IL MIO TUTOR

Capitolo 1

Quin

 

Non riesco a credere di essermi fatta convincere da Lou a farlo.

Siamo lì a chiacchierare in tutta tranquillità nella nostra stanza, e lei ad un certo punto prende a dire che la mia passera farà le ragnatele se continuo a non usarla.

Un secondo dopo, mi ritrovo a urlarle contro che scopare non è ciò per cui la gente s’iscrive all’università.

E poi lei risponde che scopare è esattamente il motivo per cui la gente viene al college, e la cosa più brutta è che… ha proprio ragione. Perché è vero, quantomeno per me.

Mi ci è voluto tanto tempo per decidere di andare all’università. Non che io non creda nell’educazione che può darti eh. E poi, io amo studiare.

È che io non ho frequentato una scuola tradizionale. Nella nostra scuola, ci lasciavano liberi di esplorare i nostri interessi, divorarli come una scatola di Oreo e poi occuparci noi stessi di tenere una lezione riguardo ad essi a gente che, invece, non si ritrovava altrettanto appassionata a riguardo.

Ogni singola volta che provo a spiegare questa cosa a qualcuno, mi guardano tutti stralunati, come fossi uscita fuori di testa. Non riescono a capirlo. Ma nella mia scuola, quel metodo funzionava alla grande.

La mia era una scuola per bambini speciali, in grado di apprendere molto velocemente anche quelle nozioni considerate più difficili. Io ero la migliore della classe. E, alla fine, all’età di diciotto anni avevo più di un diploma in più di una materia avanzata, quindi… cosa avrebbe mai potuto darmi, il college, a livello accademico?

Dopo essermi diplomato,ho preso un anno sabatico in cui ho consumato qualsiasi cosa potessi trovare su tutto ciò che mi interessava. E quando mi sono accorta che stavo diventando un po’ una rinchiusa, ho passato qualche settimana in Africa e in Asia, e poi ho concluso il viaggio facendo un’escursione in Europa con in spalla soltanto uno zaino.

È stato quel viaggio che mi ha aiutato a guardare le cose da una prospettiva diversa, una che potesse aiutarmi di più. Sì, conosco tantissime cose a livello teorico, so parlare di tantissimi argomenti nonostante la mia giovane età; ma, anche al suo massimo, la mia scuola è riuscita a contare un massimo di cinquanta alunni. E più di questo, tutti quegli alunni—compresa me—provengono dallo stesso, gigantesco edificio super costoso in cui i nostri genitori vivono. Il nostro background è lo stesso. Siamo tutti uguali.

Io sono stata intelligente abbastanza da capire in fretta che la vita va oltre quell’edificio e quelle persone. Sì, quei tre mesi fuori casa mi hanno dato la possibilità di vedere le cose in maniera diversa. Ma ciò che ho capito è che, seppur io sappia tantissime cose e riesca sempre a parlare di qualsiasi argomento considerato forse troppo difficile per una persona della mia età, in realtà, quando si parla di questioni umane, quando si parla di esseri umani, di vita… io non ne so assolutamente nulla.

È stato in quel momento che mi sono resa conto di non essermi mai innamorata. Di non aver mai fatto sesso. Di non aver mai avuto un migliore amico. E di non avere la più pallida idea di come approcciarmi alla gente per fare anche solo una di tutte quelle cose. Che tipo di vita ho vissuto finora?

Così, invece di credermi intelligente abbastanza da poter cambiare il corso delle cose dal nulla, come per magia, ho deciso di fare ciò che fanno tutti i ragazzi normali della mia età: ho trovato una scuola il più possibile diversa da quella a cui ero abituata, e mi sono iscritta. E non c’è un posto più diverso da New York del Tennessee. E, per allontanarmi dalle macchine e dalla costosa civiltà alla quale sono sempre stata abituata, ho deciso di scegliere quell’Università i cui spazi si raggiungono a piedi, tra sentieri che ti fanno quasi sentire come fossi in mezzo alla foresta.

Poi ho compilato un questionario di compatibilità per trovare una compagna di stanza, e mi sono ritrovata in compagnia di Louise, che però preferisce farsi chiamare Lou ed è la ragazza più pazza dei ragazzi che abbiamai conosciuto in tutta la mia vita. Ha avuto più appuntamenti dei ragazzi di cui conosco il nome.

Non so come fa, ma riesce ad avere un appuntamento persino in un gay bar.  

.

Io, invece, sono alla East Tennessee University da mesi, e nessuno mi ha mai chiesto neppure il numero di telefono.Lou dice che è perché non esco mai dalla nostra camera. Io le ho detto che lei non può parlare, perché aspetta solo che io esca dalla camera per portarsi un ragazzo nel suo letto. Lei ha risposto «Certo che sì» e poi ha pensato bene di rigettarmi addosso la stessa motivazione che ero stata io a darle, sul perché mi trovassi lì davvero.

«Non puoi conoscere nuove persone, se te ne resti chiusa qui dentro. E per quanto io ti voglia bene, Quin, non potrai mai ricevere ciò che speri di ricevere, da me. Non fraintendermi, eh, se mi piacessero le ragazze, ci proverei totalmente con te. Ma non è così. Il che significa che l’unico posto in cui passi la maggior parte del tuo tempo è anche lo stesso posto in cui, davvero, non dovresti stare così tanto.»

«Ma vado anche a lezione» ho ribattuto.

«Ugh! Senti. Vuoi provare di non essere venuta qui solo per passare il tempo in attesa che tuo padre ti nomini dirigente della sua azienda di auto elettriche da un miliardo di dollari, o della sua azienda di razzi da un miliardo di dollari, o qualsiasi altra cosa? Bene, allora sarà meglio che metti su qualcosa e porti le tue chiappe fuori da questa stanza, signorina!» mi ha risposto, puntandomi il dito contro e sbattendolo contro il mio petto.

«Ahi, Lou!»

«Se non sto dicendo la verità allora provamelo. Esci dalla stanza. Vai a conoscere gente nuova!»

«Smettila!»

«Provami che mi sbaglio! Non continuare a parlare di voler avere una vita, vai a prendertela, piuttosto!»

«Lo farò!» le ho risposto, furiosa.

«Bene!»

«Bene!»

«E voglio le prove. Quando torno a casa, stasera, voglio vedere un uomo—o una donna—nudi in quel letto, e voglio vederti imbarazzata che io sia entrata in questa stanza mentre tu sei impegnata a fare le tue cose. Tanto, tanto imbarazzo, signorina.»

«Ce ne sarà! Ce ne sarà in abbondanza, solo per te. Perché ti sbagli di grosso… o qualcosa del genere.»

«Bene.»

«Bene.»

«Dico sul serio, Quin.»

«Anche io.»

 

E quindi, adesso eccomi qui, a marciare attraverso il campus verso l’unico party last-minute che sono riuscita a trovare. La squadra di football della East Tennessee University ha vinto contro quella della West, i loro acerrimi rivali da sempre, e la confraternita della squadra ha deciso di organizzare una festa in favore della vittoria. Non c’è niente di quella festa che suoni anche solo un po’ divertente, ma sto andando… perché Lou mi ha costretta ad andarci.

Che dire. Forse non sono così tanto intelligente come ho sempre creduto.

E va bene. Andrò. Mi prenderò qualche prova dell’essere stata lì. Poi, una volta raccolte le prove, uscirò e andrò in un coffee shop a leggere un bel libro in santa pace.

So che Lou ha parlato di trovare qualcuno nudo nel mio letto, ma… diciamoci la verità, non c’è modo che una cosa del genere possa succedere così, di punto in bianco. O mai. Non riuscirei a perdere la verginità neanche se mi ritrovassi in una piscina piena di cazzi. Credetemi, perché ci ho provato. Non so cosa ci sia in me che fa allontanare tutti, ma nessuno sembra voler stare con me. Neanche per una notte.

E poi, ho questa brutta cosa di gravitare anche senza intenzione verso gli uomini più grandi, e non ho nessuna possibilità di trovare qualcuno del genere al campus. A meno che io non prenda a guardare i professori, e questo non succederà mai. No.

Vorrà dire che mi ritroverò a vivere la mia vita triste, vergine e sola.

Mi sono appena data la mazzata da sola? Sembra proprio di sì. Bene. Adesso non ho proprio alcuna voglia di andare a quella festa.

Girando l’angolo, riesco a sentire la musica provenire in lontananza dalla casa della confraternita. Mi mette in soggezione, così tanto che devo appellarmi alla rabbia provata alle parole di Lou per costringere i miei piedi a continuare la loro corsa.

Faccia a faccia con la mia impellente rovina, quasi non mi congelo sul posto.

Non sono brava in queste cose.

Non so come comportarmi in queste situazioni.

Non c’è modo che io riesca a fare amicizia o addirittura di più con qualcuno.

Non riuscirò mai a fare ciò che fa la gente della mia età.

Nuovo piano: non entro. Mi prenderò la mia prova che sono venuta, tanto per sicurezza, e poi andrò via. Adesso vado verso una delle tantissime persone in questo posto e le chiedo di farsi una foto con me, tutti felici e sorridenti, così poi posso mostrarla a Lou. E poi me ne vado a gambe levate.

Sì, farò così.

Guardandomi intorno, vedo gente intenta a fumare, persone che parlano in gruppo con bicchieri rossi in mano, ed un ragazzo fuori tutto da solo.

La scelta, così, è facile.

Tutto ciò che devo fare è trovare il coraggio di riprendere a camminare, avvicinarmi a lui, chiedergli una foto, farla, ringraziarlo e andare via. Ce la posso fare. Non sono proprio così strano. Posso farcela, a parlare con una sola persona.

Stringendo le labbra, mi dico di doverlo fare e prendo a camminare verso di lui. Non ci penserò più di tanto. Lo faccio e basta, e poi me ne vado.

«Scusami… posso fare una foto con te?» chiedo al ragazzo, che è girato di spalle.

«Vuoi farti una foto con me? Perché?» chiede il ragazzo, la sua voce che si fa più chiara e vicina mentre si gira a guardarmi.

W—woah…

Conoscete quella sensazione, quando vi ritrovate davanti qualcosa che vi lascia completamente senza fiato? Brividi caldi cominciano a pizzicarti la pelle delle mani, salendo in fretta lungo le braccia prima di fermare la loro corsa dritti in mezzo alle guance, il calore a farti sentire super leggero.

