TRASFORMATA E POSSEDUTA

  

Kylie guardò in faccia il suo ragazzo. Il bagliore della luce arancione lanciava ombre profonde sul suo volto, ma i denti brillavano al chiarore della luna quando lui le sorrise. Kylie amava lo sguardo del suo fidanzato, era il tipo di ragazzo che lei aveva sempre desiderato e lei sapeva che il suo amore era ricambiato.

Kylie si sentì stuzzicata dalla brezza che arrivava dal mare e che accarezzava il suo corpo semi nudo, era eccitata. Sarebbero stati a breve da soli e dove stavano andando potevano essere quello che desideravano. A Kylie piaceva stare nuda, amava camminare senza vestiti sapendo che il suo ragazzo non le staccava gli occhi di dosso, erano diretti su un’isoletta dove non c’era anima viva. Potevano stare nudi per tutto il tempo che desideravano.

Kylie ridacchiava e non riusciva a smettere.

“Che c’è?” chiese il ragazzo.

Kylie non ci poteva fare niente. Era totalmente eccitata ed era sicura che il suo viso era già diventato rosso, la barca si stava avvicinando alla riva e lei si alzò indossando il suo bikini e si diresse a poppa.

Il ragazzo fece rallentare la barca e permise alle leggere onde di spingerli verso la sabbia. Kylie balzò verso di lui al leggero impatto dell’imbarcazione alla riva.

Con un gran sorriso sulle labbra, si mise le mani dietro e si slacciò il pezzo di sopra del suo bikini, lo lasciò cadere e permise al suo ragazzo di avere quella vista magnifica del suo corpo dopo essersi abbassata anche il pezzo di sotto.

Lui riusciva a malapena a muoversi, doveva gettare l’ancora ma gli era arrivato il sangue al cervello e faceva fatica a pensare a cosa avrebbe dovuto fare. Lui fece un passo avanti verso di lei e la ragazza sorridendo scese con un balzò fuori dalla barca, lui sbuffò.

Kylie nuotava nuda, l’acqua era calda e scura. Chiuse gli occhi e sentiva le onde accarezzarle la pelle. Era molto seducente, si girò a pancia in giù muovendo le braccia lentamente e rimanendo a galla. I movimenti le facevano arrivare l’acqua tra le gambe ed il suo cuore accelerò dal piacere. Voleva che il suo ragazzo la prendesse lì dove era in quel momento, voleva ed aveva bisogno che la penetrasse e voleva sentire il suo cazzo duro dentro di lei. Voleva mettergli le gambe intorno alla vita, il suo corpo tremava dalla voglia e sentendo il rumore dell’acqua che le aveva fatto capire che anche lui si era immerso, capì che avrebbe avuto presto ciò che desiderava.

Il ragazzo si avvicinò a lei nuotando, l’eccitazione era quasi troppa. Lei voleva scappare per gioco per poi, quindi, essere presa. Una volta raggiunta, voleva essere posseduta. Mentre sentiva gli schizzi d’acqua che le facevano capire che lui si stava avvicinando si voltò per guardare il ragazzo negli occhi e nuotò verso riva.

Kylie sorrise di nuovo sapendo che la caccia era aperta. Il suo ragazzo rise calandosi nel ruolo del cacciatore. Uscendo dall’acqua la sabbia soffice le solleticava i piedi, i granelli le si appiccicarono alle dita, quasi arrivata alla prima fila di alberi della boscaglia che si trovava subito dopo la spiaggia, il ragazzo la abbracciò da dietro. Le loro risate e urla squarciarono il silenzio ed entrambi caddero sulla sabbia godendosi la sensazione di essere l’una nella braccia dell’altro.

Le labbra del giovane si attaccarono a quelle di lei, era forte, lei sapeva che anche se avesse voluto non sarebbe riuscita a muoversi, fece scivolare una mano verso il basso, lungo il corpo liscio e muscoloso di lui. Lei voleva che lui le entrasse dentro. Si strinse più forte a lui e lui capì.

Le labbra di Kylie si staccarono da quelle del ragazzo ed inarcò la schiena in un’estasi di piacere. Il suo membro la stava facendo godere, sembrava come un archetto con il violino, i suoi gemiti erano musica per le orecchie del ragazzo.

Entrambi facevano avanti e indietro con il bacino, quando la cappella di lui sfiorava il clitoride per poi rientrare tra le labbra della vagina della ragazza, lei gemeva di piacere. Lei era senza respiro, sentiva il suo grosso membro spingere, incapace di respingerlo via, Kylie urlò nella brezza sapendo che nessuno l’avrebbe sentita.

Dapprima lento, il ragazzo prese ritmo ora spingeva sempre più forte, era quasi troppo per lei che muoveva la testa da un lato all’altro completamente su di giri.

Kylie gridava, sentiva come una scossa elettrica arrampicarsi dalle gambe, facendosi strada verso il suo sesso. Non riusciva a tenere gli occhi aperti, inarcava gli alluci in su, una delle sue braccia era ferma sulla schiena di lui e l’altra era stessa sulla sabbia quasi sommersa da essa, le sue spinte le facevano mancare il fiato.

Il ragazzo inspirò profondamente. Stava diventando più aggressivo. Muoveva le ginocchia per spingere più forte ed il suo inguine sbatteva sulle sue labbra gonfie.

Le tratteneva i polsi sopra la testa guardandola fissa negli occhi. Erano entrambi posseduti da un istinto quasi animalesco, finalmente lui raggiunse l’orgasmo inondando di sperma la vagina della ragazza.

La mente di Kylie sembrava galleggiare per aria quando anche lei raggiunse l’apice del piacere, il tempo per entrambi sembrava quasi essersi fermato.

È stato allora che lei lo vide. Sembrava un cane, ma non proprio. Il muso era più lungo, gli occhi erano blu, più umani che canini. Il modo in cui la fissava mentre lei giaceva nuda ancora annebbiata dal piacere le aveva fatto venire voglia di urlare.

Kylie non riusciva a parlare dalla paura, non riusciva neanche a pensare, l’orgasmo la teneva ancora confusa, non riusciva a muovere un muscolo, la creatura ora fissava il suo ragazzo, accovacciato accanto a lei, non poteva far nulla se non guardare.

Il ragazzo non disse una parola, gli strilli dell’orgasmo l’avevano lasciato stordito e mascheravano ogni altra sensazione o sentimento potesse provare in quel momento, quando finalmente la voce della ragazza tornò, lei si accorse che quella creatura non era sola.

Lei ora si era accorta che gli occhi bianchi delle creature li avevano circondati, stavolta a lasciarla senza parole era il terrore, ora aveva capito che quelle bestie erano lupi. Tutto ciò non aveva senso, non c’erano lupi alle Bahamas, ma quelli che aveva di fronte lo erano, credeva di stare per morire.

  

 

Capitolo 1

 

Sakina sedeva sul sedile di dietro della macchina della madre, aveva un’aria totalmente disgustata e non faceva nulla per nasconderlo. Nei suoi diciotto anni di vita non riusciva a credere quanto la madre la odiasse. Anche se la madre non lo aveva detto esplicitamente era chiaro che non le dovesse dare più nessun’altra spiegazione.

Saki era cresciuta alle Bahamas, non era mai stata una ragazzina popolare tra i coetanei, a paragone degli altri ragazzi era più sveglia e più energica. Saki considerava la propria energia passione, ma questa visione delle cose non le aveva reso l’infanzia più facile.

Le scuole elementari comunque le avevano lasciato in eredità due amiche e una cotta per un ragazzo. Tutto sommato la vita non era così male, anche se la situazione a casa le aveva riservato due sorelle gemelle che lei considerava le “gemelle del male”, ma fino a quel momento tutto sembrava scorrere con più o meno serenità.

La tranquillità finì, la madre incontrò e si innamorò di uomo che seguì in North Carolina, Saki era stata forzata a lasciare le sue amiche e iniziò le scuole in quel nuovo posto con persone che avevano altri modi di fare e di pensare e c’erano nuove regole che lei non conosceva.

Avere una vita sociale per lei era quasi un compito insormontabile, nella scuola che frequentava lei era considerata la ragazzina alta, cicciona, con uno strano accento ed una personalità piuttosto fastidiosa. Nessuno voleva esserle amico.

Sembrava essere passata un’infinità per Saki quando trovò una persona che poteva considerare amica che condividesse i suoi stessi interessi, ma alla fine l’aveva trovata, la sua tenacia l’aveva premiata facendole avere un ruolo importante nella scuola come rappresentante degli studenti per poi fare anche parte del coro e della banda musicale della scuola.

In realtà lei non è che amasse la musica più di tanto, ma l’aveva aiutata a farsi accettare dagli altri studenti che fino a quel momento le avevano reso la vita un inferno.

Passati gli anni del liceo lei credeva che la sua vita sociale avesse raggiunto il top, di sicuro non era all’altezza dell’elite formata dai giocatori di football e le cheerleader ma si era fatta, nel suo piccolo, una posizione, cercava di vedere il lato positivo, se ce ne fosse mai stato uno.

Il mondo le crollò addosso di nuovo quando un giorno tornando a casa con le sue gemelle trovò la madre a fare i bagagli interrotta solo da momenti di pianto isterico. La madre le informò che sarebbero tornate alle Bahamas e che non avrebbero più fatto ritorno in quel posto, così l’anno del diploma Saki salì di nuovo su un aereo pensando a come ricominciare ad avere una vita nel posto dove stavano tornando e dove aveva passato gli anni della sua infanzia.

In macchina mentre la madre guidava, Saki lanciò uno sguardo alle due “pinco palline” altro soprannome per le gemelle, che in quel momento stavano guardando fuori dal finestrino osservando le macchine che sorpassavano e fissando, una volta passate davanti alla scuola, il cancello dell’entrata.

Nessuno parlava. La mamma, che loro sapevano essere molto lunatica, già si era infuriata quando una delle sorelle aveva avuto una parola di disapprovazione per quella situazione, se quello era il modo in cui avrebbe risposto anche a lei, Saki non osava dire la sua.

L’unica cosa che la sollevava era incontrare di nuovo il ragazzo per il quale alle elementari aveva avuto una cotta. Aveva pensato spesso a Clint. Era curiosa di sapere come fosse diventato, nonostante quella situazione, questo pensiero la tirava su di morale, fantasticava sul come sarebbe stato passare il resto della vita con lui.

La macchina continuava a viaggiare nel posto dove Saki era cresciuta, ora stavano passando di fronte al campo di basket della scuola, era rimasto come se lo ricordava, poi pensò che era stata sempre spaventata da quella scuola che era considerata essere abbastanza dura, sia accademicamente che socialmente.

Arrivarono alla segreteria della scuola, Saki squadrava tutte le facce che le capitavano a tiro, cercando di vedere se Clint fosse nei paraggi. Sapeva che il suo viso lentigginoso e i capelli neri erano rimasti gli stessi e che l’avrebbe riconosciuto tra migliaia di persone. La scuola non aveva molti studenti bianchi, più o meno 20 su 150 tra quelli della sua età. Chissà se gli alunni avrebbero accettato Saki e le gemelle, comunque in quel momento non le importava più di tanto.

Fermata la macchina Saki uscì e lo trovò. Clint era esattamente come lei lo aveva immaginato in quegli anni di lontananza, sia il corpo che il viso erano meno rotondi rispetto a quando era bambino. Con grande sorpresa di Saki ora il ragazzo aveva dei baffetti.

Vederlo nel primo momento della sua nuova vita per lei era un segnale. “Tutto andrà bene, questo è un segno” pensò. Saki continuava a cercare di vedere le cose in maniera positiva.

“Clint!” gridò uscendo dalla macchina. “Clint!”

Quando Clint si girò verso di lei i loro occhi si incrociarono. Lei sentì subito una scossa attraversarle il corpo, l’aveva pensato così tanto durante quegli anni. Ma le cose non andarono come Sakina si aspettava, infatti Clint, diede uno sguardo al ragazzo che aveva accanto e si allontanò quasi infastidito. La ragazza rimase impietrita dalla delusione.

“Brutto bastardo!” disse Saki, talmente ad alta voce che tutte le persone attorno a lei la sentirono.

“Attenta a come parli, Sakina” la ammonì la madre.

Saki si voltò verso la madre che ora si dirigeva verso la segreteria, “Ma non capisci? Conosco quel ragazzo” Saki cercava delle parole per riuscire a spiegarsi, era talmente delusa che non riusciva ad esprimere quello che provava in quel momento.

“Zitta e lascia stare” disse la madre accelerando il passo e lasciando le ragazze dietro di sé.

E già, è proprio una pessima madre, pensò Saki.

Saki ora guardava le sorelle che seguivano la madre, poi studiò quello che la circondava. Gli edifici era disposti in maniera ordinata e lineare, anche le stradine dentro al campus seguivano linee rette. C’erano sparsi alberi di cocco e altri fioriti, l’erba era tagliata alla perfezione, c’erano studenti ovunque. Tutti indossavano maglie bianche e la maggior parte scarpe nere. Le ragazze avevano gonne blu e i maschi pantaloni verdi.

Saki entrò nelle segreteria e vide che il resto della sua famiglia già era al bancone, provava a stare lontano da loro e trovò un posto a sedere al lato opposto della stanza. Sedeva tranquilla e continuava a ispezionare ciò che la circondava.

Una persona attirò la sua attenzione, doveva essere uno dei fighi della scuola. Era alto e scuro di carnagione, capelli neri mossi e una sguardo disgustato, in guerra con il mondo, proprio come il suo.

Come gli altri studenti entrò nella sala d’attesa passando dal corridoio, invece di dirigersi verso la porta della segreteria si mise seduto accanto a lei.

Il cuore di Saki batteva all’impazzata, quel ragazzo le faceva paura, ma doveva ammettere che aveva un non so che di eccitante, non aveva mai frequentato i cosiddetti “cattivi ragazzi”, lui sembrava esserlo. Saki fu colta a fissarlo quando lui girò lo sguardo verso di lei.

“Che c’è?” chiese lui con tono di sfida ma che per lei era molto seducente.

Saki non riusciva a parlare e fu felice quando sentì la voce della madre.

“Sakina?”

Saki si unì alla sua famiglia che stava in piedi al bancone, la segretaria le voleva dare il suo programma delle lezioni, Saki lo prese non prestando troppa attenzione, quando si girò per guardare di nuovo il ragazzaccio si accorse che non c’era più e ne fu molto delusa.

Una volta preso l’orario delle lezioni fece un passo indietro attendendo le sorelle. Sembravano spaventate, erano state messe in classi diverse, separate. Anche se non le interessava molto era abbastanza irritata dal loro comportamento. Stavano attirando l’attenzione di tutti, la madre ora le stava, con fare teatrale,  abbracciando entrambe.

Saki non ne poteva più e si allontanò con aria disgustata.

“Non mi saluti?” chiese la madre.

Saki si girò fissando il trio. Per quanto le importasse potevano andarsene tutte e tre all’inferno. Le pinco palline e la madre, all’inferno.

“Ciao” disse girandosi e lasciando la stanza.

Uscendo si stava chiedendo quanto sarebbe stata dura la sua vita lì. L’unica persona che conosceva già l’aveva rifiutata e tra l’altro non era stata mai brava a farsi nuove amicizie.

Fu distolta dai suoi pensieri dal suono della campanella e diede un ultimo sguardo attorno. Notò che dall’altra parte di quell’edificio c’era un laghetto e sopra la collina una specie di monastero. Era bello ma incuteva timore.

Saki sentì aprire la porta dietro di sé, era la porta della lezione che stava per frequentare, esaminò tutto in ogni dettaglio.  Notò le inferriate alle finestre che ostruivano la vista dell’esterno, gli altri ragazzi stavano correndo per prendere posto al banco quasi spingendola da parte, non erano per nulla cordiali, il suo cuore accelerò di nuovo sentiva che le mancava il respiro, voleva andare via di lì. Lo stava per fare quando qualcosa attirò la sua attenzione, a terra c’era qualcosa di scintillante, sembrava un medaglione. Si diede uno sguardo attorno cercando di capire se qualcun altro lo avesse visto, nessuno. Avvicinandosi si abbassò e lo raccolse facendolo girare tra le dita.

Lo stava studiando, aveva un diametro di circa cinque centimetri, rotondo, aveva una gemma verde al centro. Attorno alla gemma c’erano una serie di incisioni, non sapeva cosa fossero.  Alcune sembravano rappresentare una specie di cane ed altre una persona, il resto sembravano incisioni che raffiguravano creature di fantasia, sembrava che quel medaglione avesse un certo valore.

“Ragazzina” sentì la voce di uomo, distraendola dallo studio di quell’oggetto, Saki tirò su lo sguardo e vide una persona con il tipico abbigliamento da insegnate, aveva la barba ed era nero. “Hai intenzione di rimanere tutto il giorno lì?”

Saki si infilò il medaglione in tasca e malediceva quel momento, sperava che almeno la prima impressione che potesse dare ad un insegnante fosse stata migliore.

“Sei la nuova alunna?”

“Sì”

Il professore la guardava fingendo una risata. Saki non capiva il motivo di quella risata, senza un ulteriore parola il professore si diresse verso la cattedra,  Saki continuò a guardare la classe che aveva degli elementi familiari ed altri completamenti sconosciuti, ovviamente c’era una lavagna e delle bacheche, la cosa strana era che i muri della classe non avevano pittura erano fatti di semplici mattoni. Non c’era una finestra ma un pannello metallico con al centro una sorta di ventilatore che aiutavano il ricircolo d’aria nella stanza.

Anche gli studenti erano una sorta di elemento sconosciuto e familiare. Le facce e le divise davano un tono uniforme a tutti e le ricordavano i ragazzi che frequentavano quella scuola che lei vedeva dall’esterno quando era bambina. Sembravano tutti originari di quel posto, le Bahamas. Le ragazze avevano delle treccine, i ragazzi sembravano tipi abbastanza rozzi per come sedevano ai banchi. Come nel resto delle Bahamas, la carnagione delle persone era una moltitudine di sfumature che andavano dal bianco più chiaro al nero più scuro.

Fuori dalla classe intravedeva due gruppi di persone, al centro di uno c’era il ragazzaccio che aveva visto poco prima in segreteria, Saki, rivedendolo ebbe un sussulto. Nel suo gruppetto c’era una ragazza e altri tre ragazzi e lui sembrava che incutesse un gran timore, anche lui entrò in classe e lei abbassò lo sguardo fingendo di ignorarlo.

Non era l’unico che in quel momento la stava guardando, c’era un altro ragazzo, bianco e in forma, muscoloso e biondo che ora era seduto dall’altro lato della classe. I quattro ragazzi che gli sedevano attorno sembravano essere tutti simili. Questo gruppetto aveva delle magliette bianche di marca, il resto degli alunni aveva sì magliette bianche ma di qualità più scadente e più economica. Avevano le maniche rotolate in su ed i capelli ingelatinati e pettinati all’indietro, invece delle classiche scarpe nere, loro indossavano mocassini alla moda color beige, sembravano essere usciti da una pubblicità di qualche profumo o prodotto di bellezza.

“Mettetevi tutti seduti” disse il professore calmando il brusio della classe. “C’è una nuova alunna” l’insegnate cominciò a sfogliare tra i suoi documenti, rialzò lo sguardo e disse “Scusami, non riesco a trovare la tua scheda, come ti chiami?”

“Sakina, ma potete chiamarmi Saki” disse al resto della classe.

“Per favore, il nome completo”

Saki guardò il professore, odiandolo in quel momento per non aver trovato la sua scheda tra i suoi mille fogli. “Sakina Lightbourn”.

“Fate sentire Sakina la benvenuta, mi raccomando”

Saki guardò i visi giovani che la fissavano, non la stavano facendo sentire la benvenuta, cercò un posto per mettersi seduta, l’unico era un banco in prima fila al centro della classe. Attese istruzioni dall’insegnate.  Lui le indicò il posto libero e lei scivolò nel banco chiedendosi se fosse mai esistito posto peggiore.

