, vai. Ti farò sapere come sta. Sono anche certo che Hil abbia bisogno di un passaggio.”

Feci un salto nel sentire il mio nome pronunciato sempre con quel tono sprezzante. Non voleva che rimanessimo qui? Era arrabbiato con me? Era il tipo di lupo che avrebbe reso pericolosa questa situazione?

Misi una mano sulla spalla di Marcus.
“Dovremmo andare, sono certa che Cali ci aggiornerà non appena ne saprà di più.”

Cali si girò a guardarmi con sollievo. Non ero sicura del perché. C’era qualcosa fra i due. Forse avevano dei trascorsi?

Sapendo che Cali fosse un lupo, mi voltai di nuovo verso Marcus per osservarlo meglio. Nel guardarlo, non provavo la stessa sensazione che avevo sentito con Cali. Era forse perché era umano?

Per quel che riguardava il suo aspetto fisico, non era di certo il mio tipo nel modo in cui Cali lo era. Marcus era in forma ed era comunque molto attraente. Aveva anche le stesse fossette di Cali.

Ma mentre guardavo Cali, una fitta mi attraversava il petto. Qualcosa in me graffiava le pareti del mio corpo, con la voglia di uscire fuori. Riuscivo a malapena a respirare mentre lo fissavo negli occhi. Paragonato a questo, Marcus era solo un’ombra.  

“Posso portarti di nuovo a casa della Dottoressa Sonya,” disse Marcus, troppo abbattuto per incrociare i suoi occhi con i miei.

“Grazie,” gli dissi come se non mi importasse di restare tanto quanto lui.

“Di nuovo, mi spiace per quel che è successo a tua madre,” aggiunsi, attirando l’attenzione di Cali ma non il suo sguardo.

A malapena mi considerava. Lo fissai: avrei voluto tanto avvolgere le mie braccia attorno a lui e dirgli che sua madre si sarebbe rimessa presto. Ma c’era un’armatura appuntita che lo proteggeva, e non potevo penetrarla.

Si comportava in quel modo perché aveva notato quanto io fossi attratta da lui? Non ci capivo molto di ragazzi, men che meno di ragazzi mutaforma, ma sapevo che quelli attraenti come lui non erano mai interessati a ragazze con un po’ di curve come me. Il fatto che io fossi umana non faceva che peggiorare la situazione.

Forse era così freddo perché non voleva darmi un’impressione sbagliata. Oppure era solo schifato dal mio aspetto e voleva che me ne andassi. Qualsiasi fosse la ragione, dovevo sparire.

Andandocene come Cali aveva richiesto, Marcus e io rimanemmo in silenzio mentre guidavamo di nuovo verso il bed and breakfast. Durante tutto il tragitto, rimuginò sull’incontro con Cali sentendosi confuso quanto me.  Ripensandoci anche io, mi chiesi se Cali mi avesse davvero rifiutato. Avevo la tendenza a comportarmi in modo molto insicuro quando c’era di mezzo il mio peso.

Ma Cali non sembrava essere un cattivo ragazzo. C’era forse la possibilità che non fosse un gran chiacchierone? I metalupi a volte avevano questo carattere, no? O forse era sempre stato un tipo poco loquace?

Parlando di chiacchiere, qual era la storia fra lui e Marcus? C’era una ragione per cui sembrava esserci tensione fra i due? Avevano avuti trascorsi?

“Devo chiederti scusa per il modo in cui Cali ha reagito. Di solto non è così…” Marcus fece una pausa.

 “Un lupo così solitario?” dissi, testando le acque su quanto lui sapesse.Marcus rise. “No, quello è tipico di Cali. Di solito è un po’ più gentile, però. Non prenderla sul personale.”

“E tu?” gli chiesi, domandandomi se Cali fosse davvero un lupo solitario oppure se fossi incappata in un branco.

“E io cosa?”

“Tu la prendi, non lo so, sul personale?”

La bocca di Marcus si aprì, ma rimase in silenzio. Ci mise un po’ di tempo prima che parlasse di nuovo.

“A volte. Io e lui siamo andati allo stesso liceo. Cali era nella squadra di football e aveva ragazze che gli si buttavano addosso. Diciamo che non abbiamo frequentato gli stessi ambienti.

“Ma le nostre madri sono amiche, quindi eravamo spesso costretti a passare del tempo insieme. Mi sentivo sempre come un peso per lui, e immagino che nulla sia cambiato.”

“Quindi Cali ha avuto molte fidanzate?” gli chiesi, non riuscendo a nascondere il mio interesse.