È questo che succede a me, nel momento in cui i nostri occhi si incontrano. Questo ragazzo è bellissimo.

Quella pelle cremosa in contrasto con i suoi capelli neri e quegli occhi immensamente blu. La mascella, così rigida e squadrata che sembra essere stata scolpita nel marmo. Ci sono tante… così tante fossette, sulle sue guance, sotto il suo labbro inferiore, sulla punta del suo mento. Sono dovunque. Sono bellissime.

E più di questo. È enorme. È molto più alto di me, e molto più grosso. Certo, è difficile fare un paragone visto quanto magra sia invece io. E non fatemi cominciare a parlare di quanto la fatina delle tette sia stata avara nei miei confronti. Ma i suoi muscoli sono così grossi che per un attimo credo che abbiano loro stessi altri muscoli dentro. Dio… è bellissimo.

Non riesco a parlare, eppure lui sta chiaramente aspettando una mia risposta.

Perché mi ha fatto una domanda.

Cos’è che mi ha chiesto?

Oh, sì! Mi ha chiesto perché mai vorrei farmi una foto con lui. E sembra parecchio infastidito al riguardo.

L’ho fatto arrabbiare? È una cosa così strana, chiedere una foto ad un completo sconosciuto? Probabilmente sì… Dio santo! Ma a cosa diavolo stavo pensando quando ho partorito questo piano stupido?

«Scusami» forzo fuori dalle mie labbra prima di costringere le mie gambe a muoversi dalla parte opposta.

Riesco a fare due passi prima di sentirlo parlare di nuovo.

«Aspetta! Non andare.»

Io mi fermo.

«Scusami. Non volevo essere scortese. Se vuoi una foto, posso farla.»

«No, va tutto bene» dico, volendo con tutte le mie forze girarmi per guardarlo di nuovo, ma sentendo troppa paura di perdere un’altra volta il respiro e non riuscire più a rispondere.

«No, davvero. Va tutto bene. Puoi averne una. Non so perché qualcuno vorrebbe farsi una foto con me, ma va bene. Sarei più che contento di farla.»

È in quel momento che mi giro a guardarlo di nuovo. Riconosco nelle sue parole il vero significato di ciò che sta dicendo. Parla come fosse una di quelle persone abituate a sentirsi chiedere una foto. Io ne so qualcosa, anche solo un po’, ed è uno dei motivi per cui ho scelto un’Università nel bel mezzo del nulla. Il mio più grande desiderio è sempre stato ritrovarmi in un posto dove la gente non possa riconoscermi come Harlequin Toro, la ragazza strana dalla famiglia strana che ha frequentato una scuola per strani.

Ma quello vale per me, però. Perché la gente chiede selfie a lui, invece? Certo, è il ragazzo più bello che io abbia mai visto. Ma davvero le persone sconosciute si avvicinano a lui e chiedono foto solo per la sua bellezza? Non saprei dirmi sorpresa, se fosse così.

«Io, ehm… non ti ho chiesto una foto perché so chi sei. Non ti conosco. Non ho la più pallida idea di chi tu sia» spiego.

Il ragazzo fa scattare la testa indietro, come colpito. Mentre lo fisso, noto la pelle nelle sue guance farsi poco a poco più colorata.

«Oh! Okay. E allora…» scuote la testa, come per scacciare via qualcosa dalla sua mente. «Scusami, allora come mai vuoi farti una foto con me?»

«Non è con te, ecco. Chiunque andava bene» gli dico.

«Volevi una foto con qualsiasi persona? Perché?»

Prendo un bel respiro, il vero motivo di tutto quel discorso che ritorna nella mia mente.

«È a causa della mia compagna di stanza. Mi ha detto che dovevo uscire fuori e andare a divertirmi. E mi ha detto che avrebbe preteso delle prove…»

«E questa foto sarebbe stata la tua prova?»

«Sì.»

«Quindi, dopo aver fatto la foto… cosa? Andrai via?»

«Sì, è il mio piano.»

Il meraviglioso ragazzo di fronte a me mi guarda come la stramba che sono. Un sorrisetto si fa largo sul suo viso. Quasi considero l’idea di sentirmi in imbarazzo, se solo quel sorriso non fosse così bello da farmi completamente sciogliere sull’erba che ho sotto i miei piedi.

«Okay, questa proposta potrebbe sembrarti completamente assurda ma… ormai se qui. Già che ci sei, perché non entrare e… divertirti sul serio?»

«Perché non sono brava in queste cose. Sai… essere sociale, e cose così.»

«Beh, è il tuo giorno fortunato. Io sono molto bravo in queste cose, invece. Che ne dici se facciamo un patto? Ti darò la foto che mi hai chiesto, per la tua compagna, se tu però mi prometti di entrare con me e provare a divertirti sul serio. Ti farò conoscere un paio di persone. Così, quando lei ti chiederà com’è andata la serata e che cosa hai fatto, non avrai bisogno di mentire» mi dice, quel sorriso così grande da far esplodere tutte le mille fossette che ha in viso.

Lo guardo negli occhi. «Perché lo faresti?»

Mi guarda di rimando, inclinando la testa come fosse confuso.

«Forse perché sono un bravo ragazzo. Forse perché mi dai l’impressione di essere una ragazza interessante, con cui potrebbe essere divertente uscire. Oppure sto flirtando con te. Chi lo sa.»

Un brivido mi scivola lungo la spina dorsale quando sento quella parola. Flirtare. Che cosa sta succedendo? Piaccio a questo ragazzo? Sta succedendo qualcosa tra di noi, in questo momento? Riuscirò a portarmi un ragazzo in camera e a far ritrovare a Lou me e lui nudi nel mio letto, proprio come voleva?

.

«Uhm… Okay, sì» rispondo, sicuro di essere diventata rossa come un peperone.

«Cage, comunque.»

«Cosa?»

«Il mio nome, è Cage.» Mi fissa. «E il tuo?»

«Oh. Quin.»

«Bello. Mi piace il tuo nome.»

«Grazie. Me l’hanno dato i miei genitori» dico, perdendo il controllo della mia lingua.

Cage ride.

«Voglio dire. Ovviamente me l’hanno dato i miei genitori.»

«Non è così ovvio. Non sono stati i miei genitori a chiamarmi Cage.»

«E chi è stato? Uno zio? Un nonno? Qualcuno?»

«No, sono stato io.»

«E allora qual è il tuo nome di nascita?»

Cage mi guarda, e mi sembra di vedere milioni di pensieri scorrere dietro quegli occhi. «Che ne dici se ti porto dentro e ti mostro cosa c’è in giro?»

«Quindi lasceremo semplicemente cadere questa domanda?»

Cage ridacchia, a disagio. «Non hai esattamente un filtro, tu, eh?»

Io mi congelo sul posto. Non è la prima volta che mi viene detta una cosa del genere. La prima volta è stata con un’altra persona di cui mi sono infatuata particolarmente.

«Immagino di no. È una brutta cosa?»

«In realtà, è parecchio bello. Meglio di ciò a cui sono abituato.»

«Oh. D’accordo» dico, sentendomi perdere ancora di più.

«Hai un bel sorriso.»

«Non mi sono accorta di star sorridendo» gli dico.

«Lo stai facendo» mi assicura, ricambiando con un sorriso suo.

«Anche tu. Ed è molto bello» rispondo, sentendo il mio cuore battere con prepotenza dentro il petto, e non sapendo cosa fare a riguardo.

Cage mi porta verso le scale, sulla veranda e poi dentro casa della confraternita. È difficile togliergli gli occhi di dosso, ma quando lo faccio mi ritrovo sorpresa di ciò che vedo. Non so esattamente cosa mi aspettassi, ma non era questo. L’enorme salotto ha pochi mobili, ma è pieno di persone. Ognuna di esse tiene in mano un bicchiere rosso di plastica, intente a parlare tra di loro come fossero amici.

«È ancora parecchio presto» mi dice lui.

«Che intendi?» gli chiedo, alzando la voce per farmi sentire oltre la musica country che aleggia nella stanza.

«Arriverà più gente, dopo.»

«Più di quanta ce ne sia già adesso?» chiedo, guardando intorno la stanza piena di gente.

Cage ridacchia. «Sì.»

«Cage!» Un ragazzo corpulento si avvicina a noi, gettando le braccia sulle spalle di Cage e facendo cadere qualche goccia del suo drink sulla sua maglietta. «Oh, cazzo! Ti ho sporcato?»

«Non fa niente» risponde lui, rilassato. «Dan, questo è Quin.»

Dan si gira a guardarmi, e mi fissa. «Quin!» ripete, mettendo fine al disagio che il suo sguardo mi stava provocando. «Sta cercando di reclutarti?»

«Cosa?» gli chiedo, confusa.

«Sta cercando di convincerti ad entrare nella squadra di football?»

Lo guardo, non capendo bene cosa stia succedendo. È serio? Pensa sia un ragazzo? Quell’errore è già stato fatto in passato. Eppure, anche se pensasse sia un ragazzo, non ho esattamente il fisico adatto per giocare ad un gioco che richiede forza e velocità.

«Squadra di football?»

Mi giro a guardare Cage, confusa.

Cage mi sorride. «Non fare caso a Dan. Ha preso qualche botta di troppo.».

«Non c’è di che, comunque» risponde Dan sulla difensiva.

«Siete entrambi nella squadra di football?» chiedo, facendo due più due.

Dan abbandona il suo atteggiamento da atleta sprovveduto e getta le braccia intorno a Cage un’altra volta. «No, io sono nella squadra. Quest’uomoi è la squadra.»

Io guardo Cage, cercando spiegazioni.

Lui sorride con umiltà. «Sono il quarterback.»

«Non è solo il quarterback!» dice Dan, prendendolo in giro. «È colui che ci porterà al campionato nazionale, e poi andrà a giocare con le squadre professionali.»

«Oh! Adesso sì che capisco. La foto. È per questo che pensavi la stessi chiedendo a te. Perché sei un giocatore famoso.»

«Non sono per niente un giocatore famoso» mi spiega velocemente.

«Diamine, sì, che è famoso! Non c’è nessuno in questo posto che non lo conosca» dice Dan, con orgoglio.