Saki sentiva tutti gli occhi puntati su di lei. Stava odiando sua madre in quel momento. Non poteva farla finire l’anno e farle prendere il diploma in North Carolina? Era arrabbiata e confusa ma si disse che questo era il momento di riprendere in mano la propria vita scegliendo di nuotare o affogare.

Esaminò il gruppetto di biondi al suo lato era tutti belli ma ce n’era uno che lo era in modo particolare. Sembrava un modello, aveva un bel fisico asciutto si muoveva con autorità e gli altri ragazzi sembravano pendere dalle sue labbra.

Alla destra di Saki c’era il gruppetto di ragazzacci, sembra essere una gang, quello che le era seduto accanto in segreteria era sicuramente bello, ma incuteva timore era il classico bello e maledetto. Ma guardandolo meglio sembrava preoccupato, sembrava un giovane col peso del mondo sulle spalle, proprio come lei.

Poteva stare a fissarlo tutto il giorno, avrebbe voluto, se solo la ragazza del suo gruppo non la beccò, sembrava essersi arrabbiata. Ricambiò lo sguardo sembrando dire cazzo guardi?  Saki volse lo sguardo immediatamente altrove spaventata.

Saki cercava di capire come sopravvivere in quella situazione, forse avrebbe dovuto smettere di pensare a farsi degli amici e focalizzarsi solo sullo studio, aveva sempre avuto buoni voti. I compiti a casa erano sempre stati semplici per lei era tutto il resto che era difficile nella sua vita.

Clint, ricordò. Come ha potuto farmi questo? Forse non mi ha riconosciuto, pensò consolandosi. Dopotutto poteva essere che non l’avesse riconosciuta, lei lo aveva pensato molto spesso tenendo vivo il suo ricordo quasi venerandolo, ma ciò non voleva dire che lui avesse fatto la stessa cosa. Gli avrebbe dato una seconda chance, pensò, a meno che non dimostrasse di essere diventato uno stronzo.

Saki ripensò poi al medaglione, lo tirò di nuovo fuori, era pesante più di quello che le dimensioni lasciassero pensare, qualcosa non le faceva staccare gli occhi da quell’oggetto, era ipnotico, se lo girava tra le dita e lo fissava da più vicino, voleva capire cosa ci fosse inciso. Voleva decifrare i segni chiedendosi se fossero nella sua lingua. “Fammi vedere” disse il professore dalla cattedra di fronte a lei.

Saki presa alla sprovvista, voleva solo dare uno sguardo veloce ma fu beccata.

“Non è mio, l’ho trovato,” disse passandolo all’insegnate.

Il professore lo fissava con aria dubbiosa. “Dove l’hai trovato?”

“Per terra”

“Allora se non è il tuo, lo riconsegnerò io al legittimo proprietario” disse l’insegnate con tono d’accusa.

Questo non era il modo con cui Saki voleva iniziare la sua esperienza a scuola.

 

La mattina continuò nella maniera in cui era iniziata, le classi delle sue lezioni erano difficili da trovare ed ogni volta era forzata a sedersi in prima fila , tra le lezioni aveva provato a cercare il suo armadietto ma senza successo. A pranzo si era messa seduta da sola ad un tavolo vuoto al centro della sala.

Le cose sarebbero andate ancora peggio dopo pranzo, pensò quando sentì il suo nome pronunciato dagli altoparlanti. “Sakina Lightbourn è pregata di recarsi nell’ufficio del preside”.

Finito il pranzo con calma seguì le indicazioni per l’ufficio del preside, una volta arrivata le fu ordinato di mettersi seduta ed attendere.

“Può entrare, l’ufficio del preside è la seconda porta a sinistra di questo corridoio” disse la stessa segretaria che la mattina le aveva dato l’orario delle lezioni da dietro la sua scrivania.

Saki si alzò e si incamminò nel corridoio, trovò la porta, c’era un targhetta con scritto “Preside” ed un’altra dove si poteva leggere “Signor Jenner”, bussò.

“Si accomodi” disse una voce gentile ma decisa da dentro la stanza.

Saki aprì la porta e trovò di fronte a lui un uomo minuto, nero e calvo con occhiali tondi, sedeva dietro ad una grande scrivania piena di fogli e documenti. Era un ufficio grande ma ogni centimetro era occupato da qualcosa. C’erano due sedie di fronte alla scrivania, il ragazzaccio che aveva incontrato la mattina e alla sua prima lezione occupava uno dei due posti a sedere.

“Si accomodi” disse il Preside Jenner.

Saki fece quello che le fu ordinato cercando di non guardare l’altro ragazzo.

“Già conosce il signor Lafluer?”

Saki si girò verso il ragazzaccio guardandolo per un solo secondo, poi scosse la testa e disse “no”. Il ragazzo guardava altrove.

“Ok, mi dice per favore dove ha trovato questo oggetto?”

Il preside spinse il medaglione verso i due studenti. Saki si avvicinò per guardarlo meglio, lo fissò per un momento pensando a come aveva potuto trovarsi in quella situazione così velocemente il primo giorno di scuola.

“L’ho trovato per terra, in classe”

“Hmm.. e sai come ci è finito?”

“No, signore”

“Bene, capisco che lei è nuova, quindi la informo che questo è stato preso dal mio ufficio questa mattina. Più tardi il professor DeMarco l’ha trovato nelle sue mani. Lei è passata da queste parti stamattina con sua madre no?”

“Sì, signore.”

“Non le sembra strano? Provi a metters nei miei panni.”

“Non so cosa stia pensando signore” di certo questa non era la cosa migliore da dire per Saki, ma era stata onesta. Era abituata a fare la finta tonta con le sue sorelle e sue madre ma non poteva farlo di fronte al preside della sua nuova scuola.

Il Signor Jenner fissò Saki per un momento , lei non ricambiava lo sguardo, si sentiva gli occhi addosso, anche quelli dell’altro ragazzo seduto accanto a lei nella stanza, sembra strano ma le piaceva avere tutta la loro attenzione.

“Non è il modo migliore per cominciare l’anno accademico” disse il preside, Saki non rispose, poi il Signor Jenner continuò “Sicura che non conosce il signor Lafluer?” indicando l’altro ragazzo.

Saki cominciò a mettere insieme i pezzi del puzzle, il ragazzaccio aveva rubato l’oggetto, era successo qualcosa e lo aveva buttato a terra dove lei lo aveva trovato.  Ora si trovavano insieme nell’ufficio del preside che stava ricostruendo la vicenda. Si chiedeva come poteva chiudersi quella storia e come sarebbe andata a finire.

