FIGLIO DI UNA BESTIA

Capitolo 1

Quin

 

Non riesco a credere di essermi fatta convincere da Lou a farlo.

Siamo lì a chiacchierare in tutta tranquillità nella nostra stanza, e lei ad un certo punto prende a dire che diventerò una bestia se non vado fuori a conoscere qualcuno.

Un secondo dopo, mi ritrovo a urlarle contro che non è così che va davvero.

E poi lei risponde che è esattamente così che va e si inventa una storia su un cane che è impazzito perché rimaneva legato per tutto il giorno.

Per quanto possa sembrare un insulto paragonarmi a un cane, devo ammettere che non si sbaglia, almeno in parte. Ho faticato per capire chi sono. Sono la figlia di mio padre, come dice sempre lui? Oppure sono la cosa che vede in me il resto del mondo e che io cerco sempre di sopprimere?

Qualsiasi sia la verità, la mia vita fa schifo. Voglio dire, ho tutto ciò che posso desiderare, grazie alla compagnia di ricerca genetica di mio padre che gode di un enorme successo. Tuttavia, il gioco non vale la candela.

Mio padre pensava di dare un grande aiuto al mondo, quando ha cominciato a cercare una cura per l’infertilità. Perciò, dato che mia madre era sterile, è diventata la prima cavia. Io sono la prova che ha funzionato, ci è riuscito. Ma ci sono degli effetti collaterali che nessuno avrebbe mai potuto immaginare.

E mia madre è morta proprio a causa di quegli effetti, gli stessi che mi hanno costretta a segregarmi lontano da tutto e tutti… il motivo per cui la luna piena mi terrorizza.

Non che pensi che possa accadermi qualcosa. Ci sono state un bel po’ di lune piene dalla prima della mia vita, e io credo nella scienza.

Quello che mi terrorizza è ciò che le altre persone possano pensare che accada. Se hanno sentito parlare di me – e chi non l’ha fatto, grazie a quell’esibizionista di mio padre? – e mi vedessero durante la luna piena, ogni assurda storia che hanno sicuramente letto mi trasformerebbe in un mostro, ai loro occhi.

Non voglio assolutamente vedere il loro giudizio o il loro terrore. Inoltre, non voglio neanche sentirne l’odore. Mi hanno detto che sono l’unica ad averlo notato, ma l’odore della gente è davvero intenso, quasi travolgente. Questo è uno dei motivi per cui mi chiudo nella mia stanza, al dormitorio, quando non frequento le lezioni. Beh, l’altro motivo è che nessuno qui, alla East Tennessee University, mi ha ancora riconosciuta, e voglio che la situazione rimanga tale.

Finora, l’unica persona a conoscenza della mia condizione è Louise, la mia compagna di stanza nonché prima vera amica. Gliel’ho confessato dopo che l’università ci ha messe in coppia e che ho deciso che questo sarebbe stato l’anno in cui avrei frequentato i corsi. Grazie alle lezioni a casa e al fatto che abbia ereditato le capacità intellettive di mio padre, mi sono diplomata a sedici anni. E ho impiegato quattro lunghi anni a decidere cosa farò nella vita.

Non che mi servirà cercare un lavoro, o che non possa ottenere l’equivalente della specializzazione in genetica che mi sono prefissata di conseguire soltanto lavorando con mio padre. Tuttavia, c’è una cosa che non ho e che so di non poter ottenere così come sono. Se fossi rimasta rinchiusa nel nostro attico di New York, non avrei mai potuto avere una vita, degli amici…

Non avrei mai fatto sesso.

E io, questo, lo voglio. Durante un certo periodo del mese, non riesco a pensare ad altro. La luna piena potrà anche non trasformarmi in una bestia rantolante mezza umana, ma mi fa pensare al sesso come se ne avessi bisogno per respirare. Più divento grande, più la situazione peggiora.

È possibile che, non lasciando la mia camera, diventi una bestia come ha suggerito candidamente Lou? Non credo, dato che ora ho molto più controllo su questi aspetti rispetto a quando ero piccola. Se fosse un problema con l’alcool, invece di ciò che è realmente, potrei orgogliosamente dire che non bevo da anni.

Ma, che Lou stesse scherzando o meno, non volevo pensasse ci fosse la possibilità che diventi una bestia. Così, dopo un po’ di urla e litigi, ho cercato l’unica festa del campus che si teneva stasera e mi sono vestita per andarci.

«Finalmente!» ha detto Lou mentre mi dirigevo verso la porta.

Quello che mi fa veramente arrabbiare è che, dopo tutto il tempo che abbiamo passato a discutere, mi ha guardata andare via con un sorrisetto stampato sul volto. È come se tutto questo fosse stato per tutto il tempo il suo piano e io fossi stata l’unica ad essermi arrabbiata per davvero. Mi ha manipolata per indurmi a uscire e a farmi una vita!

Quella piccola, sudbola diva.

«E voglio le prove che non sei andata in qualche parco a cacciare scoiattoli o roba simile.»

«Io non do la caccia agli scoiattoli» protesto con veemenza.

«Sì, come dici tu. Ma quando tornerò dal mio appuntamento, voglio vedere un uomo nudo nel tuo letto, e voglio vederti imbarazzata che io sia entrata in questa stanza mentre tu sei impegnata a fare le tue cose. Tanto, tanto imbarazzo, signorina.»

«Ce ne sarà! Ce ne sarà in abbondanza, solo per te. Perché ti sbagli di grosso… o qualcosa del genere.»

«Bene.»

«Bene.»

«Dico sul serio, Quin.»

«Anche io.»

 

E quindi, adesso eccomi qui, a marciare attraverso il campus verso l’unico party last-minute che sono riuscita a trovare. La squadra di football della East Tennessee University ha vinto contro quella della West, i loro acerrimi rivali da sempre, e la confraternita della squadra ha deciso di organizzare una festa in favore della vittoria. Non c’è niente di quella festa che suoni anche solo un po’ divertente, ma sto andando… perché Lou mi ha costretta ad andarci.

Che dire. Forse non sono così tanto intelligente come ho sempre creduto.

E va bene. Andrò. Mi prenderò qualche prova dell’essere stata lì. Poi, una volta raccolte le prove, uscirò e andrò in un coffee shop a leggere un bel libro in santa pace.

So che Lou ha parlato di trovare qualcuno nudo nel mio letto, ma… diciamoci la verità, non c’è modo che una cosa del genere possa succedere così, di punto in bianco. O mai. Non riuscirei a perdere la verginità neanche se mi ritrovassi in una piscina piena di cazzi. Credetemi, perché ci ho provato. Ma appena qualcuno mi guarda bene e si accorge di chi ha di fronte, o parla di mettermi al guinzaglio nel caso mi scagliassi contro di loro durante il sesso o scappa a gambe levate.  

No, io passerò

 la mia vita triste, vergine e sola.

Mi sono appena data la mazzata da sola? Sembra proprio di sì. Bene. Adesso non ho proprio alcuna voglia di andare a quella festa.

La mia rabbia nei confronti di Lou mi ha spinta fuori dalla porta, ma i suoi effetti adesso stanno svanendo velocemente. L’altra conseguenza del crescere nel modo in cui io sono cresciuta è che non sono molto brava nelle interazioni umane. Trovandomi faccia a faccia con quello che sto per fare, pian piano mi accorgo che

non ci sarà modo che io riesca a fare amicizia o addirittura di più con qualcuno.

Non riuscirò mai a fare ciò che fa la gente della mia età.

No, nuovo piano: non entro. Mi prenderò la mia prova che sono venuta, tanto per sicurezza, e poi andrò via. Adesso vado verso una delle tantissime persone in questo posto e le chiedo di farsi una foto con me, tutti felici e sorridenti, così poi posso mostrarla a Lou. E poi me ne vado a gambe levate.

Sì, farò così.

Guardandomi intorno, vedo gente intenta a fumare, persone che parlano in gruppo con bicchieri rossi in mano, ed un ragazzo fuori tutto da solo.

La scelta, così, è facile.

Tutto ciò che devo fare è trovare il coraggio di riprendere a camminare, avvicinarmi a lui, chiedergli una foto, farla, ringraziarlo e andare via. Ce la posso fare. Non sono proprio così strano. Posso farcela, a parlare con una sola persona.

Stringendo le labbra, mi dico di doverlo fare e prendo a camminare verso di lui. Non ci penserò più di tanto. Lo faccio e basta, e poi me ne vado.

«Scusami… posso fare una foto con te?» chiedo al ragazzo, che è girato di spalle.

«Vuoi farti una foto con me? Perché?» chiede il ragazzo, la sua voce che si fa più chiara e vicina mentre si gira a guardarmi.

W—woah…

Conoscete quella sensazione, quando vi ritrovate davanti qualcosa che vi lascia completamente senza fiato? Brividi caldi cominciano a pizzicarti la pelle delle mani, salendo in fretta lungo le braccia prima di fermare la loro corsa dritti in mezzo alle guance, il calore a farti sentire super leggero.

È questo che succede a me, nel momento in cui i nostri occhi si incontrano. Questo ragazzo è bellissimo.

Quella pelle cremosa in contrasto con i suoi capelli neri e quegli occhi immensamente blu. La mascella, così rigida e squadrata che sembra essere stata scolpita nel marmo. Ci sono tante… così tante fossette, e i suoi muscoli gonfi sembra che abbiano a loro volta i muscoli. sulle sue guance, sotto il suo labbro inferiore, sulla punta del suo mento. Sono dovunque. Sono bellissime.

E, soprattutto, ha un odore meraviglioso. Il suo è un dolce profumo muschiato che non ho mai sentito prima. Mi ubriaca soltanto stando lì, vicino a lui. Proiettandosi dal suo corpo, quell’odore mi spoglia della mia stessa volontà. È come se mi avesse messa al guinzaglio e al contempo avesse risvegliato quella parte di me che ho sempre lottato per tenere sotto controllo.

Non riesco a parlare, eppure lui sta chiaramente aspettando una mia risposta.

Perché mi ha fatto una domanda.

Cos’è che mi ha chiesto?

Oh, sì! Mi ha chiesto perché mai vorrei farmi una foto con lui. E sembra parecchio infastidito al riguardo.

L’ho fatto arrabbiare? È una cosa così strana, chiedere una foto ad un completo sconosciuto? Probabilmente sì… Dio santo! Ma a cosa diavolo stavo pensando quando ho partorito questo piano stupido?