Io guardo Cage, aspettando la sua reazione. Lui mi guarda di rimando ridacchiando, a disagio.

«Non tutti sanno chi sono.»

«Fammi il nome di una sola persona che non ti conosce» lo sfida Dan.

Cage mi rivolge un sorriso che la dice lunga. «Quin, ti va di bere? Penso tu abbia bisogno di un drink. Seguimi.»

«È stato bello conoscerti, Quin» dice Dan, prima di svignarsela.

«Quindi sei un quarterback.»

«Oh, non hai sentito? Io non sono solo un quarterback. Io sono la squadra» dice Cage, prendendosi in giro da solo.

Io rido. «Ho sentito, ho sentito. Quindi andrai a giocare per le squadre professionali?»

«Certo» dice lui con poco sentimento, prima di girarsi e versare della birra in due bicchieri rossi.

«Non hai l’aria di essere parecchio entusiasta.»

«No, è fantastico. Non vedo l’ora di giocare nell’NFL. È, ehm… tutto ciò che ho sempre sognato, ciò per cui lavoro duramente» mi dice, passandomi il bicchiere e prendendo il suo, pronto a brindare con me. «Alle nuove amicizie.»

Tocco il suo bicchiere con il mio, brindando con lui, prima di prendere un sorso. «Questa birra fa schifo» dico, guardando dentro il bicchiere.

Cage ride. «Fai pure, dimmi cosa ne pensi.»

«Scusa… è solo che non è così buona» spiego.

Cage ride più forte. Poi smette, e mi guarda dritto negli occhi.

Dio, quanto vorrei baciarlo.

«Immagino che, se ti chiedessi se in questo momento ti stai divertendo, mi diresti subito la verità.»

«Mi sto divertendo» gli assicuro, avvicinandomi a lui, nel caso in cui anche lui sentisse la voglia di baciarmi.

Cage mi guarda con un luccichio malizioso negli occhi. Avrei potuto giurare di aver visto le sue labbra muoversi vicino alle mie, con l’intenzione di baciarmi, ma poi lui dice. «Perché non andiamo a conoscere altre persone?»

«Altre persone? Ne ho già conosciute due. Quanta gente si può conoscere in una sola notte?»

Lui ride. «Solo un altro po’» dice, facendo scivolare il braccio sulle mie spalle e portandomi via.

Sentire il suo tocco sulla mia pelle fa vibrare il mio corpo. Mi sento così piccola tra le sue braccia. È così grande, così forte. Non riesco a credere di aver avuto la fortuna di conoscere qualcuno come lui. Non posso credere che qualcuno come lui si stia comportando come se fosse interessato a me. Può una persona come lui guardarmi come fosse interessata? La sola idea mi fa stringere il petto.

Cage mi porta in giro per la casa, presentandomi a persone nuove una dopo l’altra. Non stava scherzando quando mi ha detto di sapersela cavare in queste cose. Ogni singola persona a cui mi presenta sembra pendere dalle sue labbra. E quando arriva il mio momento di parlare, loro sembrano pendere anche dalle mie, come per riflesso.

Non riesco a dire se sia perché sono persone carine ed educate, o se avere Cage accanto mi renda una persona improvvisamente più interessante. Ma qualsiasi sia la motivazione, devo ammettere di amare questa sensazione. Queste interazioni sono sempre state difficili, per me, ma con Cage al mio fianco mi sento una persona diversa.

Ciò che rende la serata ancora più bella è il fatto che Cage approfitta di ogni singola possibilità per toccarmi. Mi tocca le spalle quando mi presenta a qualcuno. Il suo dito si poggia sul mio avambraccio quando sta cercando di rendere chiaro un concetto. E, fermi spalla a spalla come fossimo una coppia, fa scontrare spesso le sue contro le mie quando ride.

Sono completamente andata e alla sua mercé dopo pochissimo tempo, e non riesco a smettere di pensare all’altra cosa che Lou mi ha fatto promettere di fargli trovare al ritorno in camera. Come sarebbe avere Cage nudo nel mio letto?

Mentre uno dei suoi compagni parla, le sue mani a gesticolare durante il racconto, io non riesco a togliere gli occhi di dosso a Cage. La sua attenzione è completamente assorta sul suo compagno, ma di punto in bianco e con estrema cautela prende il telefono dalla tasca e lo guarda. Poi lo mette subito via, e aspetta che il ragazzo smetta di parlare prima di guardare tra me e il suo amico.

«Detesto dirlo, ma io devo andare» dice, poggiando la sua enorme mano sulla parte posteriore del mio braccio..

«Sì, anche io» dico velocemente.

«Sì? Dove sei diretta?» mi chiede con entusiasmo.

«Verso la mia stanza.»

«E dov’è?»

«Al Plaza Hall.»

«Davvero? Vengo con te» mi dice, stringendomi il braccio.

Il mio cuore si ferma per un secondo.

Viene con me?

È così che succede, allora?

Non riesco a credere che sta davvero per succedere.

Deglutisco, forzandomi a parlare.

«Grande.»

Dopo aver salutato un po’ di persone, usciamo insieme nella notte. Mi sento la testa leggera, per il terrore e per l’eccitazione. Mentre il silenzio si fa largo verso di noi, mi ritrovo a chiedermi perché lui non stia dicendo nulla. Non è lui quello bravo in questo tipo di cose? Sono quasi sul punto di mormorare qualsiasi stupidaggine per sentirlo parlare di nuovo quando, alla fine, lui mi batte sul tempo.

«È una bella notte.»

«Cosa?»

«Puoi vedere tutte le stelle» mi dice, girandosi verso di me. «Hai freddo?»

«Cosa?»

«Stai tremando.»

Sto tremando davvero. «Credo semplicemente di essere nervosa» ammetto.

«Sei nervosa per cosa?»

La mia faccia si fa immediatamente rossa e calda. «Non lo so.»

Cage mi fissa intensamente. «Sei davvero bella . Lo sai?»

«Lo sei anche tu» gli dico, tremando di più.

Cage ridacchia. «Grazie. Sei contenta di essere uscito dalla tua stanza, stasera?»

«Decisamente sì» gli dico, il mio sguardo che cade sul terreno.

«Siamo arrivati» mi dice, mentre ci avviciniamo alla porta dell’edificio con la mia stanza.

«Siamo arrivati» ripeto, il cuore a martellarmi forte nel petto. «Ti va di entrare?»

«Entrare?» mi chiede Cage, preso in contropiede.

«Sì» rispondo io, timidamente.

«Ahm…» mormora, prima che la porta dell’edificio si apra di scatto e una ragazza esca fuori sul portico.

«Cage!» urla, prima di gettargli le braccia al collo e alzarsi in punta di piedi per scoccargli un bacio sulle labbra.

La mia bocca si spalanca immediatamente dallo shock.

Cosa diavolo sta succedendo?

Cosa sto vedendo?

La piccola ragazza bionda, dalle curve meravigliose, si gira a guardarmi. «E questa chi è?»

«Ahm, lei è Quin. Quin, lei è Tasha.»

Tasha mi guarda con sospetto, mentre Cage si fa sempre più a disagio.

«Tasha è la mia ragazza.»

«Come conosci Cage?» mi chiede Tasha.

Mi sento troppo scioccata per poter rispondere davvero.

«Quin mi ha chiesto di fare una foto insieme.»

Tasha si gira a guardare Cage, sorpresa. «Oh. L’avete fatta?»

«No, ancora no» risponde lui, con un sorriso.

«Posso farla io» si propone lei. «Dammi il tuo telefono» dice a me, avvicinandosi con la mano allungata.

Ancora senza parole, prendo meccanicamente il telefono e glielo porgo, avvicinandomi a Cage.

«Dite cheese!» dice.

«Cheese!» ripete Cage, mentre io resto immobile a fissare lei, ancora scioccata.

«Ecco qui» dice lei, ridandomi il telefono. «Controllala, dimmi se va bene.»

Io guardo il telefono, vedendo la mia umiliazione immortalata proprio lì. «Sì, va bene.»

«Okay. Allora andiamo. Ho famissima» dice Tasha, appiccicando il corpo a quello di Cage e spingendolo via.

«È stato un piacere conoscerti, Quin» mi dice lui, guardandomi mentre va via.

«Sì. Anche per me è stato un piacere conoscere… te» mormoro, sicura che lui tanto non possa più sentirmi.

Guardo la coppia perfetta farsi strada lontano da me.

Ovviamente ha una ragazza. E ovviamente la ragazza in questione è così bella. Il mio cuore sprofonda giù mentre li guardo.

Non posso credere di essere stata così stupida da credere che un ragazzo del genere potesse essere interessato a me. Nessuno si interessa mai a me.

Come ho fatto ad essere così stupida? Come ho potuto pensare che una persona come lui potesse anche solo guardarmi con un pizzico di interesse?

Una volta che i due spariscono nell’oscurità, io entro nell’edificio. Salgo le scale come fossi in una trance, sentendo il bisogno di piangere. Perché non mi vuole mai nessuno?

«Non dirmi che ti sei limitata ad andare al bar per leggere un libro in santa pace» mi dice Lou, venendomi incontro una volta entrata in camera, distogliendomi dai miei pensieri.

«Che ci fai qui?» le chiedo, perché non mi aspettavo di ritrovarmela in camera.

«Ugh! Il mio appuntamento non ne valeva la pena. Ma non cambiare argomento. Non vedo un uomo nudo tra le tue braccia. Non vedo segni di imbarazzo. Niente.»

Tiro fuori il telefono dalla tasca, prendendo la foto mia e di Cage, e gliela mostro.

«Chi è lui?»

«Cage.»

«E perché sembri così addolorata, pecorella?»

«Perché ha una ragazza» le dico, prima di guardarla fisso negli occhi e scoppiare a piangere.

«Ah….» dice Lou, prima di stringermi le braccia attorno alla vita, tenendomi forte.

«Cosa c’è che non va in me, Lou?» le chiedo, prima di lasciarla guidarmi verso il letto, sentendola entrare sotto le coperte con me per tenermi stretta mentre piango.

 

 

Capitolo 2

Cage

 

Wow…

Non ho mai sentito niente del genere in tutta la mia vita. Guardando Quin, a malapena sono riuscito a contenermi. Non riuscivo a non metterle le mani addosso. Sarei rimasto con lei per tutta la serata, per tutta la notte. Per molto di più. Per la prima volta dopo tantissimo tempo, mi sono sentito vivo.