Marcus mi guardò, aggiungendosi alla lunga lista di persone che potevano vedere esattamente quel che mi passava per la mente. Rise.

“È strano, ma nonostante ci fosse sempre una fila di ragazze a stargli dietro, non l’ho mai visto veramente con una di loro. Lui è più un tipo solitario e scontroso.”

“Un lupo solitario,” suggerii di nuovo.

Questa volta mi lanciò un’occhiata che celava un velo di sospetto. “Immagino di sì.”

Sapendo quanto i lupi potessero essere sensibili, specialmente intorno agli umani, decisi di cambiare argomento.

“Ha menzionato due ragazzi che l’avrebbero raggiunto. Immagino quindi che nessuno di loro due sia un fidanzato?” chiesi, alleggerendo l’atmosfera ma cercando allo stesso tempo di capire se avessi formulato un’ipotesi sbagliata su Cali.

Marcus rise di nuovo.

“No, Claude e Titus sono i suoi fratelli, che ha appena scoperto di avere.”

“Appena scoperto?”

“Sì. Lo scorso autunno la fidanzata di Titus ha fatto fare ad alcune persone un test del DNA e d è venuto fuori che loro tre condividono lo stesso padre.”

Riflettei su quel che avevo appena scoperto. Avevo incontrato la madre di Cali. Sembrava molto umana. Questo voleva forse dire che il padre di Cali era un lupo? Era un mezzo-lupo come me? Aveva due fratelli mezzi-lupi? Fra tutti i posti in cui sarei potuta capitare, ero finita per caso in un branco di mezzi-lupi?

“Oh wow!”

“Era esattamente quel che ha pensato il resto della città,” disse Marcus, fraintendendo la mia sorpresa. “È stato un vero scandalo. La madre di Cali era uno degli argomenti di cui nessuno riusciva a smettere di parlare. ‘Loro tre avevano lo stesso padre? Come fanno ad avere quasi la stessa età? Chi era quest’uomo?’

“Nessuna delle madri l’ha mai rivelato. A quanto pare non l’hanno mai detto neanche ai figli. Cali e la Dottoressa Sonya erano molto attaccati l’uno all’altra, fino a quel momento. Ora Cali passa la maggior parte del suo tempo all’università.”

“Un momento, Cali va al college?”

“Sì, è nella squadra di football. Sia lui che Titus. La scorsa stagione Titus ha stabilito il record di metri corsi, e Cali ha battuto il record di metri calciati.”

“Una famiglia atletica,” commentai confusa.

“A quanto pare,” disse Marcus con evidente dolore negli occhi.

“Mi sembra di capire che tu non frequenti l’università?” chiesi, presumendo che avesse all’incirca la mia stessa età.

“Non sono stato benedetto con la naturale abilità che così tante persone hanno in questa città. Se si trovava nell’acqua, io di certo non l’ho bevuta,” mi rispose offrendomi un sorriso.

Distolsi lo sguardo e considerai tutto quel che Marcus mi aveva appena detto. Avevo interpretato male tutto? Cali non era un mutaforma?

La sua vita sembrava così normale. Frequentava l’università e giocava nella squadra di football. I lupi mutaforma non facevano cose del genere. Se ne stavano in disparte e si uccidevano in dispute per i territori.

O almeno, questo è quel che credevo. Non ero una mutaforma, ma ero cresciuta con loro. Forse questa era solo l’ennesima dimostrazione di come la mia esistenza isolata mi avesse distorto la percezione della realtà? Oppure Cali non era davvero un lupo?

Se non lo era, avrebbe spiegato perché Marcus non avesse reagito al mio definirlo ‘un lupo solitario’. Non sapevo come mi aspettassi che reagisse, ma certamente una reazione diversa da quella che avevo visto. O questa era una normale cittadina con normali abitanti, oppure non avevo idea di cosa significasse essere un lupo. E avevo bisogno di scoprire quale delle due ipotesi fosse vera.

“Ho assaggiato i tuoi dolci,” dissi voltandomi di nuovo verso Marcus. “Non hai bisogno di giocare a football quando sai creare delizie che hanno quel sapore. Conosco persone che ucciderebbero per provare uno dei tuoi croissant al cioccolato,” risposi in modo sincero.

Marcus arrossì.

“Mi fa piacere che tu lo dica,” disse Marcus, rallegrato dai miei complimenti. “Cucinare dolci mi rilassa.”

“Darei un braccio per essere brava a fare qualsiasi cosa come tu sei bravo a cucinare dolci. Non ti saprei nemmeno dire come bollire un uovo.”