«Scusami» forzo fuori dalle mie labbra prima di costringere le mie gambe a muoversi dalla parte opposta.

Riesco a fare due passi prima di sentirlo parlare di nuovo.

«Aspetta! Non andare.»

Io mi fermo.

«Scusami. Non volevo essere scortese. Se vuoi una foto, posso farla.»

«No, va tutto bene» dico, volendo con tutte le mie forze girarmi per guardarlo di nuovo, ma sentendo troppa paura di perdere un’altra volta il respiro e non riuscire più a rispondere.

«No, davvero. Va tutto bene. Puoi averne una. Non so perché qualcuno vorrebbe farsi una foto con me, ma va bene. Sarei più che contento di farla.»

È in quel momento che mi giro a guardarlo di nuovo. Riconosco nelle sue parole il vero significato di ciò che sta dicendo. Parla come fosse una di quelle persone abituate a sentirsi chiedere una foto. Io ne so qualcosa. Chi non vorrebbe fare una foto con Harlequin Toro, l’unica licantropa sulla faccia del pianeta?

Ma quello vale per me, però. Perché la gente chiede selfie a lui, invece? Certo, è il ragazzo più bello che io abbia mai visto. Ma davvero le persone sconosciute si avvicinano a lui e chiedono foto solo per la sua bellezza? Non saprei dirmi sorpresa, se fosse così.

«Io, ehm… non ti ho chiesto una foto perché so chi sei. Non ti conosco. Non ho la più pallida idea di chi tu sia» spiego.

Il ragazzo fa scattare la testa indietro, come colpito. Mentre lo fisso, noto la pelle nelle sue guance farsi poco a poco più colorata.

«Oh! Okay. E allora…» scuote la testa, come per scacciare via qualcosa dalla sua mente. «Scusami, allora come mai vuoi farti una foto con me?»

«Non è con te, ecco. Chiunque andava bene» gli dico.

«Volevi una foto con qualsiasi persona? Perché?»

Sbuffo, costringendo il mio esasperante problema a liberarmi la mente.

«È a causa della mia compagna di stanza. Mi ha detto che dovevo uscire fuori e andare a divertirmi. E mi ha detto che avrebbe preteso delle prove…»

«E questa foto sarebbe stata la tua prova?»

«Sì.»

«Quindi, dopo aver fatto la foto… cosa? Andrai via?»

«Sì, è il mio piano» gli spiego, perdendo improvvisamente coraggio.

Il meraviglioso ragazzo di fronte a me mi guarda come la stramba che sono. Un sorrisetto si fa largo sul suo viso. Quasi considero l’idea di sentirmi in imbarazzo, se solo quel sorriso non fosse così bello da farmi completamente sciogliere sull’erba che ho sotto i miei piedi.

«Okay, questa proposta potrebbe sembrarti completamente assurda ma… ormai se qui. Già che ci sei, perché non entrare e… divertirti sul serio?»

«Perché non sono brava in queste cose. Sai… essere sociale, e cose così.»

«Beh, è il tuo giorno fortunato. Io sono molto bravo in queste cose, invece. Che ne dici se facciamo un patto? Ti darò la foto che mi hai chiesto, per la tua compagna, se tu però mi prometti di entrare con me e provare a divertirti sul serio. Ti farò conoscere un paio di persone. Così, quando lei ti chiederà com’è andata la serata e che cosa hai fatto, non avrai bisogno di mentire» mi dice, quel sorriso così grande da far esplodere tutte le mille fossette che ha in viso.

Lo guardo negli occhi. «Perché lo faresti?»

Mi guarda di rimando, inclinando la testa come fosse confuso.

«Forse perché sono un bravo ragazzo. Forse perché mi dai l’impressione di essere una ragazza interessante, con cui potrebbe essere divertente uscire. Oppure sto flirtando con te. Chi lo sa.»

Un brivido mi scivola lungo la spina dorsale quando sento quella parola. Flirtare. Che cosa sta succedendo? Piaccio a questo ragazzo? Sta succedendo qualcosa tra di noi, in questo momento? Riuscirò a portarmi un ragazzo in camera e a far ritrovare a Lou me e lui nudi nel mio letto, proprio come voleva?

«Uhm… Okay, sì» rispondo, sicuro di essere diventata rossa come un peperone.

«Cage, comunque.»

«Cosa?»

«Il mio nome, è Cage.» Mi fissa. «E il tuo?»

«Oh. Quin.»

«Bello. Mi piace il tuo nome.»

«Grazie. Me l’hanno dato i miei genitori» dico, perdendo il controllo della mia lingua.

Cage ride.

«Voglio dire. Ovviamente me l’hanno dato i miei genitori.»

«Non è così ovvio. Non sono stati i miei genitori a chiamarmi Cage.»

«E chi è stato? Uno zio? Un nonno? Qualcuno?»

«No, sono stato io.»

«E allora qual è il tuo nome di nascita?»

Cage mi guarda, e mi sembra di vedere milioni di pensieri scorrere dietro quegli occhi. «Che ne dici se ti porto dentro e ti mostro cosa c’è in giro?»

«Quindi lasceremo semplicemente cadere questa domanda?»

Cage ridacchia, a disagio.

Mi porta verso le scale, sulla veranda e poi dentro casa della confraternita. È difficile togliergli gli occhi di dosso, ma quando lo faccio mi ritrovo sorpresa di ciò che vedo. Non so esattamente cosa mi aspettassi, ma non era questo. L’enorme salotto ha pochi mobili, ma è pieno di persone. Ognuna di esse tiene in mano un bicchiere rosso di plastica, intente a parlare tra di loro come fossero amici.

«È ancora parecchio presto» mi dice lui.

«Che intendi?» gli chiedo, alzando la voce per farmi sentire oltre la musica country che aleggia nella stanza.

«Arriverà più gente, dopo.»

«Più di quanta ce ne sia già adesso?» chiedo, guardando intorno la stanza piena di gente.

Cage ridacchia. «Sì.»

«Cage!» Un ragazzo corpulento si avvicina a noi, gettando le braccia sulle spalle di Cage e facendo cadere qualche goccia del suo drink sulla sua maglietta. «Oh, cazzo! Ti ho sporcato?»

«Non fa niente» risponde lui, rilassato. «Dan, questa è Quin.»

Dan si gira a guardarmi, e mi fissa. «Quin!» ripete, mettendo fine al disagio che il suo sguardo mi stava provocando. «Sta cercando di reclutarti?»

«Cosa?» gli chiedo, confusa.

«Sta cercando di convincerti ad entrare nella squadra di football?»

Lo guardo, non capendo bene cosa stia succedendo. È serio? Pensa sia un ragazzo? Quell’errore è già stato fatto, in passato. Soprattutto perché la fata delle tette non è stata molto clemente nei miei confronti. Eppure, anche se pensasse sia un ragazzo, sarei un mingherlino. Non ho esattamente il fisico adatto per giocare ad un gioco che richiede forza e velocità.

«Squadra di football?»

Mi giro a guardare Cage, confusa.

Cage mi sorride. «Non fare caso a Dan. Ha preso qualche botta di troppo.».

«Non c’è di che, comunque» risponde Dan sulla difensiva.

«Siete entrambi nella squadra di football?» chiedo, facendo due più due.

Dan abbandona il suo atteggiamento da atleta sprovveduto e getta le braccia intorno a Cage un’altra volta. «No, io sono nella squadra. Quest’uomo è la squadra.»

Io guardo Cage, cercando spiegazioni.

Lui sorride con umiltà. «Sono il quarterback.»

«Non è solo il quarterback!» dice Dan, prendendolo in giro. «È colui che ci porterà al campionato nazionale, e poi andrà a giocare con le squadre professionali.»

«Oh! Adesso sì che capisco. La foto. È per questo che pensavi la stessi chiedendo a te. Perché sei un giocatore famoso.»

«Non sono per niente un giocatore famoso» mi spiega velocemente.

«Diamine, sì, che è famoso! Non c’è nessuno in questo posto che non lo conosca» dice Dan, con orgoglio.

Io guardo Cage, aspettando la sua reazione. Lui mi guarda di rimando ridacchiando, a disagio.

«Non tutti sanno chi sono.»

«Fammi il nome di una sola persona che non ti conosce» lo sfida Dan.

Cage mi rivolge un sorriso che la dice lunga. «Quin, ti va di bere? Penso tu abbia bisogno di un drink. Seguimi.»

«È stato bello conoscerti, Quin» dice Dan, prima di svignarsela.

«Quindi sei un quarterback.»

«Oh, non hai sentito? Io non sono solo un quarterback. Io sono la squadra» dice Cage, prendendosi in giro da solo.

Io rido. «Ho sentito, ho sentito. Quindi andrai a giocare per le squadre professionali?»

«Certo» dice lui con poco sentimento, prima di girarsi e versare della birra in due bicchieri rossi.

«Non hai l’aria di essere parecchio entusiasta.»

«No, è fantastico. Non vedo l’ora di giocare nell’NFL. È, ehm… tutto ciò che ho sempre sognato, ciò per cui lavoro duramente» mi dice, passandomi il bicchiere e prendendo il suo, pronto a brindare con me. «Alle nuove amicizie.»

Tocco il suo bicchiere con il mio, brindando con lui, prima di prendere un sorso. «Questa birra fa schifo» dico, guardando dentro il bicchiere.

Cage ride. «Fai pure, dimmi cosa ne pensi.»

«Scusa… è solo che non è così buona» spiego.

Cage ride più forte. «Non hai esattamente un filtro, tu, eh?»

Io mi congelo sul posto. Non è la prima volta che mi viene detta una cosa del genere.

«È una brutta cosa?»

«In realtà, è parecchio bello. Meglio di ciò a cui sono abituato.»

«Oh. D’accordo» dico, sentendomi perdere ancora di più.

«Hai un bel sorriso.»

«Non mi sono accorta di star sorridendo» gli dico.

«Lo stai facendo» mi assicura, ricambiando con un sorriso suo.

«Anche tu. Ed è molto bello» rispondo, sentendo il mio cuore battere con prepotenza dentro il petto, e non sapendo cosa fare a riguardo.

Cage smette di sorridere, e mi guarda dritto negli occhi.

Dio, quanto vorrei baciarlo.

«Immagino che, se ti chiedessi se in questo momento ti stai divertendo, mi diresti subito la verità.»

«Mi sto divertendo» gli assicuro, avvicinandomi a lui, nel caso in cui anche lui sentisse la voglia di baciarmi.

Cage mi guarda con un luccichio malizioso negli occhi. Avrei potuto giurare di aver visto le sue labbra muoversi vicino alle mie, con l’intenzione di baciarmi, ma poi lui dice. «Perché non andiamo a conoscere altre persone?»

«Altre persone? Ne ho già conosciute due. Quanta gente si può conoscere in una sola notte?»

Lui ride. «Solo un altro po’» dice, facendo scivolare il braccio sulle mie spalle e portandomi via.

Sentire il suo tocco sulla mia pelle ha fatto scattare qualcosa in me che riesco a malapena a controllare. È la parte di me che lotto per reprimere, ed è proprio quella parte che sta lottando per emergere. So bene di dover fare l’impossibile per impedire che accada, per resistere, ma non voglio. Insieme a questa sensazione ho cominciato a percepire un senso di potere mai provato prima. E mi piace: mi fa sentire… forte.

Per quanto voglia lasciarmi andare, faccio di tutto per rimanere nella mia forma umana davanti a Cage. Mi

porta in giro per la casa, presentandomi a persone nuove, una dopo l’altra. Non stava scherzando quando mi ha detto di sapersela cavare in queste cose. Ogni singola persona a cui mi presenta sembra pendere dalle sue labbra. E quando arriva il mio momento di parlare, loro sembrano pendere anche dalle mie, come per riflesso.

Questo tipo di interazioni hanno sempre rappresentato un’enorme difficoltà, per me. Tuttavia, mantenendomi in equilibrio nel vortice di emozioni che mi ha avvolta, mi sento… viva.

Ciò che mi carica ulteriormente è il fatto che Cage approfitta di ogni singola possibilità per toccarmi. Mi tocca le spalle quando mi presenta a qualcuno. Il suo dito si poggia sul mio avambraccio quando sta cercando di rendere chiaro un concetto. E, fermi spalla a spalla come fossimo una coppia, fa scontrare spesso le sue contro le mie quando ride.

Sono vicinissima alla trasformazione dopo pochissimo tempo, ma poi penso all’altra cosa che Lou mi ha fatto promettere di farle trovare al ritorno in camera. Come sarebbe avere Cage nudo nel mio letto?

Mentre uno dei suoi compagni parla, le sue mani a gesticolare durante il racconto, io non riesco a togliere gli occhi di dosso a Cage. La sua attenzione è completamente assorta sul suo compagno, ma di punto in bianco e con estrema cautela prende il telefono dalla tasca e lo guarda. Poi lo mette subito via, e aspetta che il ragazzo smetta di parlare prima di guardare tra me e il suo amico.

«Detesto dirlo, ma io devo andare» dice, poggiando la sua enorme mano sulla parte posteriore del mio braccio..

«Sì, anche io» dico velocemente.

«Sì? Dove sei diretta?» mi chiede con entusiasmo.

«Verso la mia stanza.»

«E dov’è?»

«Al Plaza Hall.»

«Davvero? Vengo con te» mi dice, stringendomi il braccio.

Il mio cuore si ferma per un secondo.

Viene con me?

È così che succede, allora?

Non riesco a credere che sta davvero per succedere.

Deglutisco, forzandomi a parlare.

«Grande.»

Dopo aver salutato un po’ di persone, usciamo insieme nella notte. Non appena l’aria avvolge il mio corpo accaldato, mi sento confusa e impaurita. Ho bisogno di sentire la sua voce, perché so che soltanto quella può tenermi ancorata alla realtà. Perché non dice nulla? Non è lui quello bravo in questo tipo di cose? Sono quasi sul punto di mormorare qualsiasi stupidaggine, ormai disperata, per sentirlo parlare di nuovo quando, alla fine, lui mi batte sul tempo.

«È una bella notte.»

«Cosa?»

«Puoi vedere tutte le stelle.»

Alzo lo sguardo. Ha ragione. Il cielo notturno è davvero limpido, non c’è nulla che ci ripara dalla luce della luna piena. Santo cielo, come ho fatto a non ricordare che stanotte c’era la luna piena?

Non che abbia importanza: non sono un mostro delle caverne completamente schiavo della sua influenza. Non mi trasformo da anni, ormai, e sono riuscita a riprendere il controllo di me stessa, del mio corpo, tempo fa. Sono Harlequin Toro, un’umana, non un lupo senza cervello.«Hai freddo?»

«Cosa?»

«Stai tremando.»

Sto tremando davvero. «Credo semplicemente di essere nervosa» ammetto.

«Sei nervosa per cosa?»

La mia faccia si fa immediatamente rossa e calda. «Non lo so.»

Cage mi fissa intensamente. «Sei davvero bella . Lo sai?»

«Lo sei anche tu» gli dico, tremando di più.

Cage ridacchia. «Grazie. Sei contenta di essere uscito dalla tua stanza, stasera?»

«Decisamente sì» gli dico, lottando per non mostrargli quanto.

«Siamo arrivati» mi dice, mentre ci avviciniamo alla porta dell’edificio con la mia stanza.

«Siamo arrivati» ripeto, il cuore a martellarmi forte nel petto. «Ti va di entrare?»

«Entrare?» mi chiede Cage, preso in contropiede.

«Sì» rispondo io, faticando per resistere all’impulso di trascinarlo all’interno dei dormitori.

«Ahm…» mormora, prima che la porta dell’edificio si apra di scatto e una ragazza esca fuori sul portico.

«Cage!» urla, prima di gettargli le braccia al collo e alzarsi in punta di piedi per scoccargli un bacio sulle labbra.

La mia bocca si spalanca immediatamente dallo shock.

Cosa diavolo sta succedendo?

Cosa sto vedendo?

La piccola ragazza bionda, dalle curve meravigliose, si gira a guardarmi. «E questa chi è?»

«Ahm, lei è Quin. Quin, lei è Tasha.»

Tasha mi guarda con sospetto, mentre Cage si fa sempre più a disagio.

«Tasha è la mia ragazza.»

«Come conosci Cage?» mi chiede Tasha.

Mi sento troppo scioccata per poter rispondere davvero.

«Quin mi ha chiesto di fare una foto insieme.»

Tasha si gira a guardare Cage, sorpresa. «Oh. L’avete fatta?»

«No, ancora no» risponde lui, con un sorriso.

«Posso farla io» si propone lei. «Dammi il tuo telefono» dice a me, avvicinandosi con la mano allungata.

Ancora senza parole, prendo meccanicamente il telefono e glielo porgo, avvicinandomi a Cage.

«Dite cheese!» dice.

«Cheese!» ripete Cage, mentre io resto immobile a fissare lei, ancora scioccata.

«Ecco qui» dice lei, ridandomi il telefono. «Controllala, dimmi se va bene.»

Io guardo il telefono, vedendo la mia umiliazione immortalata proprio lì. «Sì, va bene.»

«Okay. Allora andiamo. Ho famissima» dice Tasha, appiccicando il corpo a quello di Cage e spingendolo via.

«È stato un piacere conoscerti, Quin» mi dice lui, guardandomi mentre va via.

«Sì. Anche per me è stato un piacere conoscere… te» mormoro, sicura che lui tanto non possa più sentirmi.

Guardo la coppia perfetta farsi strada lontano da me.

Ovviamente ha una ragazza. E ovviamente la ragazza in questione è così bella. Il mio cuore sprofonda giù mentre li guardo.

Non posso credere di essere stata così stupida da credere che un ragazzo del genere volesse stare con me. Nessuno vuole mai stare con me.

Come ho fatto ad essere così stupida? Come ho potuto pensare che una persona come lui potesse anche solo guardarmi con un pizzico di interesse?

Una volta che i due spariscono nell’oscurità, io entro nell’edificio. Salgo le scale come fossi in trance, sentendomi sul punto di esplodere.  il bisogno di piangere. Perché non mi vuole mai nessuno? Perché non piaccio a Cage?

Non ce la faccio più. La mia pelle vibra a causa di una ferocia che non sentivo da anni. Quando finalmente capisco cosa sta succedendo, è ormai troppo tardi.

«Oh no. No, no, no, no, no» dico, in preda al panico.

Scalino dopo scalino, la realtà che mi circonda si allontana sempre di più. Devo rinchiudermi. Non posso crederci, sono passati anni! Perché ora? Perché qui?

Avvicinandomi alla porta della mia stanza, fiuto l’ultima cosa che vorrei sentire o che mi aspetterei di sentire: Lou è a casa. Perché è qui? Non aveva detto di avere un appuntamento?

Non voglio che mi veda così. Non voglio terrorizzarla mostrandole chi sono davvero. Non voglio ucciderla per sbaglio.

È così che è morta mia madre? Ho perso il controllo e le ho tagliato la gola? All’epoca ero troppo piccola per potermene ricordare. Ma un bambino e un lupo di tre anni sono due cose diverse. Se glielo permetto, la bestia che ho in me porterebbe via un’altra persona a cui tengo?

No, non posso lasciare che accada. Devo isolarmi il prima possibile. Dopo aver trovato le mie chiavi, apro la porta ed entro.

«Non dovresti essere fuori a cercarti un ragazzo?» mi chiede lei, mentre io mi precipito nella mia stanza nel tentativo di evitarla. «Quin? Cosa c’è che non va?»

Non appena la porta della mia camera si chiude alle mie spalle lasciandola fuori e trovo il lucchetto del chiavistello che ho installato, finalmente perdo il controllo e ho fatto quello che per anni ho sperato di non fare. La sensazione è paragonabile a una tortura.

Sta tornando tutto a galla.

Una sensazione pungente mi investe, accendendo ogni nervo del mio corpo. I miei muscoli si bloccano, causandomi i peggiori crampi che si possa immaginare. E, intanto che si strappano e si rimodellano, sento le ossa rompersi per lo sforzo.

Per fortuna, è proprio in questo momento che svengo. Era così che succedeva, quando ero piccola, almeno all’inizio:  da bambina svenivo in un posto e mi ritrovavo nuda e coperta di sangue da un’altra parte.

Mio padre analizzava spesso il sangue che avevo addosso per assicurarsi non fosse umano, e fortunatamente non lo era mai. Ma, di tanto in tanto, venivano affisse foto di gatti scomparsi vicino casa nostra, a nord di New York. I miei vicini erano al corrente della mia natura, perciò avevano i loro sospetti ma non ne hanno mai avuto conferma. L’unica persona ad avermi vista trasformata è mio padre. Ed è stato solo quando si è assicurato che sia io che il mio lupo non eravamo una minaccia, che siamo tornati nell’appartamento di New York in cui era morta mia madre.