Ritornare alla realtà è stata una pillola amara da digerire. Quando ho ricevuto il messaggio di Tasha, mi sono sentito come se mi fosse crollato il pavimento sotto i piedi. Volevo restare alla festa con Quin. Volevo vedere quanto sarebbe andata avanti. Però avevo promesso a Tasha che l’avrei portata fuori a cena indipendentemente da come sarebbe andata a finire la partita. Mantengo sempre le mie promesse, e così avrei fatto anche con Tasha.

«Dunque… volevo parlarti di una cosa» dice Tasha, rompendo il silenzio che si era venuto a creare durante il cammino.

«Di cosa?»

Tasha mi guarda con eccitazione, e arrossisce. Vederla dare sfogo alle sue emozioni è una cosa inusuale. Tasha è solitamente seguita da una nuvola nera in grado di farsi sentire anche su chiunque abbia intorno.

La cosa è sempre andata così, tanto che ho preso a dirmi che sicuramente non è contenta della sua vita. Ed io faccio chiaramente parte di quella sua mancata soddisfazione. Ma ogni singola volta che provo a parlarne con lei, mi accusa di voler rovinare l’unica cosa buona che abbiamo entrambi nella vita.

Ma quale cosa buona? Lei non è felice. Io non sono felice. E non facciamo mai neanche sesso.

«Conosci Vi, vero?» mi chiede lei, come effervescente.

«La tua migliore amica Vi, quella con cui passi la maggior parte del tuo tempo? Sì, la conosco.»

«Non c’era bisogno di dirlo in questo modo.»

«Mi hai appena chiesto se conosco l’unica persona di cui parli in continuazione.»

«Perché stai cercando di litigare? Io ho appena fatto qualcosa di bello per te.»

Provo a riprendermi, prendendo un bel respiro. La verità è che non volevo lasciare Quin, ma ho dovuto farlo per andare con Tasha. Sicuramente è stata la cosa migliore. O almeno, questo è ciò che continuo a ripetermi da quando ci siamo allontanati da lei. Il modo in cui mi fa sentire avrebbe sicuramente portato a tante, tantissime grane. A cose di cui mi pentirei di certo.

Ho grandi cose a cui pensare. È da tutta la vita che lavoro per trovarmi un posto nell’NFL. Stare con una ragazza come Tasha mi aiuta a vendermi come immagine della compagnia. Almeno, questo è quello che mio padre continua a ripetermi. Giocare nell’NFL è un sogno che lui ha per me da molto più tempo di me. Non posso deluderlo.

«Scusami. È solo che mi sento ancora su di giri per la partita. Mi fa sentire un po’ strano.»

Tasha sorride. «Sei perdonato» mi dice, stringendo il braccio attorno al mio. «E… penso di avere qualcosa per te che potrà farti sentire meglio.»

«Okay» dico, provando a tirar fuori un sorriso. «E cosa è?»

«Beh… ti ricordi quando abbiamo parlato di rendere le cose un po’ più… piccanti, a letto?»

Guardo Tasha con sospetto. Rendere le cose più piccati è un’idea che è stata lei a tirar fuori, e quando l’ha fatto mi è sembrato che avesse un’idea ben precisa in testa su come farlo, che però non ha voluto condividere con me.

«Mi ricordo, sì.»

«Quindi… ho parlato con Vi…»

«Okay» dico, confuso.

«Ho parlato con Vi e le ho chiesto se potesse essere interessata ad unirsi a noi quando siamo… insieme. E lei ha detto sì!» mi dice infine, saltellando sul posto.

Io mi fermo immediatamente, e mi giro a fissarla. Mi ci vuole un secondo per realizzare ciò che ha appena detto.

«Intendi… fare un threesome?»

«Sì!» dice, diventando improvvisamente rossa in viso.

«Tasha… perché mai hai fatto una cosa del genere?»

«Che cosa intendi, scusa?»

«Perché mai hai invitato un’altra persona nel nostro letto… senza neanche parlarne con me, prima?»

«Pensavo che l’idea ti sarebbe piaciuta a prescindere. Non è il sogno di qualsiasi uomo, avere due donne bellissime insieme a sé nel letto?»

«Non qualsiasi uomo. E se me l’avessi chiesto, avrei avuto la possibilità di dirti che io sono un tipo a cui piace una cosa uno a uno… Se solo me lo avessi chiesto.»

«Pensavo solo che avrebbe potuto farti piacere» dice lei, come avesse il cuore spezzato.

«Beh, no, non mi piace. E non so neanche perché hai pensato di suggerirlo.»

«Forse perché non facciamo più sesso?»

«E di chi è la colpa, scusa? Sei tu, qui, che spendi la maggior parte del tuo tempo con Vi.»

«Che cosa stai dicendo?»

«Sto dicendo che non sono io quello che non vuole fare sesso.»

«Beh, tu non è che faccia nulla a riguardo!»

«Se ti senti così tanto infelice, allora forse non dovremmo stare insieme.»

Tasha si irrigidisce, e mi fissa. «Perché hai detto una cosa del genere? Perché mai?»

«Non è questa la cosa più ovvia?»

«No. Siamo destinati a stare insieme! Io sarei per te la moglie perfetta. E lo sai bene. Sarai chiamato da una delle squadre della NFL, e diventerai il loro quarterback. Io mi occuperò della casa e delle donazioni. Ne abbiamo parlato, piccolo. I nostri futuri sono già stati scritti.»

Tasha ha ragione. Ne avevamo parlato, ed erano esattamente quelle le parole che ci eravamo detti. Ma adesso che sono all’ultimo anno e non posso più ritardare quel momento, sto cominciando ad avere dei dubbi. Non è colpa di Tasha, però. E non dovrei prendermela con lei.

«Hai ragione. Scusami, Tasha. Sono solo di cattivo umore. Però, per favore, non parliamo più di threesome, okay?»

Nel momento stesso in cui lo dico, vedo la luce negli occhi di Tasha andare via.

«Okay» concorda, poi ricominciamo a camminare verso il ristorante, in religioso silenzio.

 

«Ti avevo detto di non frequentare quel corso, Rucker.»

«Coach, è un argomento al quale io sono molto interessato» provo a spiegare per la millesima volta.

«Introduzione all’Educazione Infantile? Cosa ci deve fare un quarterback della Dallas Cowboys o degli L.A. Rams con un corso sull’educazione infantile?» mi chiede il coach, più che incazzato a riguardo.

«Ascolti» dico, perdendo la pazienza. «Ho frequentato ogni singolo corso che mi ha consigliato, che mi piacesse o meno. Partecipo ad ogni allenamento in programma, e lavoro così tanto da star male…»

«E guarda dove ti ritrovi adesso, grazie a questo. Uno dei primi nella lista per poter andare in alto. Dovresti ringraziarmi di aver pressato così tanto, con te.»

Cerco di riprendermi, e prendo un bel respiro. «Sono grato. Lo sono. Ma, coach, ho bisogno di frequentare almeno un corso che sia solo ed esclusivamente per me

«Ma perché proprio questo?»

«Perché è ciò che mi interessa.»

«Però non hai partecipato neanche ad una lezione dall’inizio dell’anno.»

«Questo a causa dell’orario delle lezioni! Cominciano sempre venti minuti prima della fine degli allenamenti. Pensavo di poter correre a lezione una volta finiti, ma certe volte gli allenamenti si protraggono più a lungo, e a volte ho bisogno di fare dei bagni freddi. Certe volte sono semplicemente troppo stanco.»

«Beh, avresti dovuto pensare a tutte queste eventualità prima di iscriverti al corso, perché la professoressa che se ne occupa non ha tutta questa grande empatia nei confronti della fatica e della stanchezza degli atleti nel suo corso. Questa, al contrario, ha come interesse solo che tu partecipi per forza alle lezioni e che tu faccia i test per poter passare. E se non passi questo corso, Rucker, non sarai ammesso alle prossime partite. E questo significa che la squadra non vincerà nulla, e che tu non verrai più reclutato.»

«Ho capito. Comincerò ad andare a lezione.»

«Non solo questo, Rucker. Non basta. Ti devi trovare un tutor. Ci penserà qualcuno dei miei a trovartene uno, senza problemi. Quand’è la prossima lezione?»

Guardo l’orologio affisso alla parete sopra la testa del coach.

«Proprio adesso.»

«E allora portaci il tuo culo grosso, adesso!»

«Coach… è dall’altra parte del campus. Per quando ci arrivo, ci saranno soltanto cinque minuti di lezione che mi restano.»

«Immagino che significhi soltanto che dovrai correre più velocemente, non è così?»

«Abbiamo appena fatto venti minuti di sprint, coach…»

«Smettila di continuare a rispondere e corri! Dico sul serio. Vai, vai, vai!»

Uscendo fuori dal suo ufficio, faccio ciò che il vecchio mi ha detto e comincio a correre. Mi ero già tolto l’imbottitura pettorale prima di andare dal coach, ma ho ancora addosso le mie scarpe sportive, la maglietta elasticizzata e i pantaloni imbottiti. La lezione alla quale devo andare si tiene in una classe al terzo piano dall’altra parte del campus. Non ho il tempo di cambiarmi, non se voglio arrivare almeno agli ultimi cinque minuti.

Non so come mi ci sono cacciato, in questo casino. Anzi, in realtà un po’ lo so. È stato un po’ un atto di ribellione da parte mia. Sì, sapevo fin dall’inizio che avrebbe coinciso con gli allenamenti. Ma ad essere del tutto onesti e sinceri, speravo mi permettesse di lasciare gli allenamenti prima per poterci andare. Mi sono sbagliato. E adesso il mio intero futuro oscilla su quella linea che io stesso ho creato.

Entrando nell’edificio e facendo le scale, mi ritrovo completamente senza fiato. Fortunatamente, nessun può sentire il fiatone che ho sotto il rumore tremendo delle mie scarpe sportive che sbattono sulla scala di metallo. Non c’è modo di entrare silenziosamente e senza essere visti sul retro della classe. Per quando apro la porta della classe, tutti si sono già girati a guardare. Ci sono circa cinquanta studenti, e una professoressa molto arrabbiata intenta a fissarmi.