Marcus rise. Forse pensava che io stessi scherzando. Ma non stavo scherzando. Sin da piccola ero sempre stata servita da governanti e cuochi. Per un breve periodo avevamo persino avuto un assaggiatore di cibo. È un po’ difficile imparare a sopravvivere da sola quando non solo non hai il permesso di uscire di casa senza una scorta, ma c’è anche una sfilza infinita di persone che sono pagate per fare cose al tuo posto.

Cambiando argomento per il resto del nostro viaggio di tre quarti d’ora, gli domandai come fosse stato avere vissuto sin da piccolo in quel posto . Era molto diverso da come ero cresciuta io a New York. Catturavano per davvero le lucciole per metterle in barattoli. Si poteva pensare a qualcosa di più tipico per un bambino di una piccola cittadina?

“La prossima cosa che mi racconterai è che tu e i tuoi amici andavate a pescare giù al fiume.”

Mi guardò, imbarazzato.

“No, seriamente?”

“Non capisci quante poche cose ci siano da fare qui. Ma hai mai provato? È molto divertente.”

“Immagino. Di sicuro più divertente che essere costretto a giocare per forza con un bambino con cui i tuoi genitori ti hanno obbligato a passare pomeriggi insieme.”

Marcus mi guardò confuso e mi chiese “I tuoi genitori ti obbligavano a giocare di pomeriggio con alcuni bambini?”

“Sì. Non è così che fanno le persone in cittadine piccole come questa?” chiesi, cercando di combattere contro l’imbarazzo e la vergogna che provavo dal pensare a come i miei genitori avessero tentato di trovarmi degli amici e di come avessero fallito.

“No, mai successo qui.”

“Uno dei lati positivi di essere stata educata in casa, immagino,” dissi con una scrollata di spalle, desiderando disperatamente cambiare argomento.

Per fortuna Marcus distolse lo sguardo senza rispondere e calò di nuovo il silenzio fra noi. La mia incapacità di riuscire a farmi degli amici era un altro mio punto debole. Se non fosse stato per Dillon, sarei stata una ragazza grassa chiusa in camera ogni giorno con le dita coperte da residui di patatine. Già, avevo davvero bisogno di questo viaggio.

Quando arrivammo di nuovo al bed and breakfast, Marcus mi chiese se avessi bisogno di altro ora che non avevo una macchina. Gli risposi che non avrei avuto problemi. Poi mi diede il suo numero di telefono e mi disse di chiamarlo se mai avessi avuto bisogno di qualcosa. Ne fui grata.

Mettendo da parte la questione di essere incappata per caso in un branco di mezzi-lupi capitanati dal ragazzo più sexy che io avessi mai visto, avevo intrapreso questo viaggio per dimostrare quanto io potessi essere indipendente e autonoma. Ma la verità era che non ci ero neanche vicina, ero allo stesso punto di quando ero partita. Che cosa avrei fatto ora che non avevo un’auto? In più, che cosa avrei fatto senza contanti?

Se aveste cercato di intraprendere lo stesso viaggio che stavo facendo io, non avreste potuto fare affidamento alla carta di credito di vostro padre. Gli acquisti con le carte di credito potevano essere tracciati. Se l’avessi usata, mio padre avrebbe saputo esattamente dove mi trovavo.

In alternativa, avreste potuto prendere l’auto di famiglia senza un dispositivo di tracciamento, mettervi in tasca un po’ di mazzette di contanti che vostro padre teneva nascoste in casa, spegnere il vostro telefono e andare dove più vi faceva piacere.

Quella era l’opzione che avevo scelto. Ma avevo anche tenuto i contanti nella mia macchina, pensando che fosse il posto più sicuro dove conservarli. Certo avrei dovuto pensarci prima di lasciare che la Dottoressa Sonya usasse la macchina per farsi un giro. Ma come avrei mai potuto indovinare che la mia macchina e tutto il mio denaro sarebbero finiti giù in valle ai piedi di una montagna?

Cosa avrei dovuto fare ora? Non avevo un’auto, non avevo contanti, e se non mi sbagliavo la Dottoressa Sonya aveva qualcun altro in programma da far soggiornare nella mia camera quella stessa sera.

Non che non avessi altre opzioni. Se fosse venuto il peggio, avrei sempre potuto usare la mia carta di credito oppure chiamare a casa. Ma non lo volevo fare. Per una volta nella mia vita volevo mostrare a mio padre che non ero completamente senza speranza. Potevo prendermi cura di me stessa. Ma più passava il tempo durante la mia piccola avventura, più iniziavo a pensare di non esserne in grado.

Entrando nel bed and breakfast mi accolsero le facce di quattro persone che si voltarono subito per guardarmi. Sembravano due coppie, vestiti per una vacanza avventurosa. Indossavano scarponi da escursione e c’erano grandi zaini sul pavimento vicino al divano. Immaginavo che questi fossero gli ospiti che la Dottoressa Sonya aveva detto che avrebbero preso il mio posto. Non ero sicura di cosa potessi dire loro, quindi al posto di dire qualcosa corsi verso la mia stanza.

Dietro la porta chiusa a chiave, mi buttai sul letto e mi misi a fissare il soffitto. Mi sentivo così persa. Dovevo fare qualcosa, giusto? Non potevo rimanere lì e basta, sperando che tutto si aggiustasse da sé. Le persone che si appoggiavano solo su loro stesse non si mettevano all’opera? Non anticipavano che cosa sarebbe potuto accadere e si facevano trovare pronte?

Paralizzata, rimasi lì sdraiata per più di un’ora considerando le mie opzioni. Sapevo che Dillon mi avrebbe aiutata se avesse potuto, ma il nostro rapporto non era così. Ero io quella che l’aveva adottata.

Dillon era la figlia della mia governante preferita. C’era un numero limitato di umani che erano a conoscenza del fatto che mio padre e mio fratello erano lupi mutaforma. La nostra governante era una di queste poche persone.

Dopo avere deciso che io avessi bisogno di un’amica, i miei genitori organizzarono un pomeriggio di giochi con la figlia. Quando incontrai Dillon, ebbi la sensazione di stare guardando in uno specchio e decisi che lei avrebbe ottenuto la vita che io avevo sperato di avere.

Una volta diplomata al liceo, convinsi mio padre a creare una borsa scolastica e mi accertai che lei la ottenesse. Controllai anche che la sua stanza al dormitorio del college fosse fornita di tutto ciò di cui potesse avere bisogno. La borsa includeva del denaro da poter spendere, quindi non aveva avuto bisogno di trovare un lavoro, e aveva anche un po’ di soldi per dei vestiti in modo che potesse trovare un bravo ragazzo e vivere una vita felice.

Non feci tutto questo perché volessi qualcosa da lei. Era mia amica e volevo solo che fosse felice. Ero certa che mi avrebbe aiutata in quel momento se avesse potuto. Ma lei era in New Jersey, e io sapevo esattamente quanti soldi avesse in banca. Chiedere aiuto a Dillon non era un’opzione.

Sentii qualcuno bussare alla porta e mi ripresi dalla mia spirale negativa di pensieri. Mi rimisi rapidamente in sesto e mi alzai. Era diventato buio da quando mi ero sdraiata. Balzai in piedi e accesi la luce.

“Sì?” dissi, trovandomi all’improvviso faccia a faccia con le guance scolpite di Cali e con il suo incredibile profumo.

“Mi chiedevo se te ne saresti andata presto?” mi chiese con un evidente peso sulle spalle.

Non volevo pesare su di lui con i miei problemi insignificanti. Aveva già abbastanza di cui occuparsi per colpa mia.

“Sì, certo. Penso di avere perso la cognizione del tempo.”

” È solo che c’è una prenotazione per questa camera, e devo ancora pulirla…”

“Capisco.”

“Se hai bisogno di più tempo…”

“No, non ho molto con me, posso andarmene in pochi minuti.”

Al posto di rispondere, fece passare il suo sguardo su tutto il mio corpo. Mi diede una sensazione di calore che si fermò in profondità dentro le mie parti intime . Stringendo le sue labbra, mi fece un cenno e tornò al piano di sotto.

Bene, era giunto il momento. Avrei dovuto prendere una decisione. Buttai le poche cose che avevo nella mia borsa, diedi un’ultima occhiata al mio riflesso nello specchio e lasciai la stanza.

“Me ne sto andando,” dissi a Cali quando lo trovai in cucina.

“Okay, grazie,” disse, indietreggiando nella stanza alle mie spalle.

Senza altro posto dove andare, raggiunsi gli ospiti nel salotto. Era uno spazio molto accogliente. I mobili erano ben tenuti e c’erano immagini di volatili appese alla tappezzeria. Un grande tappeto ornamentale decorava il pavimento sotto il tavolino da caffè. Gli scaffali tutto intorno ai muri erano carichi di libri e souvenir provenienti da tutto il mondo.

Mi chiesi come potesse essere crescere in un posto come quello. Sembrava una casa piena di amore. Sapevo che cosa si provasse. Mio padre era intensamente devoto alla sua famiglia. Mia madre, mio fratello ed io eravamo tutto per lui. Era il resto del mondo che aveva una buona ragione per avere paura di lui.

Ci vollero solo venti minuti perché Cali ritornasse e accompagnasse i nuovi ospiti alle loro stanze. Mi guardò e i nostri occhi si incrociarono per un momento. Ma fu tutto. Lui era occupato. E lo capivo. Come poteva sapere che cosa io stessi passando? Ad ogni modo, aveva cose più importanti e reali di cui preoccuparsi.

Trenta minuti dopo, quando ritornò in salotto e vide che non mi ero mossa da lì, mi sentii imbarazzata. Non riuscii a guardarlo.

“Va tutto bene?” mi chiese, attirando i miei occhi verso i suoi.

Mentre lo guardavo, iniziai a sentire le lacrime farsi strada per uscire. Sapevo di sembrare ridicola. Avevo delle opzioni. Non avevo niente di cui lamentarmi. Ma eccomi lì, a piangere mentre una persona che poteva stare perdendo sua madre rimaneva forte.

“Mi dispiace, ora me ne vado,” dissi alzandomi, prendendo la mia borsa e correndo verso la porta.

“Aspetta, fermati!” mi ordinò con una voce che paralizzò i miei muscoli senza che lo volessi. . Rimasi voltata, non avrei potuto muovermi nemmeno se lo avessi voluto. Che cosa mi stava succedendo.

“Non hai una macchina. Dove stai andando?” mi chiese, senza notare l’effetto che le sue parole stavano avendo su di me.

“Posso chiamare qualcuno per un passaggio.”

“Se avessi potuto, l’avresti già fatto. Hai un posto dove andare?”

“Davvero, non preoccuparti per me. Come sta tua mamma?”

 Quando pronunciai quelle parole, sentii mollare la strana presa che lui aveva su di me. Una volta libera, mi voltai. Tutto quel che riuscivo a vedere era il dolore che stava provando.“Il dottore dice che si rimetterà. Ma riesco a malapena a guardarla conciata in quel modo. È sempre stata così piena di vita, sai. Vederla sdraiata su quel letto con quei tubi attaccati a lei, non sono riuscito a sopportarlo.”

Senza pensarci, mi avvicinai a lui e gli poggia una mano sulla spalla. Se ci avessi pensato prima di farlo, probabilmente non mi sarei mossa. Quando lui non si spostò, fui felice di averlo fatto.

“Il dottore dice che starà bene?”

Lui annuì.

“È un’ottima notizia. Non so dirti quanto io sia felice di sentirlo.”

Come se si fosse pentito di avermi fatto vedere uno spiraglio sotto la sua maschera, si raddrizzò di colpo e si spostò.

“Grazie. E mi dispiace molto di quel che è successo alla tua macchina. Mia madre ha un’assicurazione. Me ne occuperò io.”

“Davvero, non ci pensare. Tu preoccupati solo di tua madre e di tutto quel che hai sicuramente da fare.”

“Non c’è problema. Ma non hai risposto alla mia domanda. Hai un posto dove andare?”

Mi chiesi che cosa potessi rispondergli. Gli avevo già detto che non avrei avuto problemi. Non aveva accettato quella risposta. Decisi che avrei dovuto dirgli la verità. Scossi la testa facendo cenno di no.

“Allora resterai qui,” disse in modo gentile.

“Ma la stanza non è più disponibile.”

“Starai in camera mia,” mi disse, sicuro di sé.

Rimasi a bocca aperta mentre lo guardai, chiedendomi che cosa stesse suggerendo. Mi chiarì subito le idee.

“Io starò nella camera di mia madre. Camera mia non è grande ma…”

“Grazie. Sono certa che sarà più che sufficiente,” dissi, provando una sensazione di sollievo.

“Dovrai darmi alcuni minuti per sistemare in giro e magari cambiare le lenzuola,” disse mentre le sue guance pallide diventavano rosse.

“Non ti disturbare,” lo implorai.

“No, dammi solo un minuto. Torno subito,” e corse su per le scale.

Guardai il suo sedere mentre se ne andava. Cavolo!

 

 

Capitolo 2

Cali

 

Mentre la accompagnavo lungo il corridoio fino alla mia camera, mi immaginai la ragazza che mi stava seguendo. I suoi capelli ricci e scompigliati le cadevano giù fino a metà fronte. E i suoi occhi grandi e le sue labbra rosa e carnose mi ricordavano una bambola Kewpie. Era la ragazza più bella che io avessi mai incontrato. Il mio lupo la bramava.