Questa trasformazione, però, non è stata come quelle che facevo da bambina. Stavolta mi risveglio nella mia camera, completamente al buio. Mi sembra quasi come una paralisi del sonno, quando sei sveglio ma non puoi muoverti. Sono cosciente, pienamente cosciente, anche del fatto che sto camminando molto vicina al pavimento, come se qualcuno si fosse messo a cavallo della mia schiena.

Nonostante i miei sforzi, non riesco a fermarlo. Il mio comò mi sfreccia accanto velocissimo e, mentre ascolto i suoni che mi circondano, sento anche un ansimare selvaggio. Oh no, sono io il mostro.

L’unico modo in cui sono riuscita a scendere a patti con la mia natura è stato convincermi di non essere ciò che sono davvero. Non ero stata io a uccidere mia madre: è stato brutale, e io non lo ero.

Eppure, eccomi qui a smentire tutto ciò a cui mi aggrappavo per conservare quel briciolo di sanità mentale che mi rimaneva. Sono sveglia, ma non ho controllo su me stessa, e sento il mondo attorno a me come se fosse di mia proprietà.

«Quin, stai bene?» mi chiede una voce flebile al di là della porta.

Come se avesse preso fuoco, il mio lupo si scatena. Si lancia sulla porta e la attacca come se volesse sfondarla.

Oh no, il chiavistello. Non ho chiuso a chiave la porta!” ricordo poi, sprofondata nel mio mare di terrore.

Non appena lo penso, il mio sguardo si sposta sulla maniglia della porta, che viene prontamente avvolta tra gli artigli. La bestia mi ha sentita e sta lottando per uscire fuori: se ci riuscisse, ucciderebbe Lou, ne sono sicura. Ucciderebbe chiunque si trovasse sul suo cammino finché qualcuno non l’avesse abbattuta o fosse scappata via.

Questo è il mio più grande incubo, e sta diventando realtà.

È questo il motivo per cui mi sono rinchiusa e non voglio più uscire da questa stanza. È tutto ciò che ho sempre temuto.

Aspetta! Mi ha sentita! Ecco come ha capito di dover cercare la maniglia della porta. Beh, se mi ha sentita pensare questo, allora…

Smettila. Non attaccherai la mia amica. Non le farai quello che hai fatto a mia madre!

Come congelato sul posto, il lupo si blocca. Non appena resto immobile, la tristezza mi riempie i pensieri, ma poi mi accorgo di non essere io a provarla: è il lupo. Sta pensando a quello che ha fatto a mia madre. Il suo rimpianto è palpabile, e io, in qualche modo, so che non lo aveva fatto intenzionalmente. Come se calmato dal ricordo della tragedia consumatasi anni prima, si allontana lentamente dalla porta e prende a piagnucolare.

Il mio lupo sta piangendo. È consapevole di cosa ha perso quel giorno, esattamente come me. Sa anche che è stata colpa sua: a causa di questo, siamo cresciuti entrambi senza una madre. La morte non è mai stata lo scopo del mio lupo: aveva soltanto agito d’impulso, all’epoca, e la cosa è degenerata producendo conseguenze inaspettate.

Senza chiedergli di farlo, si avvicina allo specchio a figura intera che ho in camera. È buio, ormai, ma gli occhi del lupo sono più sensibili di quelli della me umana, infatti riesco a distinguere chiaramente il suo riflesso. Ho vent’anni, mi sto avvicinando all’età adulta, ma il lupo che mi fissa è molto più vecchio.

Prima di questo momento, lo avevo visto soltanto in un video, che ritraeva un lupo più giovane. Questo, invece, sembra più calmo e forse anche più saggio di quello che camminava avanti e indietro nella stanza di sicurezza di mio padre.

Ma è davvero diverso da quello che metteva in pericolo il mio mondo anni fa?

Forse sì, magari non conosco affatto questo lupo. Magari non conosco nemmeno me stessa. Chi sarei se non avessi così tanta paura di ciò che potrei diventare?

 

 

Capitolo 2

Cage

 

Wow…

Non ho mai sentito niente del genere in tutta la mia vita. Guardando Quin, a malapena sono riuscito a contenermi. Non riuscivo a non metterle le mani addosso. Sarei rimasto con lei per tutta la serata, per tutta la notte. Per molto di più. Per la prima volta dopo tantissimo tempo, mi sono sentito vivo.

Ritornare alla realtà è stata una pillola amara da digerire. Quando ho ricevuto il messaggio di Tasha, mi sono sentito come se mi fosse crollato il pavimento sotto i piedi. Volevo restare alla festa con Quin. Volevo vedere quanto sarebbe andata avanti. Però avevo promesso a Tasha che l’avrei portata fuori a cena indipendentemente da come sarebbe andata a finire la partita. Mantengo sempre le mie promesse, e così avrei fatto anche con Tasha.

«Dunque… volevo parlarti di una cosa» dice Tasha, rompendo il silenzio che si era venuto a creare durante il cammino.

«Di cosa?»

Tasha mi guarda con eccitazione, e arrossisce. Vederla dare sfogo alle sue emozioni è una cosa inusuale. Tasha è solitamente seguita da una nuvola nera in grado di farsi sentire anche su chiunque abbia intorno.

La cosa è sempre andata così, tanto che ho preso a dirmi che sicuramente non è contenta della sua vita. Ed io faccio chiaramente parte di quella sua mancata soddisfazione. Ma ogni singola volta che provo a parlarne con lei, mi accusa di voler rovinare l’unica cosa buona che abbiamo entrambi nella vita.

Ma quale cosa buona? Lei non è felice. Io non sono felice. E non facciamo mai neanche sesso.

«Conosci Vi, vero?» mi chiede lei, come effervescente.

«La tua migliore amica Vi, quella con cui passi la maggior parte del tuo tempo? Sì, la conosco.»

«Non c’era bisogno di dirlo in questo modo.»

«Mi hai appena chiesto se conosco l’unica persona di cui parli in continuazione.»

«Perché stai cercando di litigare? Io ho appena fatto qualcosa di bello per te.»

Provo a riprendermi, prendendo un bel respiro. La verità è che non volevo lasciare Quin, ma ho dovuto farlo per andare con Tasha. Sicuramente è stata la cosa migliore. O almeno, questo è ciò che continuo a ripetermi da quando ci siamo allontanati da lei. Il modo in cui mi fa sentire avrebbe sicuramente portato a tante, tantissime grane. A cose di cui mi pentirei di certo.

Ho grandi cose a cui pensare. È da tutta la vita che lavoro per trovarmi un posto nell’NFL. Stare con una ragazza come Tasha mi aiuta a vendermi come immagine della compagnia. Almeno, questo è quello che mio padre continua a ripetermi. Giocare nell’NFL è un sogno che lui ha per me da molto più tempo di me. Non posso deluderlo.

«Scusami. È solo che mi sento ancora su di giri per la partita. Mi fa sentire un po’ strano.»

Tasha sorride. «Sei perdonato» mi dice, stringendo il braccio attorno al mio. «E… penso di avere qualcosa per te che potrà farti sentire meglio.»

«Okay» dico, provando a tirar fuori un sorriso. «E cosa è?»

«Beh… ti ricordi quando abbiamo parlato di rendere le cose un po’ più… piccanti, a letto?»

Guardo Tasha con sospetto. Rendere le cose più piccati è un’idea che è stata lei a tirar fuori, e quando l’ha fatto mi è sembrato che avesse un’idea ben precisa in testa su come farlo, che però non ha voluto condividere con me.

«Mi ricordo, sì.»

«Quindi… ho parlato con Vi…»

«Okay» dico, confuso.

«Ho parlato con Vi e le ho chiesto se potesse essere interessata ad unirsi a noi quando siamo… insieme. E lei ha detto sì!» mi dice infine, saltellando sul posto.

Io mi fermo immediatamente, e mi giro a fissarla. Mi ci vuole un secondo per realizzare ciò che ha appena detto.

«Intendi… fare un threesome?»

«Sì!» dice, diventando improvvisamente rossa in viso.

«Tasha… perché mai hai fatto una cosa del genere?»

«Che cosa intendi, scusa?»

«Perché mai hai invitato un’altra persona nel nostro letto… senza neanche parlarne con me, prima?»

«Pensavo che l’idea ti sarebbe piaciuta a prescindere. Non è il sogno di qualsiasi uomo, avere due donne bellissime insieme a sé nel letto?»

«Non qualsiasi uomo. E se me l’avessi chiesto, avrei avuto la possibilità di dirti che io sono un tipo a cui piace una cosa uno a uno… Se solo me lo avessi chiesto.»

«Pensavo solo che avrebbe potuto farti piacere» dice lei, come avesse il cuore spezzato.

«Beh, no, non mi piace. E non so neanche perché hai pensato di suggerirlo.»

«Forse perché non facciamo più sesso?»

«E di chi è la colpa, scusa? Sei tu, qui, che spendi la maggior parte del tuo tempo con Vi.»

«Che cosa stai dicendo?»

«Sto dicendo che non sono io quello che non vuole fare sesso.»

«Beh, tu non è che faccia nulla a riguardo!»

«Se ti senti così tanto infelice, allora forse non dovremmo stare insieme.»

Tasha si irrigidisce, e mi fissa. «Perché hai detto una cosa del genere? Perché mai?»

«Non è questa la cosa più ovvia?»

«No. Siamo destinati a stare insieme! Io sarei per te la moglie perfetta. E lo sai bene. Sarai chiamato da una delle squadre della NFL, e diventerai il loro quarterback. Io mi occuperò della casa e delle donazioni. Ne abbiamo parlato, piccolo. I nostri futuri sono già stati scritti.»

Tasha ha ragione. Ne avevamo parlato, ed erano esattamente quelle le parole che ci eravamo detti. Ma adesso che sono all’ultimo anno e non posso più ritardare quel momento, sto cominciando ad avere dei dubbi. Non è colpa di Tasha, però. E non dovrei prendermela con lei.

«Hai ragione. Scusami, Tasha. Sono solo di cattivo umore. Però, per favore, non parliamo più di threesome, okay?»

Nel momento stesso in cui lo dico, vedo la luce negli occhi di Tasha andare via.

«Okay» concorda, poi ricominciamo a camminare verso il ristorante, in religioso silenzio.

 

«Ti avevo detto di non frequentare quel corso, Rucker.»

