LA SUA MIGLIOR PESSIMA DECISIONE

Capitolo 1

Lexi

 

Sentite… io posso anche essere in Giappone da soli due anni, ma persino io so che se ti capita di incontrare un ragazzo Giapponese con le braccia completamente tatuate, non stai guardando un hipster con una passione per i gruppi musicali che hanno nomi di merda. No, perché avere le braccia tatuate hatutto un altro significato nella terra del Sole Nascente. Al 70% dei casi, se vai in giro con il corpo tatuato allora di sicurosei un membro della Yakuza. E non posso credere che la mia migliore amica, Saki, non lo sappia. Dovrebbesaperlo anche meglio di me. Purtroppo, però, conoscendola, quello è probabilmente uno dei motivi per cui ci troviamo in questa situazione di tutto principio.

«Stai cercando di farci catturare per essere vendute come schiave?», le sussurro nell’orecchio.

«Tu leggi troppe fiction», mi risponde, con quell’accento Giapponese un pelo snob che non fa altro che ricordarmi, costantemente, della posizione della sua famiglia in questa società.

«Forse la tua famiglia potrebbe permettersi di pagare il riscatto ma, ti assicuro, la mia no.»

Lei ride, come se stessi scherzando. Io però sonoserissima. Mentre suo padre è il CEO di una delle quattro compagnie telefoniche più importanti del Giappone, mio padre ha una piccola concessionaria in Eugene, Oregon. La Yakuza avrebbe potuto mandargli tutte le dita che possedevo, e l’unica offerta migliore che lui avrebbe potuto fare sarebbe stata il 5% in meno sul prezzo di listino sul nuovo modello in vendita. Che poi, se vogliamo essere sinceri, quella sarebbe un’offerta davvero conveniente, sarebbe da stupidi ignorarla. Ma non sarebbe di certo ciò che cercano loro.

«Tu ti preoccupi troppo», mi assicura lei. «È un bravo ragazzo, che vuole solo parlare con noi e offrirci da bere. Lasciati andare un po’, Lexi. Ti farà bene.»

Quando il ragazzo torna al tavolo con i nostri shots, lancio un’occhiata veloce alle sue mani: ha ancora tutte le dita. Ed è con quella sicurezza che comincio a considerare il consiglio di Saki. Beh, sì, forse sono un po’ rigida. E tutto sommato, non è forse quello il motivo di quest’uscita? Lasciarsi andare? Del resto, non succede proprio tutti i giorni di scoprire che il ragazzo con cui hai avuto una relazione per gli ultimi quattro anni non ha fatto altro che tradirti da quando ti sei trasferita.

Forse il bastardo non si ricordava della conversazione che avevamo avuto prima che me ne andassi? Sapevo che finire l’Università in Giappone sarebbe stato un colpo non semplice da gestire per la nostra relazione. Ed ero stata io ad offrirgli una via d’uscita. Gli avevo detto forte e chiaro che non mi sarei potuta permettere un biglietto di ritorno per un bel po’, e che non importava quanto avessimo parlato, lui si sarebbe inevitabilmente sentito solo. Ed era stato lui ad insistere che mi amava abbastanza per farla funzionare. Beh, evidentemente “farla funzionare” per lui significava infilare il cazzo nella cavità vaginale di un numero indefinito di persone.

E così, mentre lui si portava a casa qualsiasi cosa in grado di respirare, io me ne stavo ferma e fedele ad un pezzo di merda in un Paese pieno di uomini meravigliosi. Certo, nessuno di loro è mai sembrato interessato a me. Ma non è quello il punto. Il punto è che avrei potuto flirtare liberamente con loro, e poi tirarmi timidamente indietro rifiutando gli appuntamenti. Invece, per gli ultimi due anni mi ero limitata a fare da spalla alla mia migliore amica mentre lei flirtava con ