LA MUSA

Capitolo 1

Cara

 

Cara non aveva neanche finito il suo rum e cola quando l’hostess venne per prenderselo.

«Signora, stiamo per atterrare. Potrei prendere il bicchiere?»

«Certo che non può. Non vede che ne ho ancora un po’?» rispose lei.

«Ma, signora, stiamo per atterrare. È necessario che il suo piccolo tavolino e il suo sedile siano in posizione eretta e dobbiamo prendere tutti gli oggetti che vi abbiamo dato. Sono le regole» ribatté l’hostess, un sorriso forzato sul viso.

Cara, che sentiva già gli effetti dei due drink precedenti, decise che non era colpa della povera hostess. «E va bene» concesse, poi si scolò ciò che restava dentro il suo bicchiere di vetro. «Ma se va a finire che la mia sbronza atterra male, sarò costretta a darle la colpa» disse, puntandole contro il dito prima di passarle il bicchiere.

L’hostess si limitò ad offrirle un altro sorriso forzato, prendere il bicchiere e andare via. Cara la guardò allontanarsi. Non riusciva proprio a capire per quale motivo le compagnie aeree dessero la possibilità di bere alcolici, se poi non ti permettevano neanche di goderteli come si deve.

Che cosa pensavano? Che avrebbe rovesciato il contenuto del bicchiere per terra durante l’atterraggio? Chiunque avesse anche potuto pensarlo, chiaramente non la conosceva. L’alcol era qualcosa di sacro, per Cara. Avrebbe prima perso la sua più cara amica, che anche solo un sorso di un buon drink. A dire il vero, l’alcol era probabilmente il suo più grande amico. E lavorando come distributrice di birra, di migliori amici ne aveva protetti tanti.

Spostando l’attenzione dall’hostess, Cara guardò fuori dalla finestra. L’acqua sotto di lei era da togliere il fiato; il blu era così bello, così chiaro che quasi le sembrò di poter vedere il fondale marino. Era bellissimo. Non aveva mai visto qualcosa di così bello in vita sua.

Da quando era entrata su quell’aereo si era chiesta se ne fosse valsa la pena, litigare con suo fratello per vincere il diritto di fare quel viaggio d’affari alle Bahamas al suo posto. Ma, dopo aver gettato             quell’occhiata fuori dal finestrino, la risposta era chiara: diamine, sì, che ne era valsa la pena! E poi, al contrario di ciò che tutta la sua famiglia sembrava pensare, quel viaggio per lei era tutto lavoro.

Okay… forse non proprio tutto. Forse non aveva deciso di partire soltanto per lavoro. Ma era abbastanza per lavoro da poter giustificare quel viaggio.

Il suo piano era quello di provare a vendere la birra di produzione della sua famiglia nella nuova costruzione di hotel di Nassau. La campagna di marketing per l’hotel diceva che l’albergo avrebbe avuto ben quaranta-due ristoranti e bar, più drink gratis per chi andava a giocare al casinò. La birra della sua famiglia si trovava in quel momento soltanto in qualche bar locale della sua città. Ma riuscire a chiudere un contratto con quella compagnia alberghiera avrebbe significato duplicare l’entrata della birreria. L’idea era così folle, per tutti gli altri, che la sua famiglia semplicemente aveva deciso che Cara aveva soltanto voglia di farsi una vacanza a spese dell’impresa familiare.

Ed era quella una bugia? Non esattamente. Cara sapeva che era un sogno grandissimo, quello di riuscire a chiudere un contratto con quel resort. Ma non era impossibile. Perché niente è impossibile. Perché non avrebbe dovuto almeno provarci, allora, anche a spese della compagnia? Del resto, era lei quella a capo delle vendite, non era forse così? Quindi, se un viaggio in un resort lussurioso durante l’alta stagione non faceva parte del suo lavoro, allora Cara non aveva idea di cosa dovesse farne parte.

Quando la pista d’atterraggio si fece visibile, Cara si strinse forte su se stessa. Non fu che quando le ruote toccarono terra che lei si rese conto quanto davvero fossero stati forti quei drink che aveva bevuto. Non si erano trattenuti con il rum. Era una cosa che lei apprezzava, perché significava che sarebbe andata avanti per la sua giornata con quella sensazione di leggerezza dovuta all’alcol che non guastava mai.

Alzarsi dal sedile era tutt’altra storia, però. Perché, anche se l’aereo aveva tecnicamente smesso di muoversi, per lei sembrava non averlo fatto. Il problema stava adesso nel prendere la valigia dal comparto sopra la sua testa, il tutto provando a nascondere quanto davvero brilla fosse.

E lei non ne era imbarazzata da quella che avrebbe chiamato il suo “pre-vacanza”, davvero. Anzi, non si sarebbe fatta alcun problema, se non fosse stato per la bambina di dieci anni che la guardava con quegli occhi che sembravano dirle “Sì, ti sto giudicando”. E, che Dio potesse essere suo testimone, non le avrebbe assolutamente dato la possibilità di vederla cadere.

Mettendosi dritta e in piedi, si girò a guardare la bambina intenta a giudicarla, gli occhi di lei fissi nei suoi, e quando si assicurò che non c’erano genitori o adulti che potessero vederla, le fece la linguaccia e una smorfia. La bambina la guardò con espressione scioccata e, stizzita, strinse le braccia al petto. Cara sorrise, sapendo di aver vinto. Non era la prima volta che riusciva ad avere la meglio con i bambini della sua età, e non era certa che sarebbe stata l’ultima.

Sicura di essersi tolta gli occhi della bambina tutta casa e chiesa di dosso, Cara ritornò al suo principale obiettivo: lo scomparto con la sua valigia. Quel corridoio sembrava davvero girare. Ma, mettendosi dritta e tenendosi in piedi, Cara afferrò la sua valigia, e con grazia da far invidia ad un ippopotamo, riuscì con successo a prenderla e a portarla a terra. Stavano strette, entrambe in quel piccolo corridoio, ma Cara non poteva dirsi sorpresa; c’erano poche cose fatte per le ragazze grandi come lei, incluso quel piccolo corridoio.

Nonostante tutti gli ostacoli, quando arrivò il suo turno di muoversi, Cara riuscì a camminare lungo il corridoio con la sua valigia, verso la porta. Quando arrivò all’uscita, Cara si ritrovò davanti una cosa che non aveva preventivato: scale.

Ma chi sano di mente progetta di metterti delle scale da attraversare dopo aver fatto cadere la mano con il Rum dentro il tuo drink? Chiunque fosse stato, doveva essere fuori di testa.

Ma prendendola come una sfida, Cara prese un bel respiro e strinse forte la valigia, prendendo a discendere le scale un gradino alla volta, e con accurata lentezza. Era arrivato il momento di pentirsi di quel terzo Rum e Cola? Forse. Ma Cara sapeva che la ragazzetta di dieci anni era ancora da qualche parte, lì dietro di lei, e avrebbe fatto congelare l’Inferno prima di dare a Miss Lascia-Che-Ti-Giudichi la soddisfazione di vederla capitolare dalle scale.

Per fortuna, con un passo alla volta, Cara riuscì alla fine a mettere piede sulla terra ferma. Seguendo il fiume di passeggeri verso l’uscita, entrò dentro l’enorme edificio colorato di giallo. Si incamminò verso il filo trasportatore e, quando riuscì a prendersi il resto delle sue valige, Cara uscì fuori, diretta verso la fermata dei taxi.

Quando mise piede fuori, Cara dovette fermarsi un attimo. O c’erano davvero tutti quei bellissimi ragazzi intorno a lei ad aspettare, oppure era fin troppo ubriaca. Dopo un momento, sembrò decidersi. Perché non possono essere entrambe le opzioni?

«Scusami, potresti dirmi dove posso trovare un taxi?» chiese ad uno di loro, un giovane ragazzo dalla pelle scura e abbronzata, che sembrava stato scolpito dal marmo stesso.

«Gliene faccio arrivare subito uno, signorina» disse, in un accento musicale probabilmente tipico dell’isola.

Ancora una volta, dovette chiedersi se non fosse troppo ubriaca. Perché, o era quello, oppure il suo chiamarle un taxi era la cosa più sexy che avesse mai visto in vita sua. Ma ancora una volta si ritrovò a dire, perché non possono essere entrambe?