«Coach, è un argomento al quale io sono molto interessato» provo a spiegare per la millesima volta.

«Introduzione all’Educazione Infantile? Cosa ci deve fare un quarterback della Dallas Cowboys o degli L.A. Rams con un corso sull’educazione infantile?» mi chiede il coach, più che incazzato a riguardo.

«Ascolti» dico, perdendo la pazienza. «Ho frequentato ogni singolo corso che mi ha consigliato, che mi piacesse o meno. Partecipo ad ogni allenamento in programma, e lavoro così tanto da star male…»

«E guarda dove ti ritrovi adesso, grazie a questo. Uno dei primi nella lista per poter andare in alto. Dovresti ringraziarmi di aver pressato così tanto, con te.»

Cerco di riprendermi, e prendo un bel respiro. «Sono grato. Lo sono. Ma, coach, ho bisogno di frequentare almeno un corso che sia solo ed esclusivamente per me

«Ma perché proprio questo?»

«Perché è ciò che mi interessa.»

«Però non hai partecipato neanche ad una lezione dall’inizio dell’anno.»

«Questo a causa dell’orario delle lezioni! Cominciano sempre venti minuti prima della fine degli allenamenti. Pensavo di poter correre a lezione una volta finiti, ma certe volte gli allenamenti si protraggono più a lungo, e a volte ho bisogno di fare dei bagni freddi. Certe volte sono semplicemente troppo stanco.»

«Beh, avresti dovuto pensare a tutte queste eventualità prima di iscriverti al corso, perché la professoressa che se ne occupa non ha tutta questa grande empatia nei confronti della fatica e della stanchezza degli atleti nel suo corso. Questa, al contrario, ha come interesse solo che tu partecipi per forza alle lezioni e che tu faccia i test per poter passare. E se non passi questo corso, Rucker, non sarai ammesso alle prossime partite. E questo significa che la squadra non vincerà nulla, e che tu non verrai più reclutato.»

«Ho capito. Comincerò ad andare a lezione.»

«Non solo questo, Rucker. Non basta. Ti devi trovare un tutor. Ci penserà qualcuno dei miei a trovartene uno, senza problemi. Quand’è la prossima lezione?»

Guardo l’orologio affisso alla parete sopra la testa del coach.

«Proprio adesso.»

«E allora portaci il tuo culo grosso, adesso!»

«Coach… è dall’altra parte del campus. Per quando ci arrivo, ci saranno soltanto cinque minuti di lezione che mi restano.»

«Immagino che significhi soltanto che dovrai correre più velocemente, non è così?»

«Abbiamo appena fatto venti minuti di sprint, coach…»

«Smettila di continuare a rispondere e corri! Dico sul serio. Vai, vai, vai!»

Uscendo fuori dal suo ufficio, faccio ciò che il vecchio mi ha detto e comincio a correre. Mi ero già tolto l’imbottitura pettorale prima di andare dal coach, ma ho ancora addosso le mie scarpe sportive, la maglietta elasticizzata e i pantaloni imbottiti. La lezione alla quale devo andare si tiene in una classe al terzo piano dall’altra parte del campus. Non ho il tempo di cambiarmi, non se voglio arrivare almeno agli ultimi cinque minuti.

Non so come mi ci sono cacciato, in questo casino. Anzi, in realtà un po’ lo so. È stato un po’ un atto di ribellione da parte mia. Sì, sapevo fin dall’inizio che avrebbe coinciso con gli allenamenti. Ma ad essere del tutto onesti e sinceri, speravo mi permettesse di lasciare gli allenamenti prima per poterci andare. Mi sono sbagliato. E adesso il mio intero futuro oscilla su quella linea che io stesso ho creato.

Entrando nell’edificio e facendo le scale, mi ritrovo completamente senza fiato. Fortunatamente, nessun può sentire il fiatone che ho sotto il rumore tremendo delle mie scarpe sportive che sbattono sulla scala di metallo. Non c’è modo di entrare silenziosamente e senza essere visti sul retro della classe. Per quando apro la porta della classe, tutti si sono già girati a guardare. Ci sono circa cinquanta studenti, e una professoressa molto arrabbiata intenta a fissarmi.

«Scusatemi. Prego, continuate pure» dico, cercando allo stesso tempo di ritrovare il respiro e di non farmi soffocare dall’umiliazione.

Sedendomi sulla prima postazione libera che trovo, poggio la testa sul tavolo per riprendere velocemente respiro. Mi sento come in procinto di vomitare, ma faccio tutto il possibile per evitarlo.

Riprendendo il controllo di me stesso, alzo il viso e realizzo solo adesso di non aver preso la mia borsa dagli armadietti nello spogliatoio. Non ho né il mio computer, né un quadernetto nel quale prendere appunti. Non ho nulla. Mi ero ormai arreso alla consapevolezza di non poter frequentare questo corso. Ma sarebbe stato bello avere almeno qualcosa di fronte a me, così da non sembrare un completo idiota a cui non frega assolutamente nulla.

Prendendo il cellulare dalla mia tasca, comincio a pigiare con le dita su di esso, fingendo di prendere appunti. Non lo sto facendo solo perché non ho la più pallida idea di cosa la professoressa stia dicendo. Tutti quanti, qui dentro, però, sembrano saperne parlare. Hanno gli occhi fissati completamente su di lei, sulla donna di fronte a noi. Tutti stanno prestando attenzione.

Tutti… tranne una persona. E quando mi giro a guardarlo, resto senza fiato.

Quin è in questa classe, e ha gli occhi fissi su di me.

I nostri occhi si incontrano per la frazione di un secondo, ma poi lei distoglie subito lo sguardo.

Tutto dentro di me prende a vibrare. Riesco a sentire il mio respiro venire meno.

Solo vederla di nuovo, per un misero secondo, mi fa un effetto straordinario. Mi è stata data una seconda possibilità con lei. Non ho intenzione di perderla un’altra volta.

«E questo è quanto, per oggi. La prossima volta ci sarà un quiz che comprenderà domande su ciò di cui abbiamo parlato in queste ultime due settimane. Tenetevi pronti» dice la professoressa, spostando poi la sua attenzione su di me. «Mr. Rucker? Una parola, per favore.»

Non mi aspettavo di essere richiamato dalla professoressa. E il suo richiamo non è potuto capitare in un momento peggiore, perché Quin si trova seduta dall’altra parte della sala, e quella parte ha un’altra uscita. Non sta più guardando dalla mia parte, e questo significa che andrà via prima di poterle anche solo fare cenno di aspettarmi.

«Mr. Rucker» mi richiama la donna dai capelli grigi e i tratti asiatici.

Correndo velocemente tra le file di banchi e di persone, mi avvicino alla professoressa mentre lei cancella le scritte sulla lavagna. Si prende il suo tempo prima di girarsi a parlarmi, e l’attesa mi uccide dentro. Quando mi giro e vedo Quin sparire oltre la porta di servizio, il mio cuore sprofonda dentro il petto. Se n’è andata un’altra volta, ed io mi sento uno schifo.

«Arrivare cinque minuti prima della fine della lezione non è considerata presenza. Almeno, non nella mia classe.»

«Lo so. Sono terribilmente dispiaciuto del mio comportamento, professoressa. Sono corso subito qui a fine allenamento. Ma le prometto che non sarò più in ritardo alle sue lezioni.»

«Mi è stato detto che ti è necessario superare questo corso per poter partecipare alle partite della prossima stagione.»

«È vero, signora.»

«E allora ti conviene cominciare a prendere questa classe con un po’ più di serietà.»

«E le prometto che lo farò… a cominciare da oggi.»

«Se non hai voglia di partecipare a questo corso…»

«No, ho voglia di partecipare.»

«Perché?» mi chiede sinceramente.

«Perché è un argomento al quale sono molto interessato. Insegnare ai bambini è una delle cose che ho sempre voluto fare.»

«E che mi dici del football? Mi è sembrato di capire che hai una carriera in quel campo che è molto promettente.»

«Il football è una cosa nella quale sono molto bravo. È una sorta di dono. Ma non è…»

Non finisco la frase. Quello è un cassetto che non ho molta voglia di aprire in questo momento.

«Beh, se sei serio riguardo questa classe, allora dovrai metterti in pari. E le cose sono tante.»

«Me ne rendo conto, e sono disposto a lavorare sodo. Mi sto trovando un tutor.»

«Davvero?»

«Sì, signora. Infatti…» dico, avendo improvvisamente un’idea. «Potremmo parlarne la prossima lezione? Prometto che arriverò in orario.»

«Sarà meglio. Ricordati che partecipare è obbligatorio.»

«Tutto chiaro. Lavorerò sodo. Ci sarò. Lo prometto» dico, il rumore dei tacchetti sotto le mie scarpe sul tappeto mentre mi allontano, diretto verso la porta.

Nel momento in cui esco in corridoio, perlustro entrambe le direzioni alla ricerca di Quin. Lei non c’è più. Dove sarà andata così in fretta?

La maggior parte degli studenti va verso le scale dirette di sotto. Corro verso di loro, unendomi. Allungando il collo lungo la folla, non riesco a vederlo.

Sono quasi sul punto di giurare odio eterno verso me stesso per non essere uscito prima, quando vedo il dietro di qualcuno che può essere soltanto Quin, intenta a fare l’ultimo scalino per immettersi nel corridoio principale.

«Scusate. Scusatemi» dico, spingendomi contro tutti.

Riesco ad arrivare al piano di sotto in pochi secondi. Eppure, una volta lì, lei sembra sparito di nuovo.

Guardando all’interno di ogni classe mentre corro oltre esse, non riesco a trovarla. Sono sul punto di arrendermi, senza speranze, quando apro la porta dell’edificio e vedo la sua figura sexy intenta ad allontanarsi. Il calore si propaga per tutto il mio corpo. Mi sembra di essermi fatto improvvisamente caldo come un giorno d’estate, in un giorno di pioggia.

Correndo verso di lei, rallento il passo quando mi ritrovo a pochi centimetri.

Non posso perdere la testa solo perché sto per parlare un’altra volta con la ragazza più bella che io abbia mai visto in vita mia. Devo almeno fingere che baciarla non sia l’unica cosa che riesco ad avere in testa dal primo momento in cui ho posato gli occhi su di lei.

«Quin?» la chiamo, cercando di suonare più normale possibile.

Lei si ferma, e si gira verso di me. Non sembra così contenta di vedermi come sono contento io di rivedere lei. Mi porta a sentire un dolore proprio al centro del petto, ma mi forzo a mandarlo via.