Il preside aveva ragione, era un modo pessimo per cominciare l’anno scolatistico nella nuova scuola. Sapeva che qualsiasi cosa avesse detto avrebbe potuto cambiare le sorti dei suoi studi e dei suoi voti. Saki era sempre stata una brava ragazza, ma non era soddisfatta della sua vita fino ad ora, forse era il momento giusto per provare qualcosa di nuovo.

“Non mi sembra familiare”

“Lui è uno degli alunni che frequentano le sue stesse lezioni e non le sembra familiare?”

“Sono nuova” disse esausta “come può chiedermi se mi sembra familiare? Non lo so, forse. Tutto ciò è troppo per me, mi sento confusa…” Saki fece del suo meglio per farsi uscire delle finte lacrime, quando riuscì a farle uscire pensò che quella era stata la cosa migliore che aveva fatto durante quella giornata.

Indietreggiando con le mani sulla faccia, sentì il signor Jenner appoggiare la schiena sulla sua comoda poltrona. Le sue lacrime lo stavano facendo sentire in colpa ed attirando l’attenzione del ragazzo che le sedeva accanto. Saki poter tirar avanti questa pantomima per tutto il tempo necessario, ora il suo obiettivo era quello di uscire senza alcun altra domanda.

Il Signor Jenner face passare qualche momento prima di parlare. “Ok vi lascio andare. Ma questo non è un giocattolo” disse teatralmente toccando ed indicando il medaglione. “Oltretutto è proprietà della scuola. Se non lo trovo di nuovo, saranno due le persone a cui chiederò e la prossima volta sarà con la polizia presente in quest’ufficio. Avete capito?”

Saki si asciugò gli occhi felice della fine della discussione e rispose “Sì, signore”

“Certo” disse il ragazzo accanto a lei.

“Bene, andate pure.”

Saki si alzò fiera di se stessa. Quel ragazzo doveva essere il più pericoloso della scuola, e ora le doveva un favore. Non riusciva a credere quanto fosse stata fortunata, camminando verso l’uscita sentiva i passi dell’altro dietro di sé. Si chiedeva cosa stesse pensando in quel momento, le avrebbe parlato ora o forse più tardi? Erano diventati amici? Dove li avrebbe portati quell’amicizia?

A dire il vero, lui era bellissimo. Forse questo piccolo incidente l’avrebbe fatto diventare il suo primo ragazzo. Le possibilità erano infinite a questo punto. Ora tutto le sembra aver preso una piega migliore.

Saki continuava a camminare seguita dal ragazzo, una volta abbastanza lontani dall’ufficio del preside, lei si girò verso lui ma era troppo tardi, se ne era già sgattaiolato via.

Saki lo vide camminare velocemente, era molto sexy, era un tipo pericoloso le sarebbe piaciuto baciarlo.

 

Saki passò il resto della giornata sperando di incrociarlo di nuovo. Ma il resto delle lezioni erano infinite, lei era sempre seduta al primo banco e nessuno le parlava.

Stava pensando che non avrebbe avuto occasione di parlare mai con nessuno, alla fine trovò il suo armadietto, ci posò i suoi libri che a quel punto della giornata erano diventati pesantissimi e si sentì sollevata. Mentre svuotata lo zaino notò che tutte le altre ragazze stavano uscendo dall’area dove stavano gli armadietti delle studentesse.

Era sola, Saki si guardò attorno ma non c’era più nessuno, ad un certo punto vide la ragazza che sedeva accanto al ragazzaccio in classe, c’era poi un’altra ragazza con lei.

“Oh, questa è la nuova. La vedi? E’ la nuova alunna.” Diceva la ragazza di classe sua prendendola in giro, poi le si avvicinò alla faccia, era di poco più bassa di Saki ma ciò non sembrava importarle. “Dimmi, ragazzetta, come hai fatto a fregare il medaglione?”

“Che? Non ho fregato il medaglione a nessuno, l’ho semplicemente trovato.”

“Certo certo. L’hai solo raccolto da terra giusto?”

La ragazza spinse Saki verso gli armadietti. Non sapeva cosa stava succedendo, non aveva mai fatto a botte con nessuno a parte le sue sorelle, e soprattutto aveva salvato il culo di Lane Lafluer. Non se ne erano resi conto? Se non ci fosse stata lei Lane sarebbe potuto andare in prigione, gli aveva fatto un grosso favore.

“Allora dimmi come l’hai preso” chiese la ragazza arrabbiata ora sostenuta da tre amiche che le si erano avvicinate.

“Te l’ho detto, l’ho trovato?” Saki non sapeva cos’altro dire.

“Ah l’hai trovato! Sicura?” chiese la ragazza spingendo la testa di Saki contro gli armadietti alle sue spalle.

“Ohh!” disse Saki presa dal panico. Cosa doveva fare? Rispondere alle provocazioni? Erano quattro contro una. Non riusciva neanche a vincere contro le sorelle che erano di due anni più piccole e minimo venti chili più leggere. “Lasciatemi andare!” urlò Saki.

Le altre ragazze qualcuna più grossa e altre più minute della prima cominciarono a spingere Saki, lei chiuse gli occhi abbassando la testa cercando di diventare  più piccola possibile. Sentiva addosso le manacce di quelle tipe.

Era sbattuta da un lato all’altro, era un incubo, il cuore accelerò ed una specie di grugnito le scappò dalle labbra mentre i colpi diventavano sempre più pesanti. Le arrivò un calcio sulla gamba e sapeva che quella situazione non sarebbe finita bene per lei.

“Aiuto!” urlò Saki invano.

I colpi diventavano sempre più pesanti, sentiva dolore arrivavano talmente tante botte che non riusciva a capire da dove venissero. Era come se fosse diventata una palla, si proteggeva la testa con le mani e la schiena con l’armadietto, sentiva dolore e soprattutto si sentiva totalmente umiliata, voleva piangere ma non aveva tempo per farlo. Tutto ciò che poteva fare in quel momento era sopravvivere e addirittura anche ciò sembrava essere troppo per lei.

I calci continuavano e continuavano quando all’improvviso smisero. Sentì le ragazze tutto d’un colpo scappare via, era finita? Lo sperava. L’incubo del suo primo giorno di scuola era finalmente concluso?

“Stai bene?” chiese una voce familiare che proveniva dalla porta che dava accesso agli armadietti.

Saki alzò la testa ed aprì gli occhi, era frastornata ancora sentiva dolore. Voleva piangere guardò verso la porta sperando che fosse qualcuno di familiare che avrebbe potuto abbracciare e scoppiare in lacrime, ne aveva bisogno, voleva una faccia amica. Quando guardò in alto vide però il viso del professor DeMarco, l’insegnate della sua prima lezione, ed era stato proprio lui a cacciarla in questo casino.