«Scusatemi. Prego, continuate pure» dico, cercando allo stesso tempo di ritrovare il respiro e di non farmi soffocare dall’umiliazione.

Sedendomi sulla prima postazione libera che trovo, poggio la testa sul tavolo per riprendere velocemente respiro. Mi sento come in procinto di vomitare, ma faccio tutto il possibile per evitarlo.

Riprendendo il controllo di me stesso, alzo il viso e realizzo solo adesso di non aver preso la mia borsa dagli armadietti nello spogliatoio. Non ho né il mio computer, né un quadernetto nel quale prendere appunti. Non ho nulla. Mi ero ormai arreso alla consapevolezza di non poter frequentare questo corso. Ma sarebbe stato bello avere almeno qualcosa di fronte a me, così da non sembrare un completo idiota a cui non frega assolutamente nulla.

Prendendo il cellulare dalla mia tasca, comincio a pigiare con le dita su di esso, fingendo di prendere appunti. Non lo sto facendo solo perché non ho la più pallida idea di cosa la professoressa stia dicendo. Tutti quanti, qui dentro, però, sembrano saperne parlare. Hanno gli occhi fissati completamente su di lei, sulla donna di fronte a noi. Tutti stanno prestando attenzione.

Tutti… tranne una persona. E quando mi giro a guardarlo, resto senza fiato.

Quin è in questa classe, e ha gli occhi fissi su di me.

I nostri occhi si incontrano per la frazione di un secondo, ma poi lei distoglie subito lo sguardo.

Tutto dentro di me prende a vibrare. Riesco a sentire il mio respiro venire meno.

Solo vederla di nuovo, per un misero secondo, mi fa un effetto straordinario. Mi è stata data una seconda possibilità con lei. Non ho intenzione di perderla un’altra volta.

«E questo è quanto, per oggi. La prossima volta ci sarà un quiz che comprenderà domande su ciò di cui abbiamo parlato in queste ultime due settimane. Tenetevi pronti» dice la professoressa, spostando poi la sua attenzione su di me. «Mr. Rucker? Una parola, per favore.»

Non mi aspettavo di essere richiamato dalla professoressa. E il suo richiamo non è potuto capitare in un momento peggiore, perché Quin si trova seduta dall’altra parte della sala, e quella parte ha un’altra uscita. Non sta più guardando dalla mia parte, e questo significa che andrà via prima di poterle anche solo fare cenno di aspettarmi.

«Mr. Rucker» mi richiama la donna dai capelli grigi e i tratti asiatici.

Correndo velocemente tra le file di banchi e di persone, mi avvicino alla professoressa mentre lei cancella le scritte sulla lavagna. Si prende il suo tempo prima di girarsi a parlarmi, e l’attesa mi uccide dentro. Quando mi giro e vedo Quin sparire oltre la porta di servizio, il mio cuore sprofonda dentro il petto. Se n’è andata un’altra volta, ed io mi sento uno schifo.

«Arrivare cinque minuti prima della fine della lezione non è considerata presenza. Almeno, non nella mia classe.»

«Lo so. Sono terribilmente dispiaciuto del mio comportamento, professoressa. Sono corso subito qui a fine allenamento. Ma le prometto che non sarò più in ritardo alle sue lezioni.»

«Mi è stato detto che ti è necessario superare questo corso per poter partecipare alle partite della prossima stagione.»

«È vero, signora.»

«E allora ti conviene cominciare a prendere questa classe con un po’ più di serietà.»

«E le prometto che lo farò… a cominciare da oggi.»

«Se non hai voglia di partecipare a questo corso…»

«No, ho voglia di partecipare.»

«Perché?» mi chiede sinceramente.

«Perché è un argomento al quale sono molto interessato. Insegnare ai bambini è una delle cose che ho sempre voluto fare.»

«E che mi dici del football? Mi è sembrato di capire che hai una carriera in quel campo che è molto promettente.»

«Il football è una cosa nella quale sono molto bravo. È una sorta di dono. Ma non è…»

Non finisco la frase. Quello è un cassetto che non ho molta voglia di aprire in questo momento.

«Beh, se sei serio riguardo questa classe, allora dovrai metterti in pari. E le cose sono tante.»

«Me ne rendo conto, e sono disposto a lavorare sodo. Mi sto trovando un tutor.»

«Davvero?»

«Sì, signora. Infatti…» dico, avendo improvvisamente un’idea. «Potremmo parlarne la prossima lezione? Prometto che arriverò in orario.»

«Sarà meglio. Ricordati che partecipare è obbligatorio.»

«Tutto chiaro. Lavorerò sodo. Ci sarò. Lo prometto» dico, il rumore dei tacchetti sotto le mie scarpe sul tappeto mentre mi allontano, diretto verso la porta.

Nel momento in cui esco in corridoio, perlustro entrambe le direzioni alla ricerca di Quin. Lei non c’è più. Dove sarà andata così in fretta?

La maggior parte degli studenti va verso le scale dirette di sotto. Corro verso di loro, unendomi. Allungando il collo lungo la folla, non riesco a vederlo.

Sono quasi sul punto di giurare odio eterno verso me stesso per non essere uscito prima, quando vedo il dietro di qualcuno che può essere soltanto Quin, intenta a fare l’ultimo scalino per immettersi nel corridoio principale.

«Scusate. Scusatemi» dico, spingendomi contro tutti.

Riesco ad arrivare al piano di sotto in pochi secondi. Eppure, una volta lì, lei sembra sparito di nuovo.

Guardando all’interno di ogni classe mentre corro oltre esse, non riesco a trovarla. Sono sul punto di arrendermi, senza speranze, quando apro la porta dell’edificio e vedo la sua figura sexy intenta ad allontanarsi. Il calore si propaga per tutto il mio corpo. Mi sembra di essermi fatto improvvisamente caldo come un giorno d’estate, in un giorno di pioggia.

Correndo verso di lei, rallento il passo quando mi ritrovo a pochi centimetri.

Non posso perdere la testa solo perché sto per parlare un’altra volta con la ragazza più bella che io abbia mai visto in vita mia. Devo almeno fingere che baciarla non sia l’unica cosa che riesco ad avere in testa dal primo momento in cui ho posato gli occhi su di lei.

«Quin?» la chiamo, cercando di suonare più normale possibile.

Lei si ferma, e si gira verso di me. Non sembra così contenta di vedermi come sono contento io di rivedere lei. Mi porta a sentire un dolore proprio al centro del petto, ma mi forzo a mandarlo via.

«Ero sicuro fossi tu. Come stai? Sei andata a qualche altra grande festa dall’ultima volta che ti ho visto?» le chiedo, sorridendo.

Quando non risponde, le dico, «Sono Cage. Cage Rucker. Ci siamo incontrati alla festa dei Sigma Chi.»

«Sì, me lo ricordo» mi risponde lei, freddamente.

Ahi! Eccola di nuovo lì, la punta di dolore al centro del petto.

«Come sta Tasha? È il nome della tua ragazza, vero?»

«Tasha? Oh, sì. Lei sta bene. È tutto okay. Ahm… ho fatto qualcosa per farti incazzare? Se l’ho fatto, mi dispiace» le dico, provando disperatamente a far tornare quel meraviglioso sorriso sul suo viso.

Quin mi guarda negli occhi con frustrazione per qualche secondo. Poi sembra lasciarsi andare.

«No. Non hai fatto niente di male. Non fare caso a me. Sono solo stupida.»

«Tu? Stupida? Mi sembra difficile da credere» le dico con un sorriso.

Lei mi fissa un’altra volta. Quella volta sembra sia intenta a scrutarmi dentro l’anima.

«Perché hai detto una cosa del genere?»

«Non lo so… È solo che mi dai l’impressione di essere una molto intelligente.»

Il suo sguardo si addolcisce di colpo.

«Non sono intelligente riguardo niente di ciò che conta davvero» mi dice, prima di rimettersi in cammino.

Io la raggiungo.

«Secondo me non è vero. Anzi, sono abbastanza certo che tu sia molto ferrata in Introduzione all’Educazione Infantile. Scommetto che sei la prima del corso.»

Quin mi guarda dopo aver sentito le mie parole.

«Sei la prima del corso sul serio, non è vero?»

Quin si gira dall’altra parte.

«Che io sia dannato. Okay. Allora ciò che dirò dopo renderà la cosa meno imbarazzante. Pare che io abbia bisogno di andare bene in questo corso per poter essere considerato per giocare durante la prossima stagione, e anche nell’NFL. E, visto che non ho avuto la possibilità di partecipare alle lezioni fino ad ora, sono un po’ indietro. Avrei bisogno di un tutor. Il programma di football è disposto a pagarti per il tuo tempo.»

«Non ti posso fare da tutor» mi dice lei velocemente.

«Perché no?»

«Semplicemente non posso. Mi dispiace.»

«Okay, aspetta. Che ne dici se ti faccio una proposta?»

«Che genere di proposta?»

«Quando eravamo alla festa mi hai detto che non sei molto brava a socializzare con la gente, il che per me, a dirti la verità, non ha proprio senso, perché mi sembri perfettamente a tuo agio con la cosa.»

«Sembro a mio agio soltanto perché…»

«Perché?» presso, sperando dica che sia a causa mia.

«Niente.»

«Beh, d’accordo, però se dovessi essere interessata a farmi da tutor su ciò in cui sei brava, io posso ricambiare il favore facendoti da tutor su ciò in cui, invece, sono bravo io.»

«Intendi essere una stella del football di cui tutti vogliono avere un pezzo?»

«Prima cosa, ahi. Seconda cosa, c’è molto più in me del football.»

«Lo so. Scusami. Vedi? Non sono brava in queste cose!» esclama Quin.

Afferro la sua mano con tutta la casualità che riesco ad evocare. Provo a fingere che questo sia semplicemente il modo in cui mi capita di comportarmi con la gente, ma la verità è che morivo dalla voglia di farlo dal primo istante.

«Tu sei brava in queste cose. O almeno, lo puoi essere. Permettimi di aiutarti. So di poterti aiutare. E, una volta finito, sarai come la star del football di cui tutti voglio un pezzo, come me» gli dico con un sorrisetto.

Quin ride. Io mi sento la pelle andare a fuoco, il corpo fremere così tanto che per poco non ho paura di vedere tutti i denti cadermi via.

«Quindi, che cosa ne dici?»

Quin lascia andare la mia mano, scostando la sua. Non prova a fingere che non lo stia facendo, anzi, me lo rende chiaro. Credo sia il suo modo di mettere dei paletti. Va bene così, posso rispettarlo.

«Okay» mi dice allora, sorridendo.

«Okay?» ripeto, sciogliendomi dentro i suoi occhi.

«Okay» conferma, mandandomi in estasi.

«Ho sentito che c’è un quiz tra qualche giorno.»

«È fra due giorni, e riguarda il materiale fatto nelle ultime due settimane.»

«Sembra tanta roba.»

«Lo è» mi conferma lei.

«Sembra che i tuoi servigi da tutor, allora, debbano cominciare subito» suggerisco, sperando di poter passare ogni singolo momento con lei.

«Che ne dici di stasera? Organizzo un piano per la lezione e ci muoveremo da lì.»

«Un piano per la lezione? Non scherzi, tu, eh?»

«No, non scherzo. E non puoi farlo neanche tu, se vuoi passare il test.»

«Non ho voglia di scherzare.»

Quin sembra esitare. «E non hai nessun appuntamento con la tua ragazza o qualcosa del genere, vero?»

Il ricordo di Tasha mi arriva come un secchio d’acqua ghiacciata addosso, e riesce a rovinare l’eccitazione che provo al pensiero di passare la notte con Quin. Il mio sorriso viene meno.

«Se anche avessi qualcosa in programma, la cancellerei. Passare il corso e giocare a football sono le cose più importanti. Lei capirebbe.»

«Okay. Allora ci vediamo stasera.»

«Ci scambiamo i numeri?» le chiedo, non volendo perdere quell’opportunità un’altra volta.

«Sì. Dammi il tuo telefono.»

Glielo porgo, e lei ci pigia sopra. Un secondo dopo sento il telefono dentro la sua tasca suonare.

«Sai dove alloggio. Ti scriverò dopo per dirti l’orario e il numero della mia stanza» mi dice lui, con aria professionale.

«Quindi lo faremo da te?»

«A meno che tu non conosca un posto migliore. Immagino che forse potremmo andare in biblioteca, ma non sono certa che ci permetteranno di parlare liberamente.»

«No, la tua stanza andrà benissimo. Non vedo l’ora.»

«Non vedi l’ora di metterti a studiare?» mi chiede, ricordandomi implicitamente che questo non è un appuntamento.

«Certo che sì. Introduzione all’Educazione Infantile è ciò per cui vivo. Puoi chiedere in giro, ti daranno conferma.»

Quin ride. Mi si scioglie il cuore a quel suono meraviglioso.

«Ci vediamo dopo allora, Fossette» mi dice con un sorriso, prima di girarsi e andare via.

Dio santo, quanto sono nei guai.

 

 

Capitolo 3

Quin

 

Ci vediamo dopo, Fossette? L’ho detto davvero? Ma che diavolo mi è passato per la testa? Perché diamine ho accettato tutto questo?

Non c’è modo in cui io riesca a resistergli. Quando mi guarda, mi fa sentire come fossi l’unica persona che esiste in questo mondo. Il tempo sembra fermarsi, quando parlo con lui. Come farò a resistere da sola, con lui, abbastanza da fargli passare il corso?

Avrei dovuto continuare a rifiutarmi di aiutarlo. Ma la sua offerta mi è sembrata così grandiosa. Sono venuta al college per un solo motivo, e non è uno accademico. Sono venuta per imparare cose che non si possono imparare tramite i libri. Tutto ciò che avviene durante le conversazioni, durante le interazioni sociali.

Per me, la vita sarebbe molto più semplice se la gente imparasse a dire sempre e in maniera chiara tutto ciò che pensa. Ma lo capisco, non è così che funziona. Ci si arriva attraverso una danza, della quale io però non conosco i passi. E sono qui per impararli.

Non potevo chiedere un insegnante di ballo migliore di Cage, però. Quello che mi offre è esattamente ciò per cui sono venuta al college. Come avrei potuto rifiutare quell’offerta d’aiuto?

Devo solo continuare a ripetermi costantemente che lui ha una ragazza, e che non importa ciò che il mio cuore pensa stia succedendo, è tutto solo nella mia testa. Lui non potrebbe mai essere interessato a me. La nostra è un’unione di convenienza. Ecco tutto. Una volta preso da entrambi ciò che entrambi vogliamo, le nostre strade si separeranno.

Un’ondata di dolore si fa strada nel mio corpo al solo pensiero.

È stata chiaramente una brutta idea, accettare l’offerta. Non c’è modo in cui io possa sopravvivere a questa situazione.

Solo che adesso è troppo tardi per tirarmi indietro. E, devo ammettere, non posso fare a meno di fremere all’idea di vederlo di nuovo.

«Lou, non puoi restare in camera stasera» dico alla mia compagna di stanza nel momento in cui apro la porta.

«Pecorella, te l’ho detto, se hai intenzione di fare cose con qualcuno dentro questa stanza, ti basta mettere sulla maniglia una calzetta ed io non entrerò nemmeno.»

«Che tipo di calzetta?»

Lou mi guarda scioccata. «Che hai detto?»

«Tipo… dovrebbe essere una calzetta da ginnastica, oppure una di quelle che arrivano alla caviglia? Perché, onestamente, la calzetta che arriva alla caviglia resterebbe ferma sulla maniglia molto meglio dell’altra.»

«Aspetta. Aspetta! Ma di che stiamo parlando? Hai intenzione di portare un uomo qui dentro stanotte? O… [sospiro] una donna?»

«Verrà Cage qui, stasera.»

La bocca di Lou si spalanca di colpo. «Il ragazzo con cui l’altra volta una Quin molto piagnucolona si è fatta una foto?»

«Sì. Ma verrà qui solo per studiare. Gli faccio da tutor per il corso che frequentiamo insieme.»

«Frequentate un corso insieme! E me lo dici solo ora?»

«L’ho scoperto solo ora. È la prima volta che si presenta a lezione. E aveva addosso il suo completo da football» le dico, un sorrisetto a farsi largo sul mio viso.

«Intendi quelli molto, molto stretti che indossano i giocatori.»

«Ah-ah» confermo, sentendo le mie guance andare subito a fuoco.

«Oh! Non sta venendo qui solo per studiare. Non è vero?»

«No, sta venendo solo per quello» le dico, riportando anche me di nuovo sul pianeta Terra. Di nuovo alla realtà. «Ha bisogno di passare il corso per potersi garantire un posto nella squadra per la prossima stagione, e mi ha chiesto di fargli da tutor.»

«Quindi… hai tra le tue mani irresistibili la sua preziosissima vita, è questo che mi stai dicendo?»

Guardo giù verso le mie mani, chiedendomi come facciano delle semplici mani a poter essere considerate irresistibili.

«Voglio dire, non proprio. Però un po’.»

«Oh mio Dio. Stanotte succederà qualcosa di certo, tra voi due.»

«Invece no. Ha ancora una ragazza. Non è cambiato niente.»

«Magari vuole che ti aggiungi ai due durante i loro momenti intimi.»

«Ah, no.»

«Quindi mi sa che dobbiamo fare lasciare la coppia, eh?» mi chiede Lou, con quel suo sorrisetto malizioso e da diavolo, e una luce brillante negli occhi.

«No! Non farò neanche quello. Se lei è la persona con cui lui vuole stare, allora… bene. Mi sta bene.»

«Quanto ha fatto male dirlo ad alta voce?»

«Tantissimo. Ma deve essere così. Deve essere vero. Non voglio stare con qualcuno che non vuole stare con me.»

«Sei un persona migliore di quanto potrò mai esserlo io, cara Quin» mi dice Lou, arrendendosi.

«Non so dirti se sono migliore, ma di certo sono molto più sola.»

«Ah!» sospira Lou, alzandosi e abbracciandomi. Con le sue braccia ancora strette a me, dice, «Questo ragazzo ti spezzerà completamente, non è così?»

«Probabilmente sì.»

«Non preoccuparti. Io sarò qui a raccogliere tutti i tuoi cocci e a rimetterli insieme, piccola pecorella. Ci sarò sempre.»

«A meno che tu non abbia un bell’appuntamento?»

«A meno che io non abbia un bell’appuntamento. Ma oltre quelle occasioni, ci sarò sempre» mi dice, allontanandosi da me per scoccarmi un sorriso di conforto.

 

 

Capitolo 4

Cage

 

Ce la posso fare. Posso passare un po’ di tempo con Quin, senza innamorarmi completamente di lei, senza rovinare tutta la mia vita solo per stare con lei. Ce la posso fare. Certo che posso. Anche se, più si avvicina il momento del nostro incontro, e più mi sembra chiaro che non avrò assolutamente nessuna voce in capitolo su ciò che capiterà questa sera.

Com’è possibile che qualcun altronon abbia ancora visto quanto è irresistibile e se la sia presa? Non riesco a capirlo. Quella ragazza è meraviglioso, e incredibilmente adorabile. Potrei passare il tempo ad affondare le mie dita tra quei ciuffi ondulati e scuri, fino a perderci la testa.

E, oh, i suoi occhi… Non voglio neanche cominciare a parlare dei suoi occhi. Quei due pozzi vulnerabili e meravigliosi. Solo pensarci me lo fa venire incredibilmente duro. Come fa ad avere quest’effetto su di me?

È come se… cos’è quella cosa che gli animali rilasciano per attirare il proprio compagno? Feromoni? È come se fosse in grado di rilasciare feromoni che mi richiamano a lei, ed io non ho assolutamente nessun potere contro di lei. Nessun modo di resisterle.

Non avrei dovuto chiederle di farmi da tutor. È stata una pessima idea. Lei era l’ultima persona a cui avrei dovuto chiedere. Come farò a concentrarmi sull’argomento, con lei così vicino a me? È stato un grandissimo errore. Eppure non riesco ad aspettare che arrivi l’ora di andare da lei.

Per la prima volta nella mia vita, mi rendo conto di quanto lento a volte sia in grado di passare, il tempo.