Quello non era però il momento di pensare a certe cose. Avevo altro di cui preoccuparmi. Mia madre era in ospedale. Era difficile non darmi la colpa del suo trovarsi là.

Sin da quando avevo scoperto che Titus, Claude e io eravamo fratelli, c’era stata della tensione fra mia madre ed io. Quando l’avevo affrontata al riguardo, aveva stretto le labbra ed era andata via. Lei lo sapeva. Per tutta la mia vita, lei aveva saputo che io avessi fratelli e non me lo aveva mai detto. Perché? Come aveva potuto farmi questo?

“Eccoci qui,” dissi voltandomi verso la ragazza tutta curve e ben più bassa di me.

“Sei sicuro che vada bene?” mi chiese, con gli occhi che mostravano una certa fragilità.

“Non è un problema,” le dissi,  cercando di respingere tutto quel che il mio lupo voleva farle mentre la guardavo.

La bellissima ragazza continuò a fissarmi come se avesse qualcosa da dirmi. Non riuscivo a immaginare cosa avrebbe potuto essere. Guardandola a mia volta, sentii un dolore nel petto. Fui sovrastato dal desiderio di strapparle i vestiti di dosso e scoparla fino a che non avrebbe ululato di piacere. Guardai da un’altra parte per potermi riprendere.

“Pensi che tua madre tornerà a casa presto?” mi chiese, attirando il mio sguardo.

“Non ti preoccupare, puoi tenere la stanza fino a quando ne avrai bisogno.”

Hil sembrò imbarazzata.

“Non lo stavo chiedendo per questo.”

Guardandola di nuovo, era chiaro che quello non era il motivo per cui fece quella domanda.

“Certo. No, sono sicuro che ci vorranno almeno ancora un paio di giorni. Il dottore mi ha detto che sembra peggio di quel che è. Per fortuna si tratta solo di un po’ di graffi e lividi. Ha scongiurato molti dei danni interni che avrebbero potuto rendere le cose più complicate. Ma non è ancora del tutto salva. Tornerò in mattinata a vedere come sta,” dissi, sentendomi ancora una volta sopraffatto dal senso di colpa.

“Per favore, portale i miei auguri.”

La guardai. Il dolore nei suoi occhi mi suggeriva che si ritenesse davvero responsabile di ciò che era successo a mia madre. Non riuscivo a capirne il perché. Non era lei quella che l’aveva tamponata e aveva abbandonato la scena del crimine. Era quella che aveva chiamato l’ambulanza che l’aveva salvata.

Strinsi le mie labbra e annuii prima di girarmi verso la camera di mia madre e lasciarmi Hil alle spalle. Aprii la porta in fondo al corridoio e non mi guardai indietro. Volevo disperatamente farlo, ma se lo avessi fatto non ero sicuro che il mio lupo mi avrebbe lasciato andare via. Inoltre, non volevo affezionarmi troppo. Avrebbe potuto essere già partita quando il giorno dopo mi sarei svegliato, ed ero stanco di sentirmi con il cuore spezzato.

La fiducia era un problema per me e non mi aiutava il fatto che la persona di cui pensavo di potermi fidare mi avesse fatto vivere in una bugia. Quindi non mi sarei permesso di iniziare a provare qualcosa per Hil, non importa quanto il mio lupo fosse attratto da lei. Dovevo proteggermi da lei. O almeno la mia parte umana.

Ma con la porta chiusa alle mie spalle, me la immaginai di nuovo davanti agli occhi. Il lupo che avevo dentro di me impazzì.  Diventai subito molto duro.  Dovetti stringere la mia erezione per smorzare il dolore del desiderio.

 

Quella non era la prima volta che provavo dei sentimenti per qualcuno, ma le altre volte il mio lupo non aveva reagito così. . Non sapevo che cosa stesse accadendo. Era come se il mio lupo la conoscesse e stesse combattendo per stare con la sua compagna. Era quello che i metalupi provavano quando incontravano l’anima gemella?

Non sapevo se le cose che la gente diceva sui metalupi fossero vere. Ce n’erano molti in questa cittadina, ma fino a poco tempo prima non eravamo stati in grado di formare un branco. La colpa era stata di una barriera magica che un essere fatato aveva lanciato su di noi. Mio fratello, Titus, l’aveva poi costretto a levare l’incantesimo. Quando lo fece, la vita di ogni lupo cambiò.

Per noi fu come rimuovere una maschera e prendere finalmente e per la prima volta una profonda boccata d’aria. Tutti potevamo sentire gli odori come mai prima di allora. Vennero poi istinti e desideri che prima non c’erano mai stati. Era accaduto anche a metalupi che venivano in città solo per andare a scuola. In qualche modo l’incantesimo aveva fatto dimenticare a tutti noi lupi chi fossimo.

Una volta abbattuta la barriera, le cose iniziarono lentamente a girare. Questo fu un enorme avvenimento più per i lupi più vecchi di me perché, poiché avevano appena iniziato a potersi trasformare, tutto era per loro ancora più nuovo. Io non avevo vissuto una vita intera senza questa capacità.

Il problema era che la barriera aveva impedito ai lupi più anziani di essere lì per dirci che cosa dovessimo aspettarci. Avendo da poco formato un branco, il nostro alfa era solo di pochi anni più grande di me. Non aveva nemmeno saputo di essere un lupo fino a che non si era trasformato di recente. E prima che accadesse, non sapeva che i metalupi esistessero.

Quindi, che stava succedendo al mio lupo? Chi lo sapeva. E io non conoscevo nessuno che potesse spiegarmelo. 

Quel che sapevo era che per quanto il mio lupo la desiderasse, e per quanto fosse bella, lei non era una metalupa. O almeno non credevo che lo fosse.

C’era qualcosa di diverso in lei, però. Doveva esserci. Guardarla era come una droga che mi pregava di trasformarmi.

Non lo avrei fatto. Nemmeno dietro la porta chiusa a chiave della camera di mia madre. Non sapevo ancora che cosa potesse fare il mio lupo. Avrebbe trovato un modo per uscire e irrompere in camera mia per prendere possesso della donna che stava dormendo nel mio letto?

La mia erezione fece uno scatto al pensiero del profumo che avrebbe lasciato sulle mie lenzuola. No. Avevo bisogno di distogliere la mia mente da questi pensieri.

 Mi tolsi la maglietta e i jeans e mi buttai sul letto Invece di pensare a Hil, riflettei su come fosse strano trovarsi nel letto di mia madre. Non ci dormivo da quando ero bambino.

Quel che avevo detto a Hil era vero.  Il medico di mia madre pensava che si sarebbe completamente ripresa. Ma quel che non avevo detto a Hil è quanto pessimo fosse il suo stato. La pelle era ricoperta di lividi viola. Era piena di antidolorifici e mi guardava come se io non fossi lì.

Mia madre era sempre stata così forte, così piena di vita. Avevo sempre pensato che lei fosse “troppo”. Ma ora avrei dato qualsiasi cosa per riaverla come era.

C’era una ragione per cui lei non mi aveva mai detto che io avessi dei fratelli, giusto? E perché si era rifiutata di dirmi qualsiasi cosa riguardo mio padre, anche dopo la mia prima trasformazione in lupo e dopo avere scoperto che io non fossi umano? Doveva esserci un motivo.

Ma niente di tutto ciò era importante ora. L’unica cosa che importava era che lei si riprendesse. E io avrei fatto qualsiasi cosa perché accadesse.

 

Seduto nella sala d’attesa il mattino successivo, varie immagini mi ballavano nella mente. Mamma avrebbe avuto un aspetto migliore? Peggiore? Le medicine che le stavano dando stavano forse mascherando una ferita interna che l’avrebbe derubata del suo spirito?

Non avevo chiuso occhio la notte precedente pensando a tutto questo. Ero stato un idiota a litigare con lei. Adesso avrei dato qualsiasi cosa per cambiare le cose.

“Il Signor Shearer?” mi chiamò una donna corpulenta dalla pelle scura da dietro il bancone della reception.

Mi alzai e corsi veloce verso di lei.

“Sono io,” dissi con il cuore in gola.

“Può rientrare ora,” mi fece un cenno guardandomi appena.

Il suo evitare il mio sguardo era forse perché le cose non erano andate bene durante la notte? Mi salì una vampata di caldo in tutto il corpo mentre consideravo questa possibilità.

“È stata spostata nella camera 201. È al secondo piano. Ha bisogno di indicazioni?”

“Le avete cambiato stanza?”

Gli occhi stanchi della donna incontrarono i miei. Dopo solo un secondo, tornarono a guardare in basso il foglio di carta davanti a lei.

“Qui dice che è stata spostata per un miglioramento della sua condizione. È una buona notizia,” disse con un sorriso di rito.