Non avrebbe dato la soddisfazione al professore che in maniera così veloce quella scuola e tutti i suoi componenti l’avevano piegata. Non avrebbe pianto di fronte a lui, avrebbe inghiottito il boccone amaro e accettato che sarebbe stata solo al mondo. Doveva tranquillizzarsi e prendersi cura di se stessa, nessun altro lo avrebbe fatto al posto suo.

“Stai bene?”chiese ancora il professore.

Saki non parlò ma trovò la forza per rialzarsi in piedi. Era totalmente indolensita, faceva delle smorfie di dolore ma il professor DeMarco  non osava fare un passo avanti, comunque lei non si aspettava nulla da lui. Quando riuscì finalmente a tenersi in piedi si girò verso il suo armadietto e finì quello che aveva cominciato a fare, sistemare i libri senza dire una parola.

Pian piano toglieva i libri dallo zaino per posarli, ad ogni movimento sentiva un gran dolore, sperava che il professore se ne fosse andato ma era ancora era lì. Lei si sentiva il suo sguardo addosso.

Tutto ciò era umiliante, la ragazza nuova era stata picchiata il primo giorno di scuola, odiava tutto in quel momento compresa la sua vita. Perché sua madre le aveva fatto tutto ciò? Perché non aveva lasciato tutto com’era col marito? Non era di certo un bel tipo, ma almeno tutto sembrava essere normale nel posto dove vivevano. Era al sicuro. Non avrebbe mai rischiato di essere picchiata da un gruppo di ragazzacce. Perché la madre doveva rovinare sempre tutto?

Voleva piangere e piangere, gli occhi le bruciavano, aveva la gola secca stava quasi per lasciarsi andare ad un incontrollabile pianto isterico. Non lo avrebbe fatto, non voleva. Era determinata. Chiuse il lucchetto, preso lo zaino e passando davanti al professore uscì dall’area degli armadietti.

Saki guardava ovunque tranne che alle facce degli altri alunni, non sapeva chi fosse a conoscenza di quello che le era appena successo, non avrebbe sopportato il loro sguardo, quindi si limitò a guardare l’erba dei cortili intorno al campus della scuola.

L’erba era bellissima e curata, c’erano dei ragazzi che correvano, poi lei distolse lo sguardo dall’erba per guardare l’edificio di fronte a lei, continuando ad ignorare lo sguardo delle persone.

Quel edificio le ricordava una caserma, l’unica cosa diversa erano le porte che erano colorate. La porta della lezione di chimica che era la lezione che doveva seguire, sapeva che era rossa. Notò sui muri disegnate delle linee bianche. Ecco una porta, ma era blu. Poi ce n’erano una gialla ed eccone una rossa. Doveva essere questa.

 

Finita la lezione continuò a passeggiare per il campus e continuare a ispezionare l’edificio, quella specie di caserma aveva un tetto in alluminio, poi notò una specie di albero di Natale, era alto circa sei metri più dell’edificio, in cima alla collinetta accanto ce n’era un altro, altissimo anche quello. Semi nascosto da quell’albero c’era un’altra costruzione, questa aveva i muri beige, se l’altra sembrava una caserma questa sembrava una capanna, ricordava quest’edificio dalle sue memorie di infanzia. Era una delle cose che ricordava con piacere di quel posto.

Alla fine tornò nell’area della segreteria dove tra l’altro, c’era anche l’ufficio del preside, si mise seduta in sala d’attesa e attese che la madre la venisse a prendere. Provò a non pensare a nulla mentre era lì, ma una serie di pensieri le inondarono la mente.

 

 

Capitolo 2

 

            Saki era stesa di lato con la testa rivolta verso il soffitto. Quella posizione le alleviava il dolore. In quel momento era contenta di aver combattuto per avere quella camera, con tre camere da letto in quella nuova casa, a Saki inizialmente era stato assegnato il divano letto nel salone.

La madre aveva promesso due cose: un divano letto comodo per Saki e un cellulare per ognuna delle figlie. Il cellulare ancora non si era visto e Saki pensava che il divano letto sarebbe stato l’unica promessa mantenuta. La madre pensava che, dato che a Saki rimaneva un solo anno prima di trasferirsi al college, le camere, che tra l’altro erano comunicanti, dovevano essere assegnate alle gemelle, non sembrava capire il perché Saki avesse da ridire.

Saki era decisa ad avere una camera per sé, già era stato sufficientemente brutto essere trascinata in questo posto, voleva un posto dove chiudersi a chiave per non essere vista da tutto il resto della famiglia nei suoi momenti di sconforto.

Ora era lì, si leccava le ferite, e si chiedeva cosa avrebbe fatto per migliorare la situazione che la vedeva in un posto dove non si trovava per nulla a suo agio, il peso di tutto ciò la stava schiacciando e sembrava come se le stesse mancando il respiro. Aveva la gola secca. Le lacrime che aveva fieramente trattenuto fino a quel momento ora sgorgavano a dirotto. Si sentiva a pezzi, le faceva male tutto, la sua vita le stava facendo schifo.

Senza preavviso la porta, quella comunicante con la stanza delle gemelle, si aprì.  Non voleva mostrarsi in quella situazione sapeva che la sua famiglia avrebbe usato ciò contro di lei in qualche modo. Ne era sicura.

“Ciao Saki, in classe tua c’è un ragazzo in forma, muscoloso e biondo molto carino?” chiese una delle gemelle “una delle ragazze della mia classe mi ha detto che, come te, è dell’ultimo anno ed è un gran figo,” disse enfatizzando le ultime due parole della frase.

Saki capì da quella domanda due cose, la prima era che sua sorella aveva avuto un primo giorno di scuola sicuramente migliore del suo. Aveva fatto amicizia e già focalizzava i discorsi con le nuove amiche sui ragazzi della scuola. La seconda cosa che aveva capito era che la sorella non sapeva nulla del suo litigio nell’area degli armadietti, se non lo sapeva lei anche il resto della famiglia non sapeva nulla, e a Saki, se non altro, almeno rimaneva un po’ d’orgoglio.

“Fuori!” Saki gridò con una voce che non tradiva il suo stato d’animo. “Non hai visto la porta chiusa? Vai subito fuori dalla mia camera!”

La gemella rimase in silenzio, Saki ancora girata si asciugò le lacrime, se la sorella non usciva l’avrebbe vista in viso e si sarebbe accorta che aveva pianto. Non doveva dare l’occasione alla gemella di mettere a fuoco il suo viso quando si sarebbe girata, passarono altri momenti di silenzio, Saki decise di agire, si tirò fuori dal letto ignorando il dolore si girò di scatto e caricò verso la sorella come un toro.