«Grazie» disse Cara, cercando di decidere solo guardandolo come sarebbe stato a letto. Meraviglioso fu la conclusione a cui arrivò prima di entrare nel piccolo minivan e vedersi chiudere lo sportello dal giovane Adone dalla pelle scura. Se erano quelli, i tipi di ragazzi che si potevano trovare nell’isola, Cara si disse che era già cominciata in maniera perfetta, quella sua finta vacanza di lavoro.

«Dove andiamo, signorina?» chiese l’autista del taxi in un accento più vicino a quello inglese.

«Devo andare al resort Baha Mar. Se ha bisogno, posso fornirle l’indirizzo. Ce l’ho proprio qui.»

L’uomo dietro il volante le sorrise dallo specchietto retrovisore. «So dov’è, signorina. È il nuovo grande resort dell’isola. Sono già due anni che si stanno occupando della sua ricostruzione.»

«È mai stato lì?» chiese lei, entrando in modalità lavoro.

«Non da quando è stato rinnovato, no. Il resort è un gran bell’affare, qui nell’isola, però. È stato commissionato da una grande compagnia internazionale che credo abbia sede a Los Angeles. Hanno speso ben più di duecento milioni di dollari per costruirlo. Riesce anche solo ad immaginare avere tutti quei soldi?» le chiese l’autista.

Cara non poteva proprio. Certo, la birreria di famiglia aveva permesso a tutti loro di vivere una vita confortevole, agiata per certi versi, ma l’idea di possedere quel quantitativo di soldi era sconosciuto, per lei. Sarebbe stato un po’ come se un cavallo fosse riuscito di punto in bianco a parlare… o, magari, come se d’un tratto Cara avesse imparato ad allontanarsi da un boccale pieno di birra, lasciandolo lì invece di berlo. Insomma, concetti inconcepibili che non avevano alcun senso.

«Sa quando l’hotel sarà aperto ufficialmente?» chiese Cara, cercando di raccogliere quante più informazioni potesse.

«Dicono che dovrebbero aprire a breve, proprio ora» le rispose lui.

«Beh… la chiamano una quasi-apertura, in realtà. È per questo che sono riuscita a prenotare lì, per pernottare. Ma ho provato più volte a cercare informazioni per capire quando saranno ufficialmente aperti al cento per cento, e su internet non sono riuscita a trovare nulla.»

«Ho un cugino che lavora lì, nella costruzione, e lui ha detto che hanno intenzione di aprire tutto quanto probabilmente a Dicembre.»

Cara si fece due calcoli a mente. Era ottobre, il che significava che dicembre doveva essere qualcosa come… mh… troppi rum e cola per poter calcolare esattamente, ma sapeva che fosse relativamente vicino, ed era l’unica cosa che importava. Quello significava che Cara avrebbe dovuto trovare chiunque fosse a capo del reparto Cibo e Beveraggio, e doveva farlo in fretta.

Cara appoggiò la schiena sul sedile, spostando la sua attenzione verso il finestrino. Dio, quel posto era meraviglioso. Non aveva mai visto così tanti fiori colorati prima di quel momento. Sembrava di camminare in un paradiso tropicale. Non c’era da stupirsi che i ragazzi del posto fossero così belli. Come avrebbe potuto qualcosa, qui, crescere male?

Dopo qualche minuto, la vista cambiò completamente. Dai fiori al verde si passò ad una vista perfetta sulla spiaggia e sul mare. La bocca di Cara si spalancò completamente. La sabbia era di un giallo pallido, e le onde che s’infrangevano sulla riva erano di un blu chiaro e brillante. Certo, aveva visto delle foto del posto, ma non c’era foto che avesse potuto prepararla allo spettacolo che si ritrovava ora davanti. Le aree di Boston dove si poteva vedere il mare erano belle, ma non fu che in quel momento che Cara riuscì a capire cosa fosse davvero una spiaggia.

Dopo qualche minuto di pace, la striscia di spiaggia venne rimpiazzata da bellissime, colorate casette dell’isola. Alcune erano blu chiaro, altre giallo pastello, altre erano un colore quasi bruciato di arancione e verde. Sembrava di essere entrati in un mondo completamente diverso; così si sentì Cara, diretta verso l’hotel. E la moltitudine di tonalità diverse di pelle delle persone che le sfrecciavano davanti agli occhi sembrava rimarcare ancora di più quella differenza con il mondo al quale lei era abituata.

«Questa è la zona con la spiaggia. È conosciuta anche come Riviera Bahamita» le disse l’autista.

Cara continuò a guardare fuori mentre il panorama davanti a lei cambiava, così come gli edifici. Alla destra c’erano piccoli negozi e supermercati. Alla sinistra, invece, un numero indefinito di hotel che sembravano crescere in grandezza ad ogni singolo metro.

Il minivan non si fermò che quando sembrarono raggiungere un palazzo maestoso. L’hotel era più grande di quanto Cara avesse immaginato. Le ricordava in qualche modo il Colosseo, con quell’arco a connettere le due metà.

Non c’era da chiedersi, dopo averlo visto, perché ci fossero voluti quei duecento milioni per rinnovarlo. Il resort sembrava essere una città a sé stante. Era l’edificio più incredibile che Cara avesse mai visto in vita sua.

«Vuole che la lasci all’entrata?» le chiese l’autista.

«Certo, sarebbe fantastico. Grazie» disse lei, grata all’autista per quella gentilezza. Con quei tre drink che aveva bevuto in volo, sapeva che non sarebbe stata una buona idea camminare tanto. Anche se, anche solo guardando il posto, Cara sapeva che sarebbe stata una cosa difficile da evitare.

Quando alla fine il minivan si fermò, Cara scese e prese le sue valige, poi pagò l’autista e gli lasciò una mancia generosa, per quella sua gentilezza.

«Grazie mille, signorina» disse lui. «Qui c’è il mio biglietto da visita. Se dovesse aver bisogno di un passaggio per andare in giro, non esiti a farmi uno squillo. Mi occupo anche di organizzare piccoli giri per l’isola» le disse ancora, con un sorriso.

Lei diede un’occhiata al biglietto, trovando il suo nome. «La ringrazio di cuore, Monty» gli disse con educazione prima di mettere il biglietto da visita da parte e andare via.

Nel momento stesso in cui si girò, due uomini erano già di fronte a lei pronti a prendere le sue valige e a posarle su un carrello.

«Oh, grazie mille» disse subito, sentendosi come una principessa.

Entrando nella lobby con i facchini a seguirla, si trovò senza fiato. L’open-space era luminoso, con i pavimenti in marmo meravigliosamente bianco, colonne altrettanto bianche e giganti e pareti meravigliose in pietra—anch’essa bianca. L’unica cosa che sembrava non essere bianca erano le porte di vetro, le sedie, e le travi sul tetto. Quelle erano in legno scuro e, guardando in alto, Cara si chiese se non avessero sbagliato, e l’avessero invece fatta entrare in Paradiso.

«È da sola per il check-in?» chiese la donna elegante e dalla pelle abbronzata dietro il desk.

«Sì, sono da sola.»

«Potrebbe fornirmi il suo nome?»

«Sono Cara Reeder.»

La donna scrisse il suo nome sul computer. «Benvenuta, signorina Reeder. Sarà qui per quattro notti, è corretto?»

«Sì» rispose Cara, rimpiangendo già di non aver pressato di più con suo padre per farla restare più a lungo.

«Perfetto. Il numero della sua stanza è 1609. Ecco a lei la sua chiave. Buona permanenza!»

«Grazie mille» disse Cara, poi però ci pensò un attimo. «In realtà, avrei una domanda.»

«Mi dica pure» rispose la receptionist con voce gentile.

«Potrebbe dirmi il nome di chi si occupa della sezione Cibo e Beveraggio?»

«Oh…» disse la donna, perdendo quella sua postura composta. «Nessuno mi ha mai fatto una domanda del genere» rispose, con un sorriso.

«Non ho dubbi» concordò Cara. «Ma io sono venuta in quest’isola per incontrarlo, è un po’ tutta la ragione dietro questo mio viaggio.»

Cara sapeva che non era la verità, perché la ragione dietro quel suo viaggio era andare a letto con uno di quei bellissimi ragazzi del posto e divertirsi. Ma, in ordine di importanza, parlare con chiunque fosse a capo di quel settore era al primo posto.

«Sa cosa? Non ho idea di chi sia, a dirle la verità» disse allora la receptionist, facendo uscire fuori l’accento del posto. Si girò a guardare qualcuno dietro di lei. «Signor Rhamming, le dispiacerebbe venire qui per un secondo?»

Un uomo robusto e vestito di tutto punto alzò lo sguardo verso di lei, poi si alzò dal suo tavolo e venne verso di loro.

«Miss Reeder, qui, sta cercando il manager del settore Cibo e Beveraggio. Ha un appuntamento con lui. Potrebbe dirmi chi è?»

Cara ascoltò sapendo bene che la ragazza aveva un po’ frainteso il tutto. Non era vero che aveva un incontro con lui, ma non poteva non dirsi orgogliosa e soddisfatta di quell’upgrade inaspettato, da venditrice importuna a qualcuno che aveva addirittura un appuntamento.

«Sì, il manager che sta cercando sarebbe Mr. Charles» disse l’uomo. «Vuole che lo chiami per fargli sapere che è arrivata?»

«Oh, no, la ringrazio, non sarà necessario. Ma se potesse per caso dirmi dove posso trovare il suo ufficio, mi sarebbe di grande aiuto.»

«Nessun problema, posso dirglielo subito» rispose l’uomo, scortandola vicino al suo computer.

Cara non poteva credere alla sua fortuna. Non immaginava neanche di poter arrivare così lontano. L’unico piano a cui era arrivata era quello di trovare l’ufficio del manager e poi chiedere al suo segretario di fissarle un appuntamento. E a quel punto avrebbe potuto riuscirci, oppure no. Ma in ogni caso, dopo quel momento lei avrebbe passato il resto del suo tempo seduta su una sdraio a bordo piscina, o in spiaggia in riva al mare.

Le dita dell’uomo corsero velocemente sulla tastiera, e poi si fermarono.

«Può trovare il Sig. Charles nell’ufficio 227 B. Occorrerà che prenda l’ascensore fino al secondo piano, poi prendere la sinistra alla fine del corridoio, e la destra subito dopo aver visto il numero 227. Troverà una receptionist proprio dentro, che la scorterà al 227 B.»

«È stato di grandissimo aiuto. Grazie mille!» disse Cara, ancora più grata di quanto fosse stata con l’autista. «Siete tutti così amichevoli, qui. È fantastico. Una boccata d’aria fresca, davvero.»

«Oh, la ringrazio, signorina. C’è qualcos’altro con cui potrei aiutarla?»

«No, ma è stato fantastico. Grazie ancora. Oh, no, aspetti—in effetti ci sarebbe un’altra cosa» disse Cara. «Dove trovo la mia stanza?»

In realtà, era quasi sul punto di chiedergli dovrebbe potuto trovare il primo casinò aperto che offriva drink gratis, ma ci ripensò su all’ultimo minuto. Del resto, doveva mantenere una facciata professionale.

Seguendo le istruzioni dell’uomo, Cara si mosse tra il labirinto che erano i corridoi fino all’ascensore, e su nella sua stanza. Non solo la stanza era bellissima, ma era vista oceano. Era semplicemente incredibile. Non avrebbe mai immaginato che l’oceano potesse essere di tutte quelle diverse sfumature di blu.

E cosa ancora più incredibile, aveva una bellissima visuale della spiaggia del resort. L’unica cosa che poteva pensare per paragonare quel posto a qualcosa era il Disney World, o più precisamente, il parco a tema acquatico del Disney World, solo molto più sistemato e chic.

Tra l’hotel e la spiaggia sembravano esserci piscine immense. Ognuna di esse era circondata da palme una dopo l’altra e da tutti i lati, e alla destra c’erano quelli che da lì sembravano scivoli d’acqua. Quel posto era semplicemente incredibile.

Essendo arrivata così presto, Cara decise di gettarsi sul letto e provare a pianificare il suo pomeriggio. Ancora carica dell’alcol preso in aereo, decise che si sarebbe occupata di lavoro quando ancora la giornata era giovane. Perché non avviarsi verso l’ufficio ora, combattere per poter prenotare un appuntamento e magari riuscire anche a parlare con lui prima che la giornata finisse? A Cara piacque subito quell’idea, e disfacendo le valige in fretta, prese ciò che le serviva e uscì dalla stanza.

In ascensore, Cara si chiese che cosa esattamente avrebbe dovuto dire. Sì, conosceva i prezzi, conosceva i modelli di spedizione, ma cosa avrebbe detto per convincerlo a comprare? Non lo sapeva, ma sprizzando sicurezza da tutti i pori, si ritrovò a sentirsi certa di potersi inventare qualcosa quando fosse arrivato il momento.

Le porte dell’ascensore si aprirono sul corridoio del secondo piano, e Cara camminò fino a quando non riuscì a trovare la porta con su scritto 227. Fu lì che sentì finalmente l’adrenalina. Togliendo la birra, non c’era molto che rendeva il suo lavoro eccitante. Ma quella sensazione lì… quella era una delle cose che, invece, aiutava.

Sentendo il cuore battere all’impazzata nel petto, il sangue schizzare fin sulle guance, Cara si avvicinò alla receptionist proprio dopo l’entrata.

«Salve.» Cara gettò uno sguardo sulla targhetta affissa al tavolo. «Melinda, è così che lo pronuncia?»

La receptionist sorrise. «C’era quasi. Cosa posso fare per lei?»

Cara riusciva a sentire tutto il corpo pizzicare dall’eccitazione. «Mi chiedevo se potessi entrare un attimo e parlare con il Sig. Charles?»

Le sembrò di sentire le orecchie fischiare, aspettando la risposta.

Melinda la guardò per un momento. «Ha un appuntamento?» le chiese.

Il petto di Cara si strinse. Ridacchiò. «Ecco, non esattamente, ma sono appena atterrata da Boston e speravo proprio di poter magari anche solo entrare per qualche minuto, solo qualche minuto per parlargli.»

«Di cosa si tratta?»

«Di birra» rispose lei, un sorrisetto malandrino ad incurvarle le labbra.

Melinda la guardò confusa. «È una venditrice?»

«Sì. Lavoro in una birreria a Boston, e speravo di poter parlare con lui sulla possibilità di utilizzare il nostro marchio e la nostra birra qui.»

«Okay. Perché non si siede lì in attesa, mentre gli chiedo se è disponibile?»

Cara sapeva che era ora o mai più. In qualche momento, sarebbe stata invitata dentro l’ufficio oppure le sarebbe stato chiesto di uscire. Guardando Melinda lasciare la sua scrivania per entrare nell’ufficio 227 B, Cara riuscì a scorgere un po’ del Sig. Charles. L’uomo aveva la pelle abbronzata, un pizzetto e i baffi, degli occhiali da vista e un completo parecchio importante. Guardandolo seduto dietro la sua scrivania, Cara riusciva a vedere il futuro della sua famiglia oscillare su quella bilancia. Con ogni secondo che passava, il suo cuore sembrava battere ogni volta più forte.

Ci vollero meno di trenta secondi perché Melinda tornasse.

«Sfortunatamente, il Sig. Charles è molto impegnato. Mi ha chiesto di chiederle se per caso potesse lasciare qualsiasi materiale lei abbia con sé, così da poterlo guardare quando avrà un po’ di tempo a disposizione.»

Il suo cuore sprofondò nel petto. Aveva già sentito quella frase. Lasciare il materiale significa semplicemente che il cliente non era interessato. Ma Cara non aveva intenzione di arrendersi così facilmente. Avrebbe trovato il suo modo di entrare.

«Se in questo momento è troppo impegnato, magari c’è un modo per riuscire ad avere un appuntamento con lui domani? Dopotutto, sono venuta qui da Boston soltanto per vederlo.»

«È venuta qui da Boston soltanto per lui? Cara, avrebbe davvero dovuto prendere un appuntamento prima. Il Sig. Charles è estremamente impegnato questa settimana, con l’apertura dell’hotel e tutto.»

«Sì, sono certa che sarebbe stato meglio prendere un appuntamento prima, ma sono certa che lei possa immaginare come vanno queste cose. Le persone sono molto più inclini ad ascoltare se sei ti vedono di presenza» disse Cara, cercando di portare avanti quel suo momento di sicurezza.

«No, lo capisco», rispose Melinda. «Ma il Sig. Charles è davvero molto impegnato questa settimana. Persone importanti sono venute qui da fuori città.»

«Lo so, ma non c’è proprio nessuna possibilità di ritagliarmi anche solo un piccolo spazio per qualche minuto? Prometto di non rubargli troppo tempo.»

«Vorrei tantissimo aiutarla, specialmente visto che viene da così lontano… ma il meglio che posso fare, purtroppo, è prendere il suo materiale e assicurarmi personalmente che lui gli dia un’occhiata.»

A Cara si spezzò il cuore. Certo, quell’incontro era stato principalmente una scusa per farsi pagare il viaggio alle Bahamas dai suoi genitori, ma Cara non riuscì ad evitare il senso di fallimento che l’avvolse. Sì, avrebbe lasciato il materiale a Melinda, ma si era già trovata in quella situazione prima di quel momento. Lasciare il materiale ad una receptionist era l’equivalente di un fidanzato che diceva «Prendiamoci una pausa, e vediamo cosa succede.» Non avrebbe più avuto notizie da nessuno dei due.

«La ringrazio. Apprezzo molto quello che fa» disse allora Cara, forzando un sorriso.

Tirando fuori dalla sua borsa i fogli pieni di immagini della loro birra, ne diede due a Melinda e la ringraziò di nuovo.

Delusa, si allontanò dall’ufficio cercando di capire cosa avrebbe dovuto fare ora. Tecnicamente, aveva fatto ciò per cui era venuta. La sua famiglia non si aspettava qualcosa di più da lei, quello era chiaro. Anzi, Cara era certa che se si aspettavano qualcosa, quella era il suo fallimento. Si sentiva male al pensiero che gli aveva appena provato di aver ragione.

Cara non era pronta a tornare nella sua stanza, così strinse la tracolla sulla sua spalla e decise di esplorare l’hotel. Era davvero bellissimo da guardare. C’era marmo bianco e legno scuro ovunque. A camminarci dentro, ti dava quella sensazione di essere fuori e dentro allo stesso momento, soprattutto nel tragitto verso la spiaggia. La temperatura anche all’interno era molto più fresca dell’esterno.

Camminando lungo il corridoio, la prima cosa che attirò l’attenzione di Cara fu il bar. Non che avesse bisogno di bere, si disse. Era ancora in qualche modo sotto l’effetto del Rum e Cola. No, non voleva bere, ma voleva dare un’occhiata al bar e ai suoi drink. Sì, si disse. Voleva conoscere la concorrenza.

«Prenderò due shot di tequila» disse all’uomo dietro il bancone dopo essersi seduta.

Riempiendo un bicchiere con due shot, il barista lo fece scivolare di fronte a Cara, e lei gli lasciò il numero della sua stanza. Cara guardò il bicchiere pieno, ripensando alle sue scelte di vita, e poi si scolò il contenuto in un secondo. Era parecchio buono, e ciò poteva soltanto significare che si sarebbe ritrovata almeno venticinque dollari in più sul conto da pagare.

«Potrebbe darmi una birra? Qualsiasi abbia a disposizione andrà bene» disse, rassegnandosi all’idea che quello sarebbe stato l’inizio di quella vacanza in cui avrebbe dovuto lavorare, ma in realtà non lo avrebbe fatto davvero.

Per l’ora successiva, Cara restò seduta al bancone a sorseggiare la sua birra. Dovette ammettere a se stessa che quel doppio bicchiere di tequila era stata una cattiva idea. Non sapeva che ore fossero, ma su di lei sembravano essere appena calate le due di notte, e quello non poteva essere un buon segno. Soprattutto perché, a quell’ora, Cara si trasformava nella donna che voleva portarsi qualcuno a letto, e in quel momento… Cara non voleva dire che qualsiasi ragazzo le sarebbe andato bene ma, davvero, qualsiasi ragazzo le sarebbe andato bene.

Ancora seduta al bancone e intenta a guardare un po’ troppe coppiette passarle di fronte, Cara incrociò lo sguardo con l’ultima persona che si aspettava di vedere. Quello era proprio il Sig. Charles! Ne era sicura. E stava camminando con quello che doveva essere l’uomo più bello che lei avesse mai visto in vita sua.

Che cosa avrebbe dovuto fare? Non era forse quello un messaggio dall’Universo stesso, che le diceva che aveva appena ricevuto una seconda opportunità? Avrebbe dovuto affrettarsi ad andare da lui in quel momento, parlare e ricevere una vera risposta prima di perderlo di vista. Avrebbe dovuto far correre il momento? Cara decise che la risposta era no.

Alzandosi in piedi, si rese conto di quanto ubriaca fosse davvero. Non era proprio un’ottima idea, perché la cosa migliore sarebbe stata presentare la sua birreria quando ancora era leggermente brilla. Ma una donna deve fare ciò che una donna deve fare, si disse. 

«Sig. Charles?» lo chiamò allora Cara, correndo verso di lui.

«Sì?» rispose lui seccato, anche se Cara non se ne accorse.

«Sono venuta nel suo ufficio poco fa. Mi stavo chiedendo se per caso le potesse interessare l’idea di adottare il nostro marchio e la nostra birra nell’hotel. Lavoro in una birreria a Boston, abbiamo vinto diversi premi, e pensavo che per voi sarebbe stata una grande aggiunta nella selezione d’alcol dell’hotel. È una birra classica, adatta a questo resort, se posso permettermi.»

Il Sig. Charles non disse nulla per un attimo, gli occhi su Cara, un’espressione strana in volto. «È ubriaca?»

«Chi, io? Certo che no! Perché mai le viene in mente una cosa del genere? Stavo, però, controllando la birra che vendete in questo momento, sì, a scopo puramente lavorativo. Ma non mi avvicinerei mai a lei ubriaca!» disse, danzando su un piede all’altro come se stesse danzando.

Il Sig. Charles le scoccò un’occhiata che sembrava dire “Non ti credo”, ma decise di far cadere la questione. «Se vuole che consideri il suo prodotto, le conviene lasciare il materiale sulla sua birra alla mia receptionist.»

«Oh, l’ho già fatto, e ho anche provato a fissare un appuntamento con lei, ma sembra essere veramente molto impegnato e non c’è stato modo di trovare un piccolo momento per me.»

«Sì, temo che sia corretto, signorina… mi scusi, come ha detto che si chiama?»

«Cara. Mi chiamo Cara Reeder.»

«Sì, signorina Reeder, sono desolato ma sono davvero impegnato questa settimana, come può vedere» rispose lui, indicando l’uomo al suo fianco. «Ma se ha già lasciato il materiale alla mia receptionist, mi assicurerò di dargli un’occhiata e di farle sapere quanto più in fretta possibile.»

«Ed io gliene sono grata, e lo apprezzo davvero, ma, vede, il fatto è che sono appena arrivata da Boston e sono venuta qui soltanto per incontrarla, e speravo di poter almeno parlare meglio di tutta la questione prima di andar via.»

«Ha viaggiato da Boston fino a qui soltanto per incontrarmi?»

Cara sentì la fiamma di speranza accendersi di nuovo dentro di lei.

«Avrebbe davvero dovuto prendere un appuntamento, prima di venire» disse il Sig. Charles prima di scortare l’uomo meraviglioso via.

«Sì, beh, l’ha detto anche la sua assistente» mormorò Cara silenziosamente mentre guardava i due uomini andare via.

Beh, almeno adesso era ufficiale: la parte lavorativa di quella finta vacanza di lavoro si era appena conclusa. Non avrebbe mai ricevuto alcuna risposta da quell’uomo, e non gli avrebbe mai più parlato, e di questo Cara era assolutamente certa. C’era solo una cosa che le restava da fare adesso, e quella era mettere su un costume da bagno, ordinare qualche altro alcolico, e scopare. Soprattutto scopare.