«Ero sicuro fossi tu. Come stai? Sei andata a qualche altra grande festa dall’ultima volta che ti ho visto?» le chiedo, sorridendo.

Quando non risponde, le dico, «Sono Cage. Cage Rucker. Ci siamo incontrati alla festa dei Sigma Chi.»

«Sì, me lo ricordo» mi risponde lei, freddamente.

Ahi! Eccola di nuovo lì, la punta di dolore al centro del petto.

«Come sta Tasha? È il nome della tua ragazza, vero?»

«Tasha? Oh, sì. Lei sta bene. È tutto okay. Ahm… ho fatto qualcosa per farti incazzare? Se l’ho fatto, mi dispiace» le dico, provando disperatamente a far tornare quel meraviglioso sorriso sul suo viso.

Quin mi guarda negli occhi con frustrazione per qualche secondo. Poi sembra lasciarsi andare.

«No. Non hai fatto niente di male. Non farci caso, è solo che ho passato… una brutta nottata.»

«Non hai dormito bene?»

«Qualcosa di simile. Oppure sono solo stupida, non lo so.»

«Tu? Stupida? Mi sembra difficile da credere» le dico con un sorriso.

Lei mi fissa un’altra volta. Quella volta sembra sia intenta a scrutarmi dentro l’anima.

«Perché hai detto una cosa del genere?»

«Non lo so… È solo che mi dai l’impressione di essere una molto intelligente.»

Il suo sguardo si addolcisce di colpo.

«Non sono intelligente riguardo niente di ciò che conta davvero» mi dice, prima di rimettersi in cammino.

Io la raggiungo.

«Secondo me non è vero. Anzi, sono abbastanza certo che tu sia molto ferrata in Introduzione all’Educazione Infantile. Scommetto che sei la prima del corso.»

Quin mi guarda dopo aver sentito le mie parole.

«Sei la prima del corso sul serio, non è vero?»

Quin si gira dall’altra parte.

«Che io sia dannato. Okay. Allora ciò che dirò dopo renderà la cosa meno imbarazzante. Pare che io abbia bisogno di andare bene in questo corso per poter essere considerato per giocare durante la prossima stagione, e anche nell’NFL. E, visto che non ho avuto la possibilità di partecipare alle lezioni fino ad ora, sono un po’ indietro. Avrei bisogno di un tutor. Il programma di football è disposto a pagarti per il tuo tempo.»

«Non ti posso fare da tutor» mi dice lei velocemente.

«Perché no?»

«Semplicemente non posso. Mi dispiace.»

«Okay, aspetta. Che ne dici se ti faccio una proposta?»

«Che genere di proposta?»

«Quando eravamo alla festa mi hai detto che non sei molto brava a socializzare con la gente, il che per me, a dirti la verità, non ha proprio senso, perché mi sembri perfettamente a tuo agio con la cosa.»

«Sembro a mio agio soltanto perché…»

«Perché?» presso, sperando dica che sia a causa mia.

«Niente.»

«Beh, d’accordo, però se dovessi essere interessata a farmi da tutor su ciò in cui sei brava, io posso ricambiare il favore facendoti da tutor su ciò in cui, invece, sono bravo io.»

«Intendi essere una stella del football di cui tutti vogliono avere un pezzo?»

«Prima cosa, ahi. Seconda cosa, c’è molto più in me del football.»

«Lo so. Scusami. Vedi? Non sono brava in queste cose!» esclama Quin.

Afferro la sua mano con tutta la casualità che riesco ad evocare. Provo a fingere che questo sia semplicemente il modo in cui mi capita di comportarmi con la gente, ma la verità è che morivo dalla voglia di farlo dal primo istante.

«Tu sei brava in queste cose. O almeno, lo puoi essere. Permettimi di aiutarti. So di poterti aiutare. E, una volta finito, sarai come la star del football di cui tutti voglio un pezzo, come me» gli dico con un sorrisetto.

Quin ride. Io mi sento la pelle andare a fuoco, il corpo fremere così tanto che per poco non ho paura di vedere tutti i denti cadermi via.

«Quindi, che cosa ne dici?»

Quin fissa lo sguardo su di me, ponderando la mia offerta e, mentre lo fa, accade qualcosa di strano: sembra che i suoi occhi siano diventati più profondi e mi stiano scavando dentro.

Sembra proprio mi stiano scrutando l’anima. Intanto, sento accendersi qualcosa in me, e non riesco a spiegare cosa stia accadendo.

Lo sente anche lei? Cosa mi sta facendo? Cosa sta accadendo, tra noi? Qualsiasi cosa sia, mi toglie il respiro.

Quando finalmente rilassa lo sguardo, io sospiro dalla disperazione. Lascia andare la mia mano, scostando la sua. Non prova a fingere che non lo stia facendo, anzi, me lo rende chiaro. Mi gira ancora la testa, ma credo sia il suo modo di mettere dei paletti. Va bene così, posso rispettarlo.

«Okay» mi dice allora, meravigliata.

«Okay?» ripeto, cercando di darmi un contegno.

«Okay» conferma, allargando il suo sorriso.

«Ho sentito che c’è un quiz tra qualche giorno» le dico, riacquistando finalmente la mia stabilità.

«È fra due giorni, e riguarda il materiale fatto nelle ultime due settimane.»

«Sembra tanta roba.»

«Lo è» mi conferma lei.

«Sembra che i tuoi servigi da tutor, allora, debbano cominciare subito» suggerisco, con un’improvvisa voglia di poter passare ogni singolo momento con lei.

«Che ne dici di stasera? Organizzo un piano per la lezione e ci muoveremo da lì.»

«Un piano per la lezione? Non scherzi, tu, eh?»

«No, non scherzo. E non puoi farlo neanche tu, se vuoi passare il test.»

«Non ho voglia di scherzare.»

Quin sembra esitare. «E non hai nessun appuntamento con la tua ragazza o qualcosa del genere, vero?»

Il ricordo di Tasha mi arriva come un secchio d’acqua ghiacciata addosso, e riesce a rovinare l’eccitazione che provo al pensiero di passare la notte con Quin. Il mio sorriso viene meno.

«Se anche avessi qualcosa in programma, la cancellerei. Passare il corso e giocare a football sono le cose più importanti. Lei capirebbe.»

«Okay. Allora ci vediamo stasera.»

«Ci scambiamo i numeri?» le chiedo, non volendo perdere quell’opportunità un’altra volta.

«Sì. Dammi il tuo telefono.»

Glielo porgo, e lei ci pigia sopra. Un secondo dopo sento il telefono dentro la sua tasca suonare.

«Sai dove alloggio. Ti scriverò dopo per dirti l’orario e il numero della mia stanza» mi dice lui, con aria professionale.

«Quindi lo faremo da te?»

«A meno che tu non conosca un posto migliore. Immagino che forse potremmo andare in biblioteca, ma non sono certa che ci permetteranno di parlare liberamente.»

«No, la tua stanza andrà benissimo. Non vedo l’ora.»

«Non vedi l’ora di metterti a studiare?» mi chiede, ricordandomi implicitamente che questo non è un appuntamento.

«Certo che sì. Introduzione all’Educazione Infantile è ciò per cui vivo. Puoi chiedere in giro, ti daranno conferma.»

Quin ride. Mi si scioglie il cuore a quel suono meraviglioso.

«Ci vediamo dopo allora, Fossette» mi dice con un sorriso, prima di girarsi e andare via.

Dio santo, quanto sono nei guai.

 

 

Capitolo 3

Quin

 

Ci vediamo dopo, Fossette? L’ho detto davvero? Ma che diavolo mi è passato per la testa? Perché diamine ho accettato tutto questo?

Dire che la sera prima è stata dura è l’eufemismo dell’anno. Sono rimasta intrappolata, inerme, nel corpo del mio lupo per ore. E non è finita perché non ci siamo addormentati entrambi. Al mattino, non mi sono ritrovata coperta di sangue e non mi sono risvegliata in un luogo sconosciuto, bensì nella mia camera, nel mio letto. Sì, la porta era graffiata a causa degli artigli. Non era stata aperta, ma era chiaro quanto il mio lupo fosse arrivato vicino ad uscire.

Se ci avesse riprovato, ce l’avrebbe fatta: si sarebbe liberato e chissà cosa sarebbe successo dopo. Ma non lo ha fatto, non ha fatto nemmeno un ultimo tentativo.

Oltre ciò, è tutta la mattina che non riesco a scrollarmi di dosso la sensazione che non se ne fosse andato del tutto. È come se indugiasse sulla mia spalla, osservando tutto ciò che faccio. Era stato lui, il mio lupo, a dirmi che Lou se n’era andata nel cuore della notte. E riesce anche a dirmi l’ora precisa in cui lo ha fatto. Non so come, ma il mio lupo lo sa.

Vedendo Cage quando entra in classe, mi sembra quasi che abbia persino drizzato le orecchie: pare proprio che Cage gli piaccia più di quanto piace a me.

Non sono schiava dei suoi desideri, però. E sono io quella che ha conosciuto la sua ragazza, non il lupo. Di conseguenza, non c’è modo di avvicinarmi, specialmente considerando quello che lui e la sua fidanzata sono riusciti a scatenare in me.

Ero anche disposta ad allontanarmi da Cage e a non vederlo mai più, ma poi mi è corso dietro e mi ha fatto quell’offerta… La ragione per cui ho detto di sì non ha nulla a che fare con quello che, invece, voleva il mio lupo. Non aveva nemmeno a che fare con quella strana connessione tra noi che percepisco soltanto guardandolo negli occhi.

Ho accettato la sua proposta perché Harlequin Toro è venuta nel bel mezzo del nulla del Tennessee con uno scopo ben preciso: per capire come si fa ad avere una vita. Certo, non posso averne una con Cage. Ma alla festa, quando ho attraversato quel mare di gente, mi sono sentita a mio agio come in nessun’altra occasione sociale.

Ho bisogno di imparare a sentirmi in quel modo anche da sola. E, quando lo guardo negli occhi, qualcosa mi dice che lui sa come tirarmi fuori questa capacità. Non lo so con certezza eppure, paradossalmente, ne sono sicura.

Può essere che il mio lupo stia giocando con la mia mente per i suoi scopi nefasti? È pur sempre una possibilità, considerando che ho appena conosciuto questa parte di me, la stessa di cui avevo soltanto sentito parlare prima. Non credo sia così, però. C’è qualcosa di più in ballo, con Cage. Non riesco a indovinare cosa sia, nonostante mi ci stia arrovellando il cervello.