“Fuori dalla mia camera!” strillò Saki prima di spingere con tutto il peso la sorella, la gemella comunque non si  muoveva, era piantata a terra e non permetteva a Saki di cacciarla in salone. “Vai fuori! Vai fuori!” Saki continuava a spingere ma senza risultati.

“Mamma! Saki mi picchia!” gridò la sorella.

“Mamma! Dille di uscire dalla mia camera” gridò Saki di tutta risposta.

Le due si sforzavano, Saki non riusciva a guadagnare neanche un centimetro, comunque non si arrendeva. Mettere in chiaro che esigeva privacy era molto importante per lei, la voleva fuori di lì, voleva il suo spazio, un posto dove non doveva preoccuparsi di chi aveva intorno. Non poteva arrendersi, doveva sbattere sua sorella fuori.

“Mamma!” gridò ancora la gemella. Sta volta la mamma si fece viva e spinse entrambe le sorelle con un colpo al centro della camera.

“Lascia stare tua sorella. Lasciala stare!” Saki si sentì afferrare per un braccio e spingere di lato. “Cosa ti ho detto riguardo il picchiare le tue sorelle?”

“Non la stavo picchiando. Era lei che stava in camera mia.”

“E allora cosa stavi facendo quando sono entrata?”

“Stavo cercando di cacciarla fuori! Quella piccola stronzetta!”

Fu a quel punto che Saki senti un fortissimo dolore sulla guancia, barcollò, rimase senza parole, non sapeva cosa fosse successo, mise a fuoco la situazione e vide la madre guardarla con uno sguardo infuocato, senza preavviso vide la mano della madre caricare un altro colpo e colpirla di nuovo in viso. Saki rimase stupefatta, non era la prima volta che la madre la colpiva, ma mai con quella cattiveria.

Saki non sapeva cosa dire. Le lacrime erano per le persone innocenti, la madre l’aveva resa qualcos’altro. Il mondo era crudele, non se ne era mai resa conto prima, non si piange in un mondo crudele, si cerca di sopravvivere. Si combatte per sopravvivere.

“Che ti ho detto riguardo questo linguaggio?” chiese la madre infervorata.

Saki ricambiò lo sguardo senza sapere cosa dire. Tutto era cambiato ora. La persona di fronte a lei non era più sua madre era il nemico dal quale fuggire.

Dove sarebbe andata se avesse lasciato la casa? Cosa avrebbe mangiato? Come si sarebbe diplomata,? Si sarebbe finalmente trovata un lavoro per liberarsi di queste persone per sempre? Il sol pensiero di non vederle più, le aveva fatto passare un brivido lungo la schiena.

Mentre Saki guardava in faccia la madre, si accorse di che ora la stava guardando in maniera diversa. Era come se si stesse preoccupando o come se le stesse facendo pena. Pensò al motivo e realizzò. Sentì delle gocce di sangue scenderle dal naso fino alle labbra, era la prova della brutalità della madre, ora aveva la prova concreta per poter dire questo è quello che mi ha fatto mia madre.

Con voce fioca la madre le si avvicinò e chiese “Vieni qui, fammi vedere.”

Saki indietreggiò e aveva paura che la madre le togliesse quella prova che l’avrebbe salvata.

“Ho detto vieni qui” disse con voce ferma prima di fare un passo verso la ragazza.

Saki indietreggiò ancora, aveva bisogno di tenere la madre lontano, finalmente poteva mostrare al mondo intero che quella era una pessima madre. Con quella prova così evidente nessuno lo avrebbe potuto mettere in dubbio.

            “Vieni che ti do una pulita” comandò ma con voce dolce

“No. Non lo farai” Saki aveva un piano. “No. Tutti vedranno cosa mi hai fatto. Ok? Ora tutti sapranno che tipo di persona sei.”

“Vieni subito qua a farti pulire” ora sembrava disperata, era troppo tardi, Saki l’aveva in pugno.

“No!” Saki tentò di scappare. La madre provò a seguirla per prenderla, Saki sapeva di dover uscire il prima possibile. Il naso insanguinato era l’unica cosa che in quel momento possedeva e che aveva un certo valore, la madre voleva portarle via anche quello.

Saki finalmente arrivò alla porta d’ingresso, l’altra gemella che fino a quel momento era di fronte alla televisione, guardava la scena sbalordita. Saki sapeva che avrebbe dovuto anche superare l’ostacolo della sorella.

“Fermala, Maddie: Maddie!” sentì urlare la madre verso la sorella, Saki non poteva farsi fermare, ce la doveva fare, riuscì ad uscire, sapeva che nessuno era così veloce da poterla riportare lì dentro, sarebbe stata libera, e dopotutto, nessuno le avrebbe ordinato su come vivere e su cosa fare.

Saki non ebbe problemi nello sfuggire anche alla sorella, aveva aperto la porta con un movimento fulmineo ed ora era fuori, nel fresco della sera. Percorse il viottolo che dava accesso alla casa, a distanza di sicurezza si girò e vide la madre e la sorella che la guardavano dalla porta di casa, sorrise di tutta risposta.

Era libera, girava senza meta sul marciapiede, si sentiva leggera, non sentiva più il dolore, non poteva credere che aveva vinto la sua battaglia. Schiaffeggiata, scoraggiata e insanguinata? Ok, ma aveva vinto. Il senso di vittoria era una sensazione sconosciuta alla giovane talmente tanto che ora non sapeva che farsene.

Saki diede uno sguardo alle case sulla strada. Le finestre sembravano dei grandi occhi, si chiedeva dove bussare per far vedere alle persone che erano dentro cosa le aveva appena fatto la madre. Doveva solo bussare e mostrarsi? Doveva urlare in maniera tale da far aprire le finestre a tutti? Le possibilità erano infinite, mentre pensava a cosa fare si ritrovò in fondo alla strada. Era all’angolo tra Belfry e Chippingham Road. Chippingham era la strada che portava a West Bay Street, e dall’altro lato della strada c’era il Fish Fry.

Il Fish Fry era qualcosa che si ricordava bene dalla sua infanzia in quel posto. Era un molo dal quale un pescatore, un giorno, decise di mettersi a vendere dei molluschi e frutti di mare, li vendeva dalla sua barca legata alla banchina. Quel posto era rimasto uguale da trent’anni, il traffico attorno ad esso era decisamente aumentato. Che grande idea aveva avuto quel pescatore. Si era costruito la sua ricchezza con un’idea geniale.

Era stata senza dubbio un’idea geniale, infatti dopo qualche settimana i pescatori aumentarono, i tipi di prodotti venduti diventarono sempre di più e c’era sempre più scelta. Ora si vendeva persino un tipo di insalata con frutti di mare. Presto il posto fu conosciuto per il fatto che si poteva acquistare quel tipo di insalata e altre prelibatezze del posto, poi uno dei pescatori pensò che tutto sarebbe stato più facile se ci fossero stati tavoli e sedie e allora li mise davanti alla sua barca. Tutti gli altri pescatori fecero la stessa cosa, misero tavoli e sedie per i clienti, presto, da semplice posto dove mangiare insalata con frutti di mare, quei posti diventarono veri e propri ristoranti.