Di ritorno nella sua camera, Cara si rese realmente conto di quanto fosse ubriaca. O quello, oppure quell’hotel era stato costruito su un pendio. Nella sua stanza, si spogliò e si mise a cercare il suo costume intero dentro la valigia. Poi lo prese, ma con quello in mano pensò “Perché non mettere il bikini, invece?” Aveva già superato l’imbarazzo indossandolo in negozio, prima di comprarlo. Non sarebbe stato il caso di utilizzarlo, adesso che l’aveva?

Mettendosi addosso i piccoli due pezzi d’indumento, prese una tovaglia da mare, i suoi occhiali, le ciabatte e si diresse nuovamente al piano di sotto. La sua priorità, in quel momento, era quella di dimenticare in qualche modo ciò che era appena successo. E, per fare ciò, era essenziale trovare la piscina perfetta e l’uomo perfetto.

Dirigendosi fuori, Cara fece il giro dell’edificio. C’erano decisamente tante piscine tra cui scegliere, e quando si rese conto che erano tutte pressappoco uguali, decise di focalizzarsi su chi le popolava, piuttosto.

C’erano tante coppie. Un numero particolarmente fastidioso di coppie. Ma quando vide la piscina con bar impiantato dentro, Cara si rese conto di essersi innamorata: non solo avrebbe potuto nuotare dentro la piscina; avrebbe potuto nuotare verso il bar, e bere direttamente dentro l’acqua. Solo quando si avvicinò a bordo piscina, vicino una delle sdraio, Cara si rese conto di un’altra cosa estremamente bellissima, che non fece altro che farla innamorare ancora di più: il bellissimo uomo tutto muscoli poggiato con nonchalance sul bordo del bancone del bar.

Senza perdere altro tempo, Cara lasciò l’asciugamano sulla sedia a sdraio e s’immerse dentro l’acqua, calda e confortevole. Nuotando verso il bar, si perse nei suoi pensieri, chiedendosi come sarebbe stato farci sesso dentro; chiedendosi se, magari, il bellissimo uomo al bar fosse interessato a scoprirlo insieme a lei.

«Posso portarle qualcosa?» le chiese il giovane ragazzo al bar.

«Non saprei» disse lei. Girando lo sguardo verso il drink che stava bevendo l’uomo accanto a lei, Cara chiese, «Cosa stai bevendo?»

L’uomo meraviglioso si girò a guardarla, e per un attimo Cara ebbe la distinta sensazione di star cadendo giù da un dirupo, sebbene i suoi piedi fossero ancora fermi dentro l’acqua. L’uomo era una sorta di Dio greco umano, con occhi color miele e una barbetta appena pronunciata, la pelle abbronzata. Aveva tutta l’aria di essere uno di quegli uomini che portano solo guai, che è esattamente come erano sempre piaciuti a Cara, del resto.

«Non saprei. Un lava-qualcosa. È un drink inventato che l’hotel ti offre per togliere di mezzo il rum economico che hanno comprato.»

«Mi sembra perfetto» rispose lei. «Fammi ciò che beve lui.»

Il giovane barista si girò, prendendo a preparare il drink di Cara. Ne avevano già un po’ pronto in una piccola fontana, una cosa molto chic, secondo lei. Cara gli diede il numero della sua stanza, prima di girarsi di nuovo verso l’uomo meraviglioso.

«Al rum economico» disse lei, alzando il bicchiere verso di lui. L’uomo stette al gioco.

«Mi piacciono le donne che sanno brindare a cose scadenti» le disse lui.

«Io dico sempre, come fai a dire di aver bevuto se non ti ritrovi sbronzo il giorno dopo?» disse lei, fingendosi seria.

«Giusta osservazione. E senza sbronze, come puoi dire di essere davvero vivo?» ribatté l’uomo.

Il volto di Cara scattò verso di lui, un’espressione sorpresa e divertita in volto. «Oh, sei un tipo cupo. Mi piace» disse, onestamente.

«E tu sei auto-distruttiva. Mi piace» rispose lui, con lo stesso tono cupo di prima.

«Aspetta—cosa ti fa dire che io sia auto-distruttiva? Voglio dire, non che non lo sia. Ma mi chiedo cosa te lo faccia dire con questa sicurezza?» chiese lei, con un sorriso.

L’uomo le scoccò un’occhiata veloce prima di girare il corpo completamente verso di lei, un’espressione fintamente pensierosa in viso. La guardò dall’alto in basso, mormorando un «Mh…» di tanto in tanto. Poi, dopo qualche momento, finalmente le rispose. «Ti dirò, sarà probabilmente perché—fammi indovinare—sei qui da sola, hai fatto colazione con gli alcolici, e hai appena brindato insieme a me al rum scadente che stiamo bevendo.»

«Sono un libro aperto, eh?» scherzò lei, divertita.

«Un po’, sì» rispose lui con convinzione.

Cara non era certa di sapere se avesse dovuto sentirsi offesa o divertita. Ma decise di andare con la seconda. Perché? Ma perché quell’uomo era meraviglioso, che domande! «Okay… se sono davvero così trasparente, allora dimmi: a cosa sto pensando adesso?» chiese, i pensieri a volare immediatamente su come quell’uomo sarebbe stato, senza tutti quei vestiti.

L’uomo inchiodò quegli occhi color caramello ai suoi, e rispose senza neanche batter ciglio, «Ti stai chiedendo quanto grosso sia il mio cazzo.»

Il viso di Cara si colorò di tutte le varie tonalità di rosso mentre rispondeva con un soffocato, «Ah sì?»

«Sì. È a questo che stai pensando» disse lui con sicurezza.

Cara restò in silenzio per qualche secondo, pensando a quale potesse essere la risposta migliore per far andare la conversazione verso dove voleva lei. «E allora, quanto è grande?»

«Abbastanza da farti urlare come un gatto in calore.»

Cara ridacchiò nervosamente. Il suo corpo si stava già riscaldando, e non aveva niente a che vedere con la temperatura dell’acqua che lo ricopriva. Sentendo la sua intimità pulsare, strinse le gambe per sentire quella pulsazione più forte. Chiedendosi cosa le sarebbe servito per portarlo a dimostrare le sue parole, si avvicinò a lui.

«Sono parole molto grosse, quelle che hai detto» disse lei.

«Mai fare una promessa che non puoi mantenere. Me lo diceva sempre il mio papà» rispose lui, con un sorrisetto.

Cara si avvicinò così tanto che non c’era modo di dubitare le sue intenzioni. «Se ti va di dimostrarlo, ho una camera proprio lassù» disse, indicando una delle tante finestre al sedicesimo piano.

«Mi piacerebbe vederla» le disse.

«Allora seguimi» rispose subito lei, il corpo ormai a fuoco.

Cara nuotò via dal bar e si fermò vicina alla scalinata che l’avrebbe portata fuori. Solo in quel momento si chiese se l’uomo avesse davvero avuto intenzione di seguirla, così si girò per accertarsene. Lui era proprio dietro di lei. Cara dovette utilizzare tutte le sue forze per non gettarsi su di lui in quel preciso momento, così, per evitare di farlo, si girò nuovamente verso le scale, si tirò fuori dalla piscina, afferrò il suo asciugamano e fece strada verso la sua stanza.

Una volta di fronte la porta chiusa, lei si girò a guardarlo. Dio, era davvero bellissimo. Il petto liscio era pieno di muscoli, e i pantaloncini del costume, sebbene lunghi, non facevano assolutamente nulla per nascondere ciò di cui lui si era vantato con parole così sicure. Non aveva esagerato; da quel che poteva vedere così, il suo cazzo era davvero enorme. Ed era già duro.

Guardandolo, a Cara si spezzò il fiato. Quello fu tutto ciò di cui lui ebbe bisogno, perché—una volta sentito—l’uomo si allungò verso di lei, afferrando il suo collo da dietro. Spinse il corpo di Cara contro il suo, e fece scontrare le loro labbra. Il bacio fu così rovente che Cara si ritrovò a spalancare immediatamente le labbra, dandogli accesso alla sua bocca. La sua lingua scivolò dentro di essa, e insieme cominciarono una danza folle.