Aspetto al Common che si faccia l’ora di andare da Quin, invece di tornare a casa solo per poi tornare indietro. Stare da Tasha poteva essere una soluzione, visto che le loro camere sono nello stesso edificio, lei solo un piano sopra Quin. Ma ovviamente lei è con Vi, in questo momento.

Quelle due sono inseparabili. Volendo essere onesti e sinceri, c’era d’aspettarselo che lei chiedesse a Vi di unirsi a noi a letto. Fanno tutto insieme. Perché non aggiungerci anche il sesso?

Quando l’attesa infinita arriva alla fine, mi affretto a dirigermi verso i dormitori. Entro dentro proprio quando qualcuno esce, lasciandomi la porta aperta, e corro verso le scale a due a due fino a quando non mi ritrovo davanti la sua porta, bussando con le nocche. Sento del rumore all’interno prima che una voce a me sconosciuta dica «Voglio solo vedere!» e la porta si apre.

«Ciao» dico alla ragazza dallo stile punk proprio di fronte a me.

«Lou, piacere di conoscerti» mi dice lei, senza offrirmi la mano né invitandomi ad entrare.

«Mh, Cage.»

«La star del football?» mi chiede con un sorriso.

«Immagino di sì. Quin è qui?»

«Sì, è dentro. E che intenzioni avresti con la mia amica, tu?»

«Lou!» urla Quin dietro di lei. Si fa largo oltre la sua amica, mettendo il suo corpo tra lei e me. E poi dice, «Scusami per questa domanda. Lou se ne stava andando.»

Il suo corpo è così vicino al mio.

«Va tutto bene. Lou, mi piacerebbe conoscerti meglio e magari uscire a divertirci tutti e tre insieme, ma purtroppo abbiamo due settimane di lezioni da recuperare. A meno che Quin non pensi che potremmo fare entrambe le cose»

«No, non possiamo, e Lou stava per andare via. Ciao, Lou.»

«Bacini» dice Lou, spingendosi oltre me e permettendo a Quin di invitarmi finalmente ad entrare.

«Scusami per questa scenetta. Lou ha buone intenzioni, davvero.»

«È una bella cosa, avere un’amica che ti guardi le spalle.»

«Sì, è vero. Quindi, beh… benvenuto nella mia stanza.»

Mi guardo intorno. «È così che vive chi se la passa bene?»

«Che intendi?»

«I dormitori del Plaza sono parecchio lussuosi rispetto agli altri.»

«La tua ragazza non ha una stanza qui?»

«Sì, ma questo non rende meno impressionante vederne un’altra. E poi, lei ha due coinquiline e deve condividere il suo letto con un’altra persona. La tua stanza è decorata meglio di casa mia.»

«Vivi nella casa della confraternita?»

«No, non sono un membro. Lo so, è impensabile per un giocatore di football non fare parte della Sigma Chi. Ma la vita da confraternita è un po’ oltre ciò che posso permettermi.»

«E dove vivi?» mi chiede Quin, spingendomi con leggerezza verso il divano nel salotto.

«A casa, con mio padre.»

«Non tua madre?» continua a chiedermi, prendendo libri e quaderni dalla sua scrivania.

«Mia mamma è morta quando sono nato.»

Quin sembra farsi di ghiaccio. «Mi dispiace tanto.»

«Nah, non ti preoccupare. È successo tanto tempo fa.»

«Quindi sei sempre stato con tuo padre.»

«Sì. La maggior parte delle volte, sono sempre stato solo con me.»

«Che intendi?»

«Niente, niente. Dovremmo cominciare a studiare. Ho l’impressione che ci vorrà un bel po’ per recuperare tutto» dico, cambiando argomento.

Per quanto non abbia mai conosciuto mia madre, e perciò la sua perdita non è dolorosa per me, l’argomento in generale è sempre stato doloroso. Principalmente per mio padre. Perché non ha mai detto nulla a riguardo, ma sono certo che perdere la mamma lo abbia ferito più di quanto sia possibile esprimere a parole. O almeno, così ho sempre pensato.

Quin comincia mostrandomi la mappa più sistemata e organizzata che io abbia mai visto in vita mia.

«Questo è tutto ciò che avremo bisogno di farti sapere prima di giovedì» mi dice, mettendosi subito a lavoro.

La sua serietà riesce quasi a distrarmi dal suo ginocchio così vicino al mio, piegato per tenere fermo il suo quaderno. O il brivido che sento quando d’improvviso si piega verso di me per puntare con il dito qualcosa dall’altra parte della pagina, l’odore dolce del suo bagnoschiuma così buono da farmelo venire duro sempre di più. Spostarmi indietro è tutto ciò che posso fare per provare a nascondere la mia erezione.

«Continui a piegarti indietro. Ti fa male la schiena?»

«Eh? Sì. Sì, è per questo che continuo a piegarmi indietro, perché ho bisogno di tenere la schiena dritta. Sai com’è, gli allenamenti e tutto.»

«Se vuoi possiamo spostarci sul tavolo della sala da pranzo. Le sedie sono più confortevoli, immagino» mi dice lei con dolcezza.

«Sì, forse sarebbe meglio.»

Sto quasi per alzarmi, quando mi ricordo del rigonfiamento in mezzo alle mie gambe che di certo non sarò in grado di nascondere una volta in piedi.

«Uhm… magari tra un secondo.»

«Ti fa davvero male la schiena, eh?»

«Sì, fa proprio malissimo

«Mi dispiace… avresti dovuto dirmelo subito. Okay, forse suonerà strano, ma posso farti un massaggio se ti va. Ho imparato a farli qualche anno fa. Non ho avuto molte opportunità di fare pratica su qualcuno, però sono parecchio brava.»

«Ehm…»

«Scusami, è stata una domanda strana? È strano chiederti se ti va di avere un massaggio, non è vero?» Quin trema di fronte ai miei occhi.

«No! Non è per niente strano. Mi piacerebbe tantissimo averne uno. Aiuterebbe moltissimo la mia… schiena.»

«Sicuro?»

«Non sai quanto» le dico con un sorriso.

«Okay. Allora…» Quin si guarda un attimo intorno. «Sul mio letto sarebbe sicuramente meglio del divano, altrimenti avrebbe poco effetto.»

Non c’è modo che io riesca ad alzarmi, adesso meno di prima.

«Penso che il divano vada bene.»

«Okay.»

Quin si alza, e comincia a scrocchiarsi le dita per prepararsi.

«Togliti i vestiti, almeno per quanto tu ti senta a tuo agio nel farlo, e poi distenditi a pancia sotto.»

Il calore si propaga immediatamente sulle mie guance. Mi ha davvero appena chiesto di spogliarmi per quanto mi senta a mio agio? L’idea di farmi vedere nudo da lei me lo fa diventare così duro da far male. Solo Dio può prevedere cosa succederebbe se mi togliessi i pantaloni e restassi in mutande con lei dietro di me, quindi non lo faccio. Ma posso almeno liberarmi della maglietta.

Togliendomela lentamente, getto uno sguardo su Quin. Il modo in cui sta guardando ogni mio singolo movimento in questo momento, i suoi occhi a percorrere ogni centimetro di pelle che vado scoprendo, mi fa sentire milioni di cose dentro. Dovrò convincere la mia testa a pensare al football e a nient’altro, perché non so come altro fermarmi dal venire nei pantaloni nel momento in cui mi metterà le mani addosso. Però ne vale la pena. Perché ho bisogno delle sue mani addosso. E quando alla fine mi distendo e lei si mette su di me, mi sento di essere arrivato in paradiso.

Con lei intenta a sciogliermi i muscoli, e le sue mani ad accarezzare la mia pelle, ben presto mi perdo completamente. Dio, che bella sensazione. È addirittura meglio del sesso; o almeno, del sesso che fino ad adesso ho conosciuto io. Così tanto che non mi ci vuole molto, prima di sentire il pizzicore tipico stringersi nei miei testicoli, pronto ad andare su.

Oh Dio, sto per venire.

«Ho bisogno di andare in bagno!» dico, gettando la ragazza sopra di me sul divano mentre mi alzo.

Per mia fortuna so dov’è, perché la porta è aperta. Mi precipito lì, chiudendo subito la porta a chiave, e a malapena riesco a liberarmi dei pantaloni prima di esplodere in un orgasmo.

Gemo, cercando con tutte le mie forze di non urlare di piacere. Riesco a catturare quasi tutto lo sperma sul mio palmo piuttosto che sporcare tutto quanto intorno a me. Ma con l’orgasmo arriva il capogiro da testa completamente svuotata, e ad un tratto mi sento cadere a terra.

Prima di rendermene conto, il mio culo colpisce il pavimento con un tonfo. 

 

 

Capitolo 5

Quin

 

«Va tutto bene lì dentro?» chiedo, sentendo quello che sembra il bastone per gli asciugamani rompersi e poi qualcuno cadere a terra.

«Sto bene!» urla Cage di rimando. «Però penso che si sia rotto qualcosa. Scusami.»

«Non ti preoccupare, qualsiasi cosa sia. Sei sicuro di stare bene?»

«Sì, benone. Ho solo bisogno di un momento.»

L’ho fatto spaventare, mettendomi su di lui. Lo so che l’ho fatto.. Per questo deve essersi alzato dal divano gettandomici sopra in quel modo, diretto verso il bagno con una velocità tale che mi è sembrato quasi che qualcosa fosse andato a fuoco.

Perché mai ho pensato che sarebbe stata una buona idea offrirgli un massaggio? Quanto è stato strano? Ho rovinato tutto.

Però lui mi ha detto che gli faceva male la schiena, e l’offerta mi è scivolata fuori dalle labbra immediatamente, senza neanche pensarci. Se a qualcuno fa male la schiena, a te viene in mente di offrirgli un massaggio per dargli un po’ di sollievo, giusto?

Argh! Non lo so! Non so più niente. Perché faccio così schifo in queste cose?

«Sei sicuro di non aver bisogno di una mano, lì dentro?»

«Ho tutto sotto controllo» mi dice Cage prima di azionare l’acqua del rubinetto. Dopo qualche secondo torna fuori.

Dio, se è bello, fermo lì di fronte la porta del bagno con solo i pantaloni addosso. Quelle spalle muscolose e piene, quei pettorali spessi, quegli addominali. Come fa ad averceli senza flettere i muscoli? È semplicemente fermo lì. Come?

Mi fissa con gli occhi da cucciolo più belli che io abbia mai visto, e poi dice, «Scusami per il casino.»

«No, scusami tu» dico io, sentendomi come se avessi appena superato un limite che non mi ero accorto fosse stato tracciato.

«E perché dovresti scusarti?» mi chiede, come se non lo sapesse.

«Lo sai, perché…»

«Perché eri disposto a farmi da tutor in una materia che mi serve per poter andare avanti nella vita in qualche modo, ed io ho reso le cose strane?»

«Tu le hai rese strane? Sono io la regina delle situazioni normali che però vengono rese strane.»

«Forse sei la regina di qualcosa, ma non di questo. Senti, perché non ci rimettiamo a lavoro?»

«E la tua schiena?»

«Sta molto meglio adesso, grazie» mi dice, prendendo la maglietta e rimettendosela addosso. «Il massaggio ha aiutato, davvero. Ora posso concentrarmi. Sono un po’ assonato, ma posso concentrarmi.»

Prendiamo a lavorare da dove avevamo interrotto, e riusciamo a fare un bel po’ per quando Lou alla fine ritorna in camera.

«Ancora qui? Voi due non vi stancate mai di andare, ancora e ancora, eh?» chiede lei quando entra in camera, scherzosa.

Lo sta mettendo chiaramente a disagio.

«Sì, dovrei andare» dice infatti Cage.

«Non farti condizionare da me» continua Lou. «Non riuscirai neanche a capire che sono qui.»

«Oppure possiamo andare nella mia stanza» suggerisco io.

«No!» dice Cage, tutto d’un fiato. «Voglio dire, forse è meglio ritornarci domani. Abbiamo fatto tante cose oggi, e mi sa che mi serve una pausa per farle restare ben ferme nella mia memoria» dice, muovendo un dito a cerchio di fronte la sua testa.

«Oh, sì. Immagino tu abbia ragione. Dormire aiuta ad incanalare le informazioni. Domani, allora. Se vuoi cominciare prima, la mia ultima lezione finisce alle quattro.»

«Mi sembra perfetto. Che ne dici se ci incontriamo in biblioteca, domani? Così non disturbiamo Lou.»

«Oh, non dovete preoccuparvi di me. Potete farlo un po’ dove vi pare» dice, ferma a fissarci.

«Sì, beh, non c’è problema a studiare qui» continuo io.

Cage prova a trovare le parole. «Io credo che la biblioteca sia meglio. Voglio dire, se per te va bene.»

Sento il bruciore all’altezza del petto al pensiero di essere riuscita a rovinare le cose con lui così velocemente che Cage adesso non vuole più neanche pensare all’eventualità di rimettere piede dentro la mia stanza, ma lo capisco.

«No, va… va bene la biblioteca. Ci occuperemo di tutto il resto, quindi ti conviene portarti qualcosa da mangiare.»

Lou aggiunge, «Sembra che sarà una sessione lunga e dura. Proprio come piacciono a te, eh, Quin? Molto lunga… se sai cosa inten—»

«Okay, io me ne vado. Ci sentiamo per messaggio!» dice velocemente Cage prima di scappare via.

Io mi giro a guardare Lou, incazzata. «Sessione dura e lunga? Che cazzo fai, Lou?»

«Molto lunga» continua lei, come se non avessi detto nulla, e fa un sorrisetto.

«Che cazzo era quella sceneggiata, Lou?»

«Non hai visto quello che ho visto io quando si è alzato, vero?»

«Quando si è alzato? Che cosa hai visto?»

Lou mi guarda sorridendo. «Hai detto che ha una fidanzata?»

«Sì, Lou, ha una fidanzata!»

«Molto interessante» mi dice, continuando a ridacchiare come se sapesse tutto ed io, invece, niente. «Molto… molto interessante» continua, prima di entrare nella sua stanza e non uscirne più.

Non riesco a dormire molto, quella notte. Se non sono impegnata a pensare a ciò che Lou pensa di aver visto che io invece non ho visto, penso invece a quanto ho reso le cose strane con Cage. Oppure a quanto mi piacerebbe rivedere il suo corpo, completamente nudo questa volta.

Mi sono cacciata in un casino. Quel ragazzo mi fa troppe cose strane. È la terza volta che lo vedo, e non riesco a togliermelo dalla testa.

Perché deve avere una ragazza? E perché deve essere così perfetto? E perché deve avere tutte quelle fossette, Dio santo?

Qualcuno mi spieghi il perché di tutte quelle adorabili fossette se non le posso neanche toccare!

 

Il giorno dopo, in biblioteca, le cose vanno in maniera meno strana della sera precedente. Per la maggior parte del tempo non facciamo altro che studiare, e l’unico momento in cui ci fermiamo è per cenare.

«Ho portato un toast in più per te, se lo vuoi» gli dico, prendendo il cibo dalla mia tracolla.

«Hai portato qualcosa per me?» mi chiede, più sorpreso di quanto potessi immaginare.

«Sì. Lo vuoi? Ho pensato che, tra le lezioni e gli allenamenti e tutto, magari ti saresti dimenticato di portarti qualcosa da mangiare.»

«Wow… non sono abituato a qualcuno che si prenda la briga di ricordarsi di me.»

«Cosa? Dai. Sei un giocatore di football famoso, una leggenda. Sarai circondato da gente che fa le cose per te tutto il tempo.»

«Non è la stessa cosa» mi dice, prendendo il toast. «Grazie, comunque. E, per spiegare meglio ciò che ho detto… c’è una differenza tra il vedere la gente fare cose per te solo perché anche loro riceveranno qualcosa in cambio, e il vedere qualcuno fare qualcosa per te per la semplice voglia di fare qualcosa di gentile.»

«Sì, lo capisco. Ci sono un sacco di persone che ti vedono soltanto come un mezzo per arrivare a dove vogliono arrivare. Sei solo un oggetto, per loro. Così tanto che si dimenticano che anche tu hai dei sentimenti. E magari ciò che desideri per te stesso non è esattamente ciò che loro pensano sia giusto per te.»

«Wow… sì, esatto» mi dice, fissandomi con un’intensità tale da farmi sentire in procinto di sciogliermi.

«Che c’è?» gli chiedo, quando i suoi occhi nei miei si fanno troppo intensi.

«Come fai a conoscere questa sensazione così bene?»

Che cosa dovrei rispondergli?

Mi piace Cage. Mi piace tantissimo, forse più di quanto mi sia concesso.

Non voglio farlo scappare via. Non ancora, almeno.

E poi, ho scelto una scuola nel bel mezzo del nulla esattamente per questo. Venire qui era la mia unica opportunità per farmi un’identità mia senza essere circondata da gente che già mi conosce. Voglio essere vista come una ragazza normale, per una volta. È così tanto sbagliato? Non riesco a decidere.

«Immagino sia così»

«Immagini? Sei proprio intelligente allora, eh? Più di quanto tu voglia far credere» mi dice Cage con un altro dei suoi affascinanti sorrisi..

Stringo le spalle. Cosa dovrei rispondergli? Per fortuna, lascia cadere l’argomento prima che possa decidere.

Finiamo di mangiare e poi torniamo a lavoro. Per mezzanotte riusciamo a finire tutto.

«Quindi… questo è tutto ciò che abbiamo fatto?» mi chiede Cage.

«Tutto ciò che ti serve per il quiz di domani. Pensi di riuscirci?»

«Sei una brava tutor. Se non riuscirò a fare qualcosa, di certo non sarà colpa tua. Comunque, ho parlato con il mio coach. Mi ha detto che devi metterti in contatto con il suo ufficio per essere pagata.»

«Oh. Ehm… non ti preoccupare» gli dico.

«Hai fatto tanto per aiutarmi, Quin. Non sarei riuscito a capirci nulla senza di te, neanche se fosse stata la professoressa a spiegarmelo. Ti meriti i soldi per quello che hai fatto.»

«Okay» gli dico, lasciando cadere il discorso.

Cage mi guarda in maniera strana, e non riesco a capire a cosa stia pensando.

«Okay, visto che non ti vedo particolarmente entusiasta all’idea di farti pagare, che ne dici dell’altra cosa che ti avevo promesso?»

«Oh, giusto, le lezioni su “Come Non Essere Più Stramba”

Cage ride. «Nah, non credo c’entri l’essere strambi. Però stavo pensando di portarti a giocare ad un tipo diverso di football, al parco.»

«Quando non ti alleni o non hai partite di football, passi il tempo libero a giocare a football? Deve piacerti davvero tanto giocare.»

Cage mi sorride mesto. «È ciò che si pensa.»

«Quindi, Signor Esperto, dimmi. Come farà una partita diversa di football al parco ad aiutarmi a non farmi sentire come una completa imbranata alle feste?»

Cage si fa serio. «Ci ho pensato molto a questa cosa. La ragione per cui mi sento così a mio agio in situazioni che richiedono una certa socialità è perché so che, a prescindere da ciò che succederà, io riuscirò a cavarmela. E so che se dico o faccio qualcosa di stupido—e succede molto spesso—andrà tutto bene, in ogni caso. Il mondo non scoppierà per una parola stupida che dico. Non verrò esiliato nel bel mezzo del deserto per tutta la mia vita, da solo. La mia stessa vita continuerà ad andare avanti come se niente fosse successo, la maggior parte delle volte.

«E sono arrivato alla conclusione che sono in questo modo perché ho vissuto situazioni normali e non, in questi anni, e sono riuscito a farmi strada in entrambi i casi. E ho capito che anche tu hai bisogno di ritrovarti in queste situazioni. Hai bisogno delle tue opportunità di farti strada attraverso esse.

«E poi, quando prenderai familiarità con le varie situazioni, e quando capirai che riuscirai senza problemi a superarle, a prescindere da ciò che fai o dici…» alza la mano in aria, «in quel momento, il mio lavoro sarà concluso.»

Guardo Cage completamente persa nelle sue parole.

«È… è un pensiero molto geniale. Hai proprio ragione. Sentirsi a proprio agio all’interno della società è una condizione a cui si arriva con l’esperienza. Quando c’è familiarità, c’è sensazione di comfort. Quindi la soluzione sta nel trovarsi in situazioni di disagio e far uscire da esse del comfort. Non ci sarei mai arrivata da sola.»