“Grazie,” le risposti sollevato, e mi avviai verso le scale.

Non mi piaceva l’odore degli ospedali, specialmente con i miei sensi di lupo, accentuati e ancora in fase di sviluppo. Era difficile anche solo respirare. Ogni volta che inspiravo sentivo puzza di morte. . Conoscevo quell’odore fin troppo bene.

Non avrei mai potuto sopportare di  perdere mia madre. E per quanto cercassi di non pensarci, il pensiero mi travolse mentre attraversavo i corridoi.

Quando trovai la stanza 201, strinsi la maniglia e mi bloccai sulla soglia. Dovetti controllarmi. Quello non era il momento di lasciare che il mio lupo prendesse il sopravvento. Dovevo respingerlo.

Avevo bisogno di mantenere il controllo per affrontare quel che stavo per vedere.  Non ero sicuro che sarei mai stato in grado di reggere un peggioramento nelle condizioni di Mamma. Tutta questa storia era un incubo.

Trattenendo il mio lupo pronto a scattare e raccogliendo tutto il coraggio che avevo, bussai piano e spinsi la porta. Sbirciando dentro, trattenni il respiro.

“Cali?” una voce stanca ma familiare mi accolse.

“Sì, sono io Mamma.”

“Sono felice di vederti,” mi disse con occhi stanchi e con un sorriso.

Lasciando che la porta si chiudesse dietro di me, entrai e mi misi su un lato del letto. Nonostante fosse più sveglia della scorsa notte, il suo aspetto era peggiorato. Tutti i lividi viola si erano fatti più scuri. Non riuscivo a immaginare come quello potesse essere un buon segno, ma non l’avevano spostata in una nuova stanza proprio perché stava migliorando?

“Ho un aspetto così brutto, eh?” disse mia madre, leggendomi l’espressione che avevo in faccia.

“No Mamma, stai meglio.”

Mia madre sorrise. “Ti svelo un segreto, Cali. Riesco a capire quando dici una bugia. Una madre lo sa sempre,” disse enfatizzando il suo lieve accento giamaicano.

Era vero? Riusciva a capire quando stavo mentendo? Questa volta stavo davvero dicendo una bugia.

“Mamma, come è successo?”

Un velo di tristezza coprì gli occhi di mia madre. Lo stesso velo di quando io tiravo fuori il discorso dei miei fratelli appena ritrovati.

“Ha qualcosa a che fare con mio padre?”

Mi guardò, fissandomi negli occhi.

“È così, non è vero?”

“Non lo so. E nemmeno tu, quindi non c’è motivo di chiedere.”

“Di cosa stai parlando? Qualcuno mi ha detto che la tua macchina è stata tamponata da dietro. Avresti potuto essere uccisa. Ti ho quasi persa. Se sei ancora in pericolo, devo saperlo. Se qualcuno sta cercando di farti del male a causa mia…”

Mamma prese le mie mani fra le sue. Mentre la guardavo, tutto quel che riuscivo a vedere erano i tubi attaccati alle sue braccia.

“Quel che è successo è stato un incidente. Tutto qui.”

“E se non lo fosse? Devi dirmi chi è mio padre. Se è qualcuno di pericoloso, devo saperlo. Titus, Claude e io lo dobbiamo sapere.”

Per la prima volta da quando avevo scoperto che c’era di più riguardo il mio passato di quel che non mi fosse stato detto, mia madre mi guardò con compassione. Speravo che questo sguardo fosse seguito da una spiegazione. Ma non fu così.

“Continuerai a non dire parlare anche dopo quel che è successo?”

“Cali, non c’è niente da dire.”

Per quanto fossi sollevato che mia madre sembrasse essere tornata sé stessa, ero di nuovo furioso con lei. Meritavo di conoscere la verità. Lei mi stava nascondendo una parte di quel che ero.

Forse sapere chi fosse mio padre avrebbe dato un senso a diverse cose su di me che non capivo. Volevo urlare a mia madre, ma non potevo. Non ora, né forse mai più.

“Mi prenderò una pausa dalla scuola per occuparmi del bed and breakfast,” le dissi, cambiando argomento.

“No!” mi rispose con forza.

“Che cosa vuol dire no?” Ci sono ospiti che stanno soggiornando. Ora che gli affari stanno iniziando a girare, dobbiamo pensare alle recensioni.”

“Promettimi che questo non avrà un peso sul tuo rendimento scolastico.”

“Pensi che in questo momento mi interessi della scuola? Ma lo vedi dove ti trovi?”

“Promettimelo!”

“Mamma!”