Perdendosi in quell’abbraccio, l’uomo afferrò il suo corpo morbido e lo strinse contro il suo. Cara riusciva a sentire il suo cazzo contro la pancia. Solo quella sensazione riuscì a farle perdere la testa, e quando lui tirò i fili che tenevano stretto il suo pezzo di sopra, lei non poté fare altro che sentirsi pienamente felice quando prese a farla indietreggiare verso il letto.

Con un singolo pensiero in testa, Cara sapeva già qual era la prima cosa che voleva fare. Velocemente, con le labbra ancora su quelle di lui, Cara cambiò la loro posizione, e dal letto girò con lui per ritrovarsi sul suo corpo, le mani a lavorare già per slacciare il suo costume. Una volta fatto, una mano s’intrufolò all’interno, poggiandosi a coppa sulla sua lunghezza.

Prendendo il suo cazzo spesso in mano, Cara si ritrovò a malapena in grado di respirare. Non stava scherzando, davvero. Era enorme, molto più grosso di quanto avesse mai visto, di quanto avesse mai potuto pensare. Voleva disperatamente vederlo; così, staccandosi dalle sue labbra, si fece strada a suon di baci verso di esso, fino a quando—finalmente—una volta passato il petto e lo stomaco, andò a finire faccia a faccia con esso.

Senza neanche esitare, Cara lo strinse con entrambe le mani, e anche così restò abbastanza lunghezza da permettere alla sua bocca di prenderne in abbondanza. Prese a far scivolare le mani con delicatezza su e giù, la sua lingua a tracciare la sua lunghezza durante il movimento. Era meravigliosa, la sensazione di avere quell’uomo così potente, così sexy tra le mani. Si sentiva allo stesso tempo come se detenesse tutto il potere, e come se fosse la sua schiava, la sua sottomessa.

Facendo scivolare via il cazzo dalla sua bocca, poggiò la sua lunghezza sulla guancia e leccò i suoi testicoli. Il suo cazzo era lungo quasi quanto il suo viso. Era magnifico. Così, quando sentì la mano di lui stringersi di nuovo sul suo collo per riportare il suo viso verso di lui e la sua schiena sul letto, lei non ci pensò due secondi a farsi trasportare.

Già pronta a sentire il suo cazzo romperla in due, si ritrovò sorpresa di sentire invece le sue labbra sul suo interno coscia. Con le mani divaricò il più possibile le sue gambe, e ci si posizionò in mezzo. Più si avvicinava alla sua vagina, più il corpo di Cara rabbrividiva. E quando la sua lingua alla fine toccò il suo clitoride, Cara si sentì quasi come scossa dall’estasi.

Non solo quell’uomo era già magnifico di suo; ma sapeva anche come usare la lingua, e la usava meravigliosamente. Stuzzicava senza mai fermarsi il suo clitoride senza mai toccarlo davvero, disegnando cerchi intorno ad esso, così che quando la sua lingua finalmente si poggiava su di esso, Cara perdeva completamente la ragione.

L’orgasmo era già così vicino, Cara poteva sentirlo, e non fece altro che avvicinarsi ulteriormente quando lui la penetrò con un dito spesso, accarezzando il suo punto G. Quella sola connessione, anche se svelta, riuscì a farla perdere totalmente; gemendo quando il suo corpo prese a contorcersi con gli spasmi, all’uomo sembrò piacere particolarmente quel dettaglio che in un attimo si focalizzò esattamente su quello, facendo scattare la lingua sul clitoride mentre con il dito continuava a toccare quel punto preciso dentro di lei.

Cara non fu in grado di trattenersi dopo di ciò; l’orgasmo la prese, colpendo con forza e fuoriuscendo in un’esplosione. Persa nella passione, Cara strinse le gambe quanto poteva con lui ancora in mezzo e si lasciò andare ad uno squittio di piacere. Lui non smise di far scattare la sua lingua, però, e lei si ritrovò ben presto a sperare che la smettesse. Perché, per quanto la sensazione fosse meravigliosa, stava diventando troppo da sopportare. Così, quando alla fine si rese conto di non poter sopportare oltre, fece scivolare la sua mano sul collo di lui per stringerlo. Bastò solo quello a fargli capire, e avendo pietà di lei, alla fine si fermò.

La mente di Cara sembrava non essere più lì, annegata com’era nel piacere. Con l’alcol ancora in corpo, il suo mondo stava girando. A malapena sapeva dove si trovasse, e a lei non importava. Tutto quello che sapeva era che sul suo letto c’era un uomo meraviglioso, e quell’uomo era in mezzo alle sue gambe, e lei avrebbe preso tutto ciò che di lui poteva prendere.

«Non credere che questa sia la fine della nostra serata» disse l’uomo meraviglioso, e lei lasciò andare un gemito sussurrato. Non aveva la forza di dire o fare nient’altro ma, se avesse potuto parlare, gli avrebbe detto che non vedeva l’ora di andare avanti. Tutto ciò che riuscì a fare, però, fu aspettare che il suo corpo smettesse di tremare, per poi lasciarlo andare e permettergli di fare esattamente ciò che voleva.

Nel momento stesso in cui fu liberato, l’uomo prese a muoversi velocemente. Sapendo esattamente cosa voleva e dove volesse arrivare, fece girare Cara sullo stomaco prima di metterla a quattro zampe. Con il clitoride ancora sensibile, lei sentì il suo membro enorme spingere contro le sue labbra inferiori. Cara era completamente bagnata.

Ancora presa dagli spasmi dell’orgasmo, l’uomo meraviglioso dietro di lei si prese il suo tempo, e quando la sentì rilassarsi… si spinse dentro di lei con violenza. Averlo dentro lo rendeva anche più grosso di ciò che sembrava a vederlo da fuori. Cara non sapeva se le vagine potessero soffocare ma, se potevano, allora lei non avrebbe potuto desiderare di soffocare su qualcosa di meglio.

Ancora presa dalla nube dell’orgasmo, Cara provò a concentrarsi sulla sensazione meravigliosa di sentirlo entrare dentro di lei. Era tutto ciò che aveva promesso di essere. E lei non si era mai ritrovata a considerarsi stretta, ma quella volta non poté fare a meno di pensarlo. Quando lui si spinse completamente dentro di lei, la loro pelle a toccarsi, così tanto in dentro che per un attimo Cara sentì di averlo vicino alla gola, il suo corpo si rilassò immediatamente; era riuscita a prenderlo tutto.

Mentre lui si tirava lentamente indietro, Cara si ritrovò a gemere silenziosamente. Era così grosso… Cara non era certa di sapere quanto ancora sarebbe riuscita a prendere. Ma quando lui tornò dentro, penetrandola con forza, spingendosi completamente dentro di lei un’altra volta, Cara smise di pensare a quanto riuscisse a prendere e si focalizzò, invece, sulla sensazione del suo cazzo intento a toccare in modo perfetto il suo punto G.

Persa in quella sensazione, Cara chiuse la bocca e deglutì. Non aveva mai provato qualcosa del genere, probabilmente perché non le era mai capitato di scopare con qualcuno che fosse così grosso e spesso. Il pensiero la rese ancora più bagnata, e si lasciò andare ad un gemito alto mentre lui continuava a pompare dentro di lei. Si sentiva come se qualcuno stesse scalando in mezzo alle sue gambe. Qualsiasi cosa fosse quella sensazione, comunque, si stava facendo spazio velocemente verso il centro esatto della sua intimità.

L’uomo sconosciuto dietro di lei prese a spingere più velocemente, con una forza tale da far sbattere i fianchi contro il suo sedere, e Cara cominciò a perder la testa. Era una sensazione così bella. Ogni singolo lembo di pelle sembrava pizzicare. E quando lui prese a scoparla così forte da dover trovare un appiglio per restare in piedi e cosciente, schiaffeggiandole il sedere tra una spinta violenta e l’altra, Cara strinse le lenzuola, chiedendosi che cosa sarebbe successo.

Fu la prima ad urlare, ma non fu l’unica. Con le dita strette sulla sua carne, i gemiti dell’uomo presero a farsi sempre più alti, come Cara non li aveva mai sentiti. Quelle urla così alte erano nettare per le sue orecchie, e furono—insieme a tutto il resto—ciò che la portò sul punto di non ritorno. Cara perse contatto con tutto, il suo corpo, la realtà, il mondo, e persa com’era riuscì soltanto a sentire se stessa urlare come mai prima aveva fatto prima di sentire il suo corpo stringersi dal piacere, e lasciarsi andare subito dopo a quello che lei poteva descrivere soltanto come uno squirt.

Si stava facendo la pipì addosso? Era questo che succedeva, quando provava così tanto piacere? Aveva perso il controllo della sua vescica? Non ne era certa. Tutto ciò che sapeva era che si stava liberando in un modo che aveva dell’incredibile. Il suo corpo venne scosso da spasmi che sembravano quelli di un orgasmo, ma in quel momento lei si stava lasciando andare come mai prima, una sensazione conosciuta e sconosciuta al tempo stesso. Tutto ciò che riuscì a fare fu tremare per tutto il corpo, e poi lasciarsi andare—senza forze—sul letto.

Per un attimo, il suo cervello le disse che forse avrebbe dovuto sentirsi in imbarazzo per quella strana reazione, per quello strano orgasmo, ma lei non riuscì a seguire quel filo di pensiero. Forse per i molteplici orgasmi. Forse per l’alcol ancora nel suo corpo. Qualsiasi cosa fosse, Cara riusciva soltanto a pensare al peso meraviglioso dell’uomo sul suo corpo, e a quanto ancora sarebbe stata in grado di restare sveglia. La risposta era non per molto.

Quando i muscoli tesi di Cara si rilassarono, con essi si rilassò anche il resto del suo corpo, e l’ultimo briciolo di forza che era rimasto dentro di lei sembrò materializzarsi. La giornata era stata intensa, del resto. Sveglia alle tre del mattino e volo tre ore dopo, e un drink in mano ad un orario in cui la maggior parte della gente, di solito, teneva in mano la colazione.

Dopo di ciò, Cara era atterrata in un posto sconosciuto, provato a vendere la sua birra al manager di un hotel fin troppo chic per la sua birra, e aveva finito con l’annegare tutti i suoi problemi facendo del sesso meraviglioso con un uomo fantastico. Ed era necessario, in quel momento, entrare nei dettagli dei suoi molteplici orgasmi? No, anche perché nessuna parola umana avrebbe potuto spiegare davvero quell’esperienza quasi sovrannaturale.

Dopo tutto ciò, l’unica cosa che Cara poteva fare era chiudere gli occhi e lasciarsi andare nel mondo dei sogni. Mentre si faceva abbracciare dal sonno, Cara ripensò all’uomo meraviglioso ancora sopra di lei. In quello stato catatonico ed estremamente rilassato, si ritrovò a pensare che non voleva il tempo con lui finisse. Una parte di lei voleva restare sveglia e continuare a stare in sua presenza.

Ma il sonno, alla fine, la prese.

 

 

Capitolo 2

Cara

 

La prima cosa che Cara notò quando si risvegliò il giorno dopo, fu quanto rumoroso potesse essere tutto. Per esempio, che tipo di compagnia riesce a rendere l’aria condizionata così rumorosa da sembrare un aereo in avvicinamento? E chi aveva avuto la felice idea di permettere alle orecchie umane di fischiare? Perché, quantomeno, avrebbero potuto aggiungerci la possibilità di aggiustare il volume.

Ma per quanto brutti fossero quei suoni per il suo cervello, la cosa peggiore in assoluto doveva certamente essere la luce che filtrava dalle imposte del balcone. Sia chiaro, la stanza che girava e la nausea che sentiva erano già abbastanza brutte di loro, ma quella luce… quella luce sembrava avere tutta l’intenzione di spingersi con prepotenza oltre le sue palpebre e farsi strada come la luce di una torcia dritta dentro il suo cervello.

Coricata lì, in agonia, Cara capì immediatamente che cosa le sarebbe servito per riprendersi: un drink. Un po’ di ciò che ti ferisce per curarti è sempre la cosa migliore. Adesso l’unica cosa che le serviva era capire come avrebbe potuto far apparire magicamente qualcosa di alcolico direttamente sul suo comodino.

E fu mentre cercava di capire come far spuntare anche solo una bottiglia di birra dal nulla che si ricordò cosa stava facendo proprio prima di addormentarsi. Si stava facendo la miglior scopata della sua vita.

E se la memoria non la ingannava, l’aveva fatta con l’uomo più bello che avesse mai visto. Un Dio, pensò, e non le sembrò un’esagerazione. Un Dio con la bellissima abilità di farti perdere in orgasmo dopo orgasmo, senza mai stancarsi. Sarebbe stato bello se in quel momento lei fosse riuscita a ricordare il suo nome.

Decidendo che il suo nome le sarebbe tornato in mente in un altro momento, si fece quanta più forza possibile per spostare gambe e braccia e andare alla ricerca dell’uomo che avrebbe dovuto essere lì accanto a lei sul letto. Quei movimenti non fecero altro che far aumentare la velocità in cui la stanza sembrava ancora ruotare. E la cosa peggiore? Che, nell’allungare i suoi arti, l’unica cosa che riuscì a trovare furono lenzuola aggrovigliate.

Non poteva essere vero, giusto? Non si era inventata di sana piana quell’incontro sessuale con un uomo dalle fattezze ultraterrene, giusto?

Si prese un attimo per controllare le sue parti basse, la sensazione tra le sue gambe. No, decisamente non aveva soltanto sognato quell’uomo meraviglioso, perché non c’era modo di confondere quella sensazione di dolore piacevole in mezzo alle gambe con qualcos’altro che non fosse l’essere stata pompata con forza da un cazzo enorme. L’uomo era senza ombra di dubbio stato reale. L’unica domanda, allora, restava: dov’era?

Sentendo il bisogno di trovare la risposta, Cara aprì gli occhi con tutta la forza che riusciva ancora a sentire dentro di sé. Chiunque avesse inventato il Sole doveva essere proprio un figlio di puttana, non c’era altra spiegazione. Stringendo con forza le palpebre, sbattendole continuamente, cercando di non vomitare, si guardò intorno con dolore. Il suo letto era vuoto se non per lei, e così anche il resto della stanza.

Ovviamente, l’uomo si era preso ciò che voleva e se n’era andato. Il che era giusto, perché Cara non poteva dire di non aver fatto lo stesso in più di un’occasione. Ma, di solito, quelle volte erano un po’ diverse da quella; perché quando lei era sparita, era stato perché la persona con cui era andata a letto era stato un totale perdente. Ma quell’uomo meraviglioso era sgattaiolato via dalla stanza di una donna eccezionalmente meravigliosa. Perché mai l’avrebbe fatto?

Cara decise che avrebbe messo a freno quei pensieri e quelle domande, e si focalizzò piuttosto sul non vomitare. Sarebbe stato difficile, ma lei era sempre pronta ad accettare una sfida.

Dopo ciò che sembrò un’ora a provare, decise che aveva davvero bisogno di un drink. Non necessariamente una birra, in realtà, però quella era sempre nel menù. Alla birra, Cara, non rifiutava mai. No, quello di cui aveva davvero bisogno era dell’acqua. Così, spingendosi fuori dal letto, Cara portò il suo corpo nudo verso il bagno e si riempì un bicchiere dal rubinetto del lavandino.

Su quella lista di persone che meritavano di morire, Cara aggiunse mentalmente chiunque fosse stato a scegliere una luce fluorescente per i bagni d’hotel. E sì, lo sapeva meglio di chiunque altro che non avrebbe dovuto guardarsi allo specchio… però lo fece lo stesso. Aveva un aspetto orribile. Non c’era da chiedersi perché quell’uomo meraviglioso fosse andato via prima che lei potesse svegliarsi. Avrebbe fatto la stessa identica cosa, se si fosse ritrovata una creatura come quella che vedeva riflessa nello specchio accanto a lei, come prima cosa appena sveglia.

Incapace di restare a guardare per un altro secondo, Cara distolse lo sguardo. Era in vacanza. C’erano cose a cui non poteva pensare, e luoghi nella sua testa in cui non avrebbe dovuto andare.

Dopo aver ingerito quanta più acqua possibile, Cara decise che doveva uscire dalla sua stanza e mettere qualcosa sotto i denti. Un bel Bloody Mary sembrava ideale in quel momento. Però, Dio, che sia maledetta la persona che ha inventato ben sedici piani! C’era davvero bisogno di essere così lontani dal luogo in cui si mangia? Chi l’aveva considerata una buona idea?