Di qualunque cosa si tratti, mi attira verso di lui. E non solo perché è dannatamente sexy: anzi, non pensate che sia riuscita ad abituarmi al suo aspetto da semidio. Ma… non lo so.

Continuo ad avere questa sensazione che mi sussurra ci sia di più, un aspetto che non riesco a decifrare. E il lupo mi aveva detto di accettare la sua offerta, scatenandosi una volta fatto. Non in un modo che sembrava pericoloso, ma tenero.

«Lou, sei tornata?» chiedo quando rientro nel nostro appartamento e la scopro abbastanza esausta.

«Non avrei dovuto?»

È seduta al tavolo da pranzo e ha un’aria terrorizzata che cerca di nascondere dietro un leggero velo di finto coraggio. La tristezza mi travolge quando mi accorgo di quanto l’abbia spaventata. Per la prima volta ho assistito al mio lupo intento a cercare di raggiungere qualcuno, ed era stato terrificante.

Se ci fossi stata io, dall’altra parte della porta, ad ascoltare il suono degli artigli del lupo sul legno, della bestia determinata a prendermi e a farmi chissà cosa, probabilmente non sarei mai più tornata nell’appartamento.

Perché è tornata, lei? Perché qualcuno dovrebbe tornare dopo aver visto quella parte di me?

«No, al contrario. Tu vivi qui, è ovvio che devi tornare. Io, invece, devo andare via?» chiedo, rendendomi conto che forse è tornata soltanto per riprendersi le sue cose oppure per rivendicare l’appartamento.

«Dovresti?»

«Non lo so… Dovrei?»

«Okay, di questo passo non andremo da nessuna parte» esordisce lei dopo attimi eterni di silenzio, gestendo l’intera faccenda molto meglio di me. «Senti, conosco la tua condizione perché me ne hai parlato. Mi hai anche detto che non ti succedeva da anni. Hai detto che ti era passato.»

«Beh, credevo di sì» le rispondo, accomodandomi su una sedia di fronte a lei.

«Allora cos’è successo?»

«Non lo so.»

«È successo a causa della luna piena?»

Sento il mio lupo ringhiare al suggerimento. «No!» dico con veemenza, nonostante ci rifletta su non appena pronuncio quelle due lettere. «O almeno, non credo.»

«Beh, vivi qui da mesi e quella non è la prima luna piena che spunta da quando sei all’università.»

«No, non lo è stata. O forse sì?»

«Allora cos’è successo di diverso, stavolta?» chiede Lou, come se fosse preoccupata per me anziché della sua sicurezza.

Ripenso alla sua domanda. Qual è stata la differenza? Non ne sono molto sicura, ma un’idea ce l’ho. Tiro fuori il cellulare dalla borsa e cerco la foto di ieri sera, poi lo metto al centro del tavolo.

«Chi è questo tizio?»

«Si chiama Cage. L’ho incontrato alla festa a cui sono andata.»

«Perché tu hai l’aria così… devastata?»

«Perché la foto l’ha scattata la sua ragazza.»

Gli occhi di Lou si staccano dallo schermo per incontrare i miei.

«Oh, mi dispiace tantissimo, Quin. È colpa mia, vero? Sono stata io a costringerti ad andare a quella festa e ti sei ritrovata il cuore spezzato, per non parlare della… ricaduta.»

«Niente di tutto questo è colpa tua. Anche se lo fosse, non è successo nulla e nessuno si è fatto male.»

«E invece sì. Tu ti sei fatta male, Quin.»

Non so cosa rispondere. Vorrei dire il contrario, ma ha ragione. È questo il motivo per cui mi sono trasformata? Il mio lupo era venuto fuori per proteggermi? E, se ci fosse riuscito, cosa avrebbe fatto una volta liberatosi completamente? Non voglio nemmeno pensarci.

«Non vuoi restare qui, stasera?» le chiedo.

Noto i polpastrelli di Lou premere contro il vetro: ha paura.

«Succederà di nuovo?»

«No! O almeno, non credo. No. È che… stasera verrà qualcuno.»

«E chi?»

«Cage.»

La bocca di una Lou incredula si spalanca di colpo. «Verrà qui solo per studiare. Gli faccio da tutor per il corso che frequentiamo insieme.»

«Frequentate un corso insieme?»

«A quanto pare, sì. Oggi è stata la prima volta che si è presentato a lezione. E aveva addosso il suo completo da football» le dico, incapace di nascondere il sorriso che si stava allargando sul mio volto.

«Intendi quelli molto, molto stretti che indossano i giocatori.»

«Ah-ah» confermo, sentendo le mie guance andare subito a fuoco.

«Oh! Non sta venendo qui solo per studiare. Non è vero?»

«No, sta venendo solo per quello» le dico, riportando anche me di nuovo sul pianeta Terra. Di nuovo alla realtà. «Ha bisogno di passare il corso per potersi garantire un posto nella squadra per la prossima stagione, e mi ha chiesto di fargli da tutor.»

«Quindi… hai tra le tue mani, forti eppure delicate, la sua preziosissima vita, è questo che mi stai dicendo?»

Guardo giù verso le mie mani, chiedendomi cosa voglia dire di preciso.

«Voglio dire, non proprio, ma quasi.»

«Oh mio Dio. Stanotte succederà qualcosa di certo, tra voi due.»

«Cosa? No» dico, sentendo il mio lupo correre in cerchio, preso dall’entusiasmo. «No, ha una ragazza» aggiungo poi, per assicurarmi che tutti, ma proprio tutti, ne siano pienamente consapevoli.

«Magari vuole che ti aggiungi a loro durante i loro momenti intimi.»

«Ah, no.»

«Quindi mi sa che dobbiamo fare lasciare la coppia, eh?» mi chiede Lou, con quel suo sorrisetto malizioso e da diavolo che torna a farle brillare gli occhi.

«No, assolutamente no!»

«Non hai intenzione di mangiarla, vero?» mi chiede lei con esitazione.

«No! Non farò neanche quello. Se lei è la persona con cui lui vuole stare, allora… bene. Mi sta bene.»

«Quanto ha fatto male dirlo ad alta voce?» dice, guardandomi improvvisamente con uno sguardo pregno di empatia.

Mi prendo un attimo per esprimere ciò che sento con le parole giuste. «Tantissimo. Ma deve essere così. Deve essere vero. Non voglio stare con qualcuno che non vuole stare con me.»

«Sei un persona migliore di quanto potrò mai esserlo io, cara Quin» mi dice Lou, arrendendosi.

«Non so dirti se sono migliore, ma di certo sono molto più sola.»

«Ah!» sospira Lou, come se anche lei stesse provando il mio dolore. Dopo un attimo, si alza e viene ad abbracciarmi. Con le sue braccia ancora strette a me, dice, «Questo ragazzo ci spezzerà completamente, non è così?»

«Probabilmente sì.»

«Beh, per quanto sia stata devastante ogni cosa che è successa ieri sera, promettimi soltanto una cosa» dice Lou con una certa noncuranza.

«Che cosa?»

«Mai più quella faccia, pecorella. Non quella faccia.»

E rido, sentendomi improvvisamente meglio.

 

 

Capitolo 4

Cage

 

Ce la posso fare. Posso passare un po’ di tempo con Quin, senza innamorarmi completamente di lei, senza rovinare tutta la mia vita solo per stare con lei. Ce la posso fare. Certo che posso. Anche se, più si avvicina il momento del nostro incontro, e più mi sembra chiaro che non avrò assolutamente nessuna voce in capitolo su ciò che capiterà questa sera.

Com’è possibile che qualcun altro non abbia ancora visto quanto è irresistibile e se la sia presa? Non riesco a capirlo. Quella ragazza è meravigliosa, e incredibilmente adorabile. Potrei passare il tempo ad affondare le mie dita tra quei ciuffi ondulati e scuri, fino a perderci la testa.

E, oh, i suoi occhi… Non voglio neanche cominciare a parlare dei suoi occhi. Quei due pozzi pieni d’anima ed elettrici. Solo pensarci me lo fa venire incredibilmente duro. Come fa ad avere quest’effetto su di me?

È come se… cos’è quella cosa che gli animali rilasciano per attirare il proprio compagno? Feromoni? È come se fosse in grado di rilasciare feromoni che mi richiamano a lei, ed io non ho assolutamente nessun potere contro di lei. Nessun modo di resisterle.

Non avrei dovuto chiederle di farmi da tutor. È stata una pessima idea. Lei era l’ultima persona a cui avrei dovuto chiedere. Come farò a concentrarmi sull’argomento, con lei così vicino a me? È stato un grandissimo errore. Eppure non riesco ad aspettare che arrivi l’ora di andare da lei.

Per la prima volta nella mia vita, mi rendo conto di quanto lento a volte sia in grado di passare, il tempo.

Aspetto al Common che si faccia l’ora di andare da Quin, invece di tornare a casa solo per poi tornare indietro. Stare da Tasha poteva essere una soluzione, visto che le loro camere sono nello stesso edificio, lei solo un piano sopra Quin. Ma ovviamente è con Vi, in questo momento.

Quelle due sono inseparabili. Volendo essere onesti e sinceri, c’era d’aspettarselo che lei chiedesse a Vi di unirsi a noi a letto. Fanno tutto insieme. Perché non aggiungerci anche il sesso?

Quando l’attesa infinita arriva alla fine, mi affretto a dirigermi verso i dormitori. Entro dentro proprio quando qualcuno esce, lasciandomi la porta aperta, e corro verso le scale a due a due fino a quando non mi ritrovo davanti la sua porta, bussando con le nocche. Sento del rumore all’interno prima che una voce a me sconosciuta dica «Voglio solo vedere!» e la porta si apre.

«Ciao» dico alla ragazza dallo stile punk proprio di fronte a me.

«Lou, piacere di conoscerti» mi dice lei, senza offrirmi la mano né invitandomi ad entrare.

«Mh, Cage.»

«La star del football?» mi chiede con un sorriso.

«Immagino di sì. Quin è qui?»

«Sì, è dentro. Ma prima, due domande. Che intenzioni avresti con la mia amica, tu? E poi, sei più un tipo da cani o da gatti?»

«Cosa?»

«Lou!» urla Quin dietro di lei. Si fa largo oltre la sua amica, mettendo il suo corpo tra lei e me. E poi dice, «Scusami per questa domanda. Lou se ne stava andando.»