Le specialità di quel posto diventarono famose e i ristoranti sempre più affollati. Il Fish Fry, nome con cui era conosciuto oggi quel molo, era un fila di ristoranti, era bello, aveva un fascino tutto suo. Questo tipo di posto per l’isola era qualcosa di nuovo, il governo fino a quel momento non aveva fatto nulla per la gente del posto, ma dopo aver visto il successo che il Fish Fry ebbe, per ingraziarsi la popolazione nativa incentivò la frequentazione sia di giorno che di notte, assegnò degli agenti di polizia per dare un senso di sicurezza alle persone e fece fare un grande prato proprio di fronte, le persone potevano mangiare e fare delle passeggiate o rilassarsi in quell’angolo di paradiso.

Il  Fish Fry sarebbe stato il posto dove Saki avrebbe messo in mostra la sua situazione. Centinaia di persone avrebbero visto il suo naso insanguinato e le avrebbero chiesto cosa fosse successo. Quando tutto ciò sarebbe successo lei già sapeva cosa rispondere, “Mia madre mi ha fatto questo, mi ha picchiata” Saki sapeva che sarebbe stara la sua vittoria più grande.

Saki camminava lungo Chippingham, era una strada ben illuminata, gli alberi era disposti ordinati ai lati dei marciapiedi, cosa che Saki non aveva mai visto in North Carolina, gli arbusti erano rigogliosi e verdissimi. Alla fine della fila degli alberi Saki si rese conto che era vicino, vide in lontananza le luci del Fish Fry riusciva a sentire i rumori e la musica che proveniva da laggiù.

Al Fish Fry c’era sempre qualcuno che suonava musica tipica delle Bahamas, era musica molto ritmata, Saki non la ricordava quasi più, non le piaceva molto, preferiva la musica delle boy band, ma non poteva negare che quella musica la faceva sentire a casa, riascoltandola per la prima volta, dopo così tanto tempo, si sentì meglio.

Passò West Bay Street ed entrò nell’area del Fish Fry, si era espanso molto dall’ultima volta, le strutture di legno erano state colorate con i colori tipici dell’isola, verde acqua, rosa e giallo. I tavoli erano pieni di uomini che ridevano e bevevano, al piano superiore c’erano dei tavoli illuminati da candele ed erano popolati da coppiette, tutti sembravano divertirsi. Saki guardò sull’altro lato e notò che c’erano sul molo un sacco di persone. Molte di loro erano sedute sul prato, altre passeggiavano di fronte alla fila di ristorantini, Saki non era preparata a quella grande quantità di gente a quell’ora ancora così attiva.

Saki camminò, guardava le persone che incrociava in faccia. La maggior parte delle persone erano nere. Queste facce avevano qualcosa di diverso rispetto alle persone di colore a cui era abituata in North Carolina. Sembravano più scure. Forse perché erano direttamente discendenti dagli schiavi africani o forse perché qui il sole era più forte.

Comunque sia, la differenza era evidente. Molti di quelli che vedeva qui, in North Carolina sarebbero stati giudicati come criminali. Nessuno aveva ancora notato il suo naso.

Saki vide una panchina vuota e ci si fiondò, da lì poteva vedere l’intero Fish Fry  con tutti i suoi ristoranti. Avrebbe potuto passare la notte lì. La vista era estremamente rilassante per lei, tutto ciò che le era successo sembrava non avere più importanza, il Fish Fry era un posto dove scappare dai problemi, ora sentiva i muscoli del corpo cominciare a rilassarsi.

Saki rimase seduta per circa mezz’ora, non pensò a nulla in particolare, se lo avesse fatto avrebbe perso la tranquillità appena trovata. Ma in fondo stava pensando a qualcosa.

Come sarebbe potuta tornare a casa, come sarebbe potuta tornare a scuola, cosa avrebbe fatto?

Poi successe qualcosa, la sua prospettiva di quel posto cambiò. Per la prima volta si rese davvero conto di quanto fosse bello, la luna si rifletteva nell’acqua calma, la brezza agitava leggermente le foglie degli alberi, la musica suonava in sottofondo.  Era davvero un posto bellissimo. Si rese conto che dopotutto era tornata nel posto che considerava casa sua.

“Sei la nuova ragazza della mia classe vero?” chiese una voce squillante.

Saki guardò e si rese conto che quella domanda proveniva dal ragazzo in forma, muscoloso e biondo di classe sua. Vedendolo senza divisa e senza i suoi amici notò che quello era il figo a cui la sorella si riferiva qualche ora prima.

Era davvero bello. Era abbronzato, aveva il corpo da modello, non aveva mai visto un ragazzo così affascinante in North Carolina, vedendoselo di fronte Saki si chiedeva se non l’avesse scambiata per qualcun’altra.

“Hai cominciato oggi, no?”

Saki rispose “Sì, proprio oggi.”

“Lo pensavo.” Si avvicinò al suo volto e notò il naso “Stai sanguinando?”

Solo allora Saki si ricordò del sangue che aveva sotto al naso. Si tirò le mani sul volto per coprirsi, si sentiva umiliata, tutta la sicurezza che aveva era sparita, non pensava a lui quando voleva che qualcuno notasse il sangue. Voleva correre via.

“Fammi vedere”

Il cuore di Saki accelerò, lui le avvicinò la mano al viso, lei non poteva resistere, il ragazzo con gentilezza le allontanò la mano, anche se lei sapeva che lui stava guardando il sangue dal naso, Saki si era concentrata sul dolce tocco della mano.

Quel bel ragazzo la stava controllando con cura, Saki aveva il respiro corto. Le era così vicino, era bellissimo, voleva che non le togliesse più la mano di dosso, le piaceva il calore che le dava.

“Vuoi che vada a prendere qualcosa per pulirti?” chiese con grande gentilezza.

Saki cercò di rispondere, se avesse detto di no sembrava come se volesse stare lì e continuare a sanguinare. Sarebbe sembrato molto strano al tipo. Ma cosa sarebbe accaduto se avesse accettato il suo aiuto? Lo avrebbe trascinato nella sua vita così drammatica. Poi rispose.

“Umm… Sì, Grazie.”

“Vuoi venire con me? Possiamo prendere qualcosa da uno dei ristoranti.”

“Ahh. Ok.”

Saki si alzò e ancora stava pensando al tocco della mano del ragazzo sulla sua faccia. Era gentile, Saki era agitata, si era resa conto che anche con la brezza fresca dell’oceano si sentiva la faccia andare a fuoco.