Dopo aver cominciato a sentirsi nuovamente un essere umano, Cara ritrovò il suo bikini e se lo riportò addosso. Quella volta si coprì con un pareo, prese un bel cappello di paglia dalla valigia e il paio di occhiali più scuri che avesse. Vestita in maniera appropriata, si trascinò finalmente fuori dalla sua stanza e andò alla ricerca di un posto che potesse venderle un bel Bloody Mary.

Ma la verità era che non aveva alcuna voglia di andare gironzolando, non in quello stato; così, invece, decise di ripercorrere la strada verso l’unico posto che la sua mente in quel momento era in grado di ricordare. Mettere piede fuori dall’edificio e sotto il Sole fu una sfida, ma lei riuscì a superarla come sempre.

Sorprendentemente, fuori era pieno zeppo di persone. Che ore erano? O meglio… quanti giorni erano passati?

Ancora una volta si fece strada verso il bancone del bar all’interno della piscina, una volta tolto il pareo ed essere entrata in acqua. Se qualcuno le avesse detto che si sarebbe ritrovata a fare tutta quella quantità di attività fisica in vacanza, Cara avrebbe riso loro in faccia. Eppure, eccoci qua.

«Potrei avere…» Cara cominciò, ma si fermò nel momento in cui divenne chiaro a tutti, ma soprattutto a lei, del deserto che aveva dentro la bocca. «Un Bloody Mary, per favore.»

«Arriva subito, signora» disse il barista, diverso da quello della sera precedente, prima di girarsi e prepararle velocemente ciò che aveva chiesto.

Cara prese il bicchiere di vetro tra le mani, portandolo prima sulla fronte. «Che tu sia benedetto» disse all’uomo, che la guardava come se sapesse esattamente cosa stesse provando in quel momento. «Hai fatto un lavoro meraviglioso» disse, con un tono di voce che non ammetteva repliche.

Quando provò a mettere la cannuccia dentro la bocca, però, Cara si rese conto che non stava facendo le cose in maniera corretta; perché non c’era modo che lei continuasse a bere in piedi all’interno della piscina. Poteva ancora sistemare la situazione, però, e così—alzando il bicchiere in aria più di quanto fosse realmente necessario—Cara si fece strada verso le scalette per uscire dall’acqua.

Avendo fatto molto più esercizio fisico di quanto fosse giusto per una persona in vacanza, Cara andò cercando con lo sguardo il posto perfetto dove sedersi, trovandolo subito dopo su una sedia a sdraio nascosta dal Sole da una delle grandi palme che sembravano ricoprire questo intero resort. Finalmente sdraiata e coperta dal suo pareo, Cara cominciò ad occuparsi della sua guarigione. Sorso dopo sorso, l’alcol sembrò fare il suo effetto, a lavorare dentro il suo corpo, e per quando arrivò alla fine del bicchiere, i suoi occhi erano troppo stanchi per restare aperti. Cara si addormentò.

Furono cinque minuti? Un’ora? Non c’era modo di saperlo. L’unica cosa che sapeva, quando alla fine riaprì gli occhi, fu il motivo per cui si era risvegliata di tutto principio: perché accanto a lei si era seduta una persona, che in quel momento era intenta a fissarla dall’alto, chiaramente intenta ad attirare la sua attenzione.

Stringendo le palpebre per un attimo, Cara alla fine aprì gli occhi. All’inizio, l’uomo di fronte a lei non era nient’altro che una sagoma sfocata, ma più la vista riprendeva a funzionare, più lui cominciava a prendere una forma reale. Era certa di averlo già visto, ma dove… la sua mente non sembrava voler collaborare.

Sfortunatamente, di una cosa era certa: non era l’uomo meraviglioso con cui aveva dormito la notte prima. Certo, quell’uomo era ugualmente bellissimo, ma non era lui. Eppure… dove l’aveva già visto?

«Signorina Reeder? È il suo nome, vero?»

E come diavolo faceva a sapere il suo nome?

«Sì, è il mio nome. Ci conosciamo?» chiese Cara, non riuscendo a trovare le forze per essere meno diretta.

«Non siamo stati presentati. Il mio nome è Brik Evander.»

«Okay… e questo dovrebbe significare qualcosa, per me?»

«Forse» disse l’uomo, con un sorrisetto divertito. «Del resto, sono il proprietario di questo hotel.»

Cara strinse gli occhi un’altra volta, cercando di guardarlo meglio. Fu solo in quel momento che sembrò finalmente ricordarsi dov’è che lo aveva già visto. Quello era l’uomo che stava camminando con il Sig. Charles il giorno prima. In altre parole, sicuramente era uno dei facchini dell’hotel che aveva voglia di fingersi qualcuno che in realtà non era.

«Ah-ah. Sì. Okay. Ed io sono la Duchessa dello York. Piacere di conoscerti» disse allora, prima di chiudere gli occhi di nuovo, sperando di riuscire ad addormentarsi un’altra volta.

«Devo dedurre dal suo tono che non è, in realtà, la Duchessa dello York.»

Il tono della sua voce fu ciò che costrinse Cara ad aprire gli occhi un’altra volta: sul suo viso trovò un sorrisetto divertito. Cara ebbe la netta sensazione che quell’uomo la stesse prendendo in giro.

E, infatti, lui poi continuò a parlare. «Sono davvero dispiaciuto di dover rovinare la sua copertura, ma la verità è che, ad essere onesti e sinceri, io ho conosciuto la reale Duchessa dello York. Una gran donna. Lei non è quella che ho conosciuto.»

Cara non era certa di sapere se avesse dovuto sentirsi offesa da quelle parole. «Cosa sta cercando di insinuare, esattamente?»

L’uomo si fece immediatamente un po’ più serio. «Non cerco di insinuare proprio nulla. Sto semplicemente cercando di dire che lei è Cara Reeder, una persona che, mi è stato detto, è venuta qui di tutto principio per provare a vendere la sua birra nei nostri ristoranti. È giusto?» chiese, con sicurezza.

In un attimo, Cara si sentì totalmente persa. Non sapeva più cosa pensare di quell’uomo. «Aspetti, chi ha detto di essere?»

«Come ho detto, il mio nome è Brik Evander, e sono il proprietario di questo hotel.»

Quella volta, Cara pensò che non stesse provando a fare una battuta. Sedendosi, permise a quella frase di girare nella sua testa, per capire cosa pensare a riguardo.

«No, che non lo è» decise infine.

«Non sono… Brik Evander?» chiese lui, confuso.

«No, non m’importa il suo nome. Voglio dire, potrà anche essere Brik Eva… qualcosa, ma so per certo che questo non è il suo hotel.»

L’uomo dal bell’aspetto di fronte a lei la guardò incuriosito e, incrociando le braccia al petto, le fece cenno di continuare.

«Beh, mi scusi se glielo dico, ma… ovviamente, prima di venire qui ho fatto le mie ricerche. Questo resort è di proprietà di una compagnia multinazionale, non di un qualunque uomo che dice di esserne il proprietario.»

«Beh, ha ragione. Questo resort e altri sono sotto la proprietà della stessa multinazionale. Ma io sono la persona a capo di quella multinazionale. Il che mi rende, per logica e anche in via legale, il proprietario stesso di questo hotel» disse, un sorrisetto divertito ad incurvargli le labbra.

Cara si fermò a guardarlo attentamente. Non poteva essere serio, giusto? Come poteva un uomo solo possedere non solo questo albergo, ma anche un giro di resort simili in giro per il mondo?

No, non poteva essere vero. Se fosse stato vero, l’uomo di fronte a lei doveva avere più soldi di quanti la mente umana riuscisse a concepire; o quanto meno, più soldi di quanto la sua mente riuscisse a concepire. Ma quel tipo di uomo, Cara si disse, lei se l’era sempre immaginato avere lo stesso aspetto dell’omino sulla scatola del Monopoli. Non uomini belli da mozzare il fiato, con una corporatura degna da supereroe.

«Quindi… lei sta cercando di dirmi che possiede questo resort.»

«È esatto, sì» disse Brik, con un sorriso.