Il suo corpo è così vicino al mio.

«Va tutto bene. Lou, mi piacerebbe conoscerti meglio e magari uscire a divertirci tutti e tre insieme, ma purtroppo abbiamo due settimane di lezioni da recuperare. A meno che Quin non pensi che potremmo fare entrambe le cose»

«No, non possiamo, e Lou stava per andare via. Ciao, Lou.»

«Bacini» dice Lou, spingendosi oltre me e permettendo a Quin di invitarmi finalmente ad entrare.

«Scusami per questa scenetta. Lou ha buone intenzioni, davvero.»

«È una bella cosa, avere un’amica che ti guardi le spalle.»

«Sì, è vero. Quindi, beh… benvenuto nella mia stanza.»

Mi guardo intorno. «È così che vive chi se la passa bene?»

«Che intendi?»

«I dormitori del Plaza sono parecchio lussuosi rispetto agli altri.»

«La tua ragazza non ha una stanza qui?»

«Sì, ma questo non rende meno impressionante vederne un’altra. E poi, lei ha due coinquiline e deve condividere il suo letto con un’altra persona. La tua stanza è decorata meglio di casa mia.»

«Vivi nella casa della confraternita?»

«No, non sono un membro. Lo so, è impensabile per un giocatore di football non fare parte della Sigma Chi. Ma la vita da confraternita è un po’ oltre ciò che posso permettermi.»

«E dove vivi?» mi chiede Quin, spingendomi con leggerezza verso il divano nel salotto.

«A casa, con mio padre.»

«Non tua madre?» continua a chiedermi, prendendo libri e quaderni dalla sua scrivania.

«Mia mamma è morta quando sono nato.»

Quin sembra farsi di ghiaccio. «Mi dispiace tanto.»

«Nah, non ti preoccupare. È successo tanto tempo fa.»

«Quindi sei sempre stato con tuo padre.»

«Sì. La maggior parte delle volte, sono sempre stato solo con me.»

«Che intendi?»

«Niente, niente. Dovremmo cominciare a studiare. Ho l’impressione che ci vorrà un bel po’ per recuperare tutto» dico, cambiando argomento.

Per quanto non abbia mai conosciuto mia madre, e perciò la sua perdita non è dolorosa per me, l’argomento in generale è sempre stato doloroso. Principalmente per mio padre. Perché non ha mai detto nulla a riguardo, ma sono certo che perdere la mamma lo abbia ferito più di quanto sia possibile esprimere a parole. O almeno, così ho sempre pensato.

Quin comincia mostrandomi la mappa più sistemata e organizzata che io abbia mai visto in vita mia.

«Questo è tutto ciò che avremo bisogno di farti sapere prima di giovedì» mi dice, mettendosi subito a lavoro.

La sua serietà riesce quasi a distrarmi dal suo ginocchio così vicino al mio, piegato per tenere fermo il suo quaderno. O il brivido che sento quando d’improvviso si piega verso di me per puntare con il dito qualcosa dall’altra parte della pagina, l’odore dolce del suo bagnoschiuma così buono da farmelo venire duro sempre di più. Spostarmi indietro è tutto ciò che posso fare per provare a nascondere la mia erezione.

«Continui a piegarti indietro. Ti fa male la schiena?»

«Eh? Sì. Sì, è per questo che continuo a piegarmi indietro, perché ho bisogno di tenere la schiena dritta. Sai com’è, gli allenamenti e tutto.»

«Se vuoi possiamo spostarci sul tavolo della sala da pranzo. Le sedie sono più confortevoli, immagino» mi dice lei con dolcezza.

«Sì, forse sarebbe meglio.»

Sto quasi per alzarmi, quando mi ricordo del rigonfiamento in mezzo alle mie gambe che di certo non sarò in grado di nascondere una volta in piedi.

«Uhm… magari tra un secondo.»

«Ti fa davvero male la schiena, eh?»

«Sì, fa proprio malissimo

«Mi dispiace… avresti dovuto dirmelo subito. Okay, forse suonerà strano, ma posso farti un massaggio se ti va. Ho imparato a farli qualche anno fa. Non ho avuto molte opportunità di fare pratica su qualcuno, però sono parecchio brava.»

«Ehm…»

«Scusami, è stata una domanda strana? È strano chiederti se ti va di avere un massaggio, non è vero?» Quin trema di fronte ai miei occhi.

«No! Non è per niente strano. Mi piacerebbe tantissimo averne uno. Aiuterebbe moltissimo la mia… schiena.»

«Sicuro?»

«Non sai quanto» le dico con un sorriso.

«Okay. Allora…» Quin si guarda un attimo intorno. «Sul mio letto sarebbe sicuramente meglio del divano, altrimenti avrebbe poco effetto.»

Non c’è modo che io riesca ad alzarmi, adesso meno di prima.

«Penso che il divano vada bene.»

«Okay.»

Quin si alza, e comincia a scrocchiarsi le dita per prepararsi.

«Togliti i vestiti, almeno per quanto tu ti senta a tuo agio nel farlo, e poi distenditi a pancia sotto.»

Il calore si propaga immediatamente sulle mie guance. Mi ha davvero appena chiesto di spogliarmi per quanto mi senta a mio agio? L’idea di farmi vedere nudo da lei me lo fa diventare così duro da far male. Solo Dio può prevedere cosa succederebbe se mi togliessi i pantaloni e restassi in mutande con lei dietro di me, quindi non lo faccio. Ma posso almeno liberarmi della maglietta.

Togliendomela lentamente, getto uno sguardo su Quin. Il modo in cui sta guardando ogni mio singolo movimento in questo momento, i suoi occhi a percorrere ogni centimetro di pelle che vado scoprendo, mi fa sentire milioni di cose dentro. Dovrò convincere la mia testa a pensare al football e a nient’altro, perché non so come altro fermarmi dal venire nei pantaloni nel momento in cui mi metterà le mani addosso. Però ne vale la pena. Perché ho bisogno delle sue mani addosso. E quando alla fine mi distendo e lei si mette su di me, mi sento di essere arrivato in paradiso.

Con lei intenta a sciogliermi i muscoli, e le sue mani ad accarezzare la mia pelle, ben presto mi perdo completamente. Dio, che bella sensazione. È addirittura meglio del sesso; o almeno, del sesso che fino ad adesso ho conosciuto io. Così tanto che non mi ci vuole molto, prima di sentire il pizzicore tipico stringersi nei miei testicoli, pronto ad andare su.

Oh Dio, sto per venire.

«Ho bisogno di andare in bagno!» dico, gettando la ragazza sopra di me sul divano mentre mi alzo.

Per mia fortuna so dov’è, perché la porta è aperta. Mi precipito lì, chiudendo subito la porta a chiave, e a malapena riesco a liberarmi dei pantaloni prima di esplodere in un orgasmo.

Gemo, cercando con tutte le mie forze di non urlare di piacere. Riesco a catturare quasi tutto lo sperma sul mio palmo piuttosto che sporcare tutto quanto intorno a me. Ma con l’orgasmo arriva il capogiro da testa completamente svuotata, e ad un tratto mi sento cadere a terra.

Prima di rendermene conto, il mio culo colpisce il pavimento con un tonfo. 

 

 

Capitolo 5

Quin

 

«Va tutto bene lì dentro?» chiedo, sentendo quello che sembra il bastone per gli asciugamani rompersi e poi qualcuno cadere a terra.

«Sto bene!» urla Cage di rimando. «Però penso che si sia rotto qualcosa. Scusami.»

«Non ti preoccupare, qualsiasi cosa sia. Sei sicuro di stare bene?»

«Sì, benone. Ho solo bisogno di un momento.»

Cosa diamine ho appena fatto? Non sono stata io: non è mia abitudine, quella di offrire massaggi ai ragazzi, non gli chiedo di spogliarsi per me. Il fatto è che emanava un odore a cui non sono riuscita a resistere. Non so dire di preciso cosa sia, ma mi ha fatto pensare al sesso. Comunque sia, l’ho fatto spaventare, mettendomi su di lui. Lo so che l’ho fatto.. Per questo deve essersi alzato dal divano gettandomici sopra in quel modo, diretto verso il bagno con una velocità tale che mi è sembrato quasi che qualcosa fosse andato a fuoco.

Deve essere stato lui, il mio lupo, a indurmi a farlo. Eccolo lì, che è quasi riuscito a riprendere il controllo su di me. Almeno è andata meglio: avrei potuto trasformarmi e tagliargli la gola. Sono progressi, no? E non è sbagliato offrire un massaggio a qualcuno che lamenta dolori alla schiena, giusto?

Argh! Non lo so! Non so più niente. Perché faccio così schifo in queste cose? Forse sarebbe meglio lasciare campo libero al mio lupo: non può andare peggio di così.

«Sei sicuro di non aver bisogno di una mano, lì dentro?»

«Ho tutto sotto controllo» mi dice Cage prima di azionare l’acqua del rubinetto. Dopo qualche secondo torna fuori.

Dio, se è bello, fermo lì di fronte la porta del bagno con solo i pantaloni addosso. Quelle spalle muscolose e piene, quei pettorali spessi, quegli addominali. Come fa ad averceli senza flettere i muscoli? È semplicemente fermo lì. Come?

Mi fissa con gli occhi da cucciolo più belli che io abbia mai visto, e poi dice, «Scusami per il casino.»

«No, scusami tu» dico io, sentendomi come se avessi appena superato un limite che non mi ero accorto fosse stato tracciato.

«E perché dovresti scusarti?» mi chiede, come se non lo sapesse.

«Lo sai, perché…»

«Perché eri disposto a farmi da tutor in una materia che mi serve per poter andare avanti nella vita in qualche modo, ed io ho reso le cose strane?»

«Tu le hai rese strane? Sono io la regina delle situazioni normali che però vengono rese strane.»

«Forse sei la regina di qualcosa, ma non di questo. Senti, perché non ci rimettiamo a lavoro?»

«E la tua schiena?»

«Sta molto meglio adesso, grazie» mi dice, prendendo la maglietta e rimettendosela addosso. «Il massaggio ha aiutato, davvero. Ora posso concentrarmi. Sono un po’ assonnato, ma posso concentrarmi.»

Prendiamo a lavorare da dove avevamo interrotto, e faccio il possibile per zittire gli impulsi che mi causa la felicità del mio lupo scodinzolante: adora stare intorno a Cage. Come biasimarlo? Anche a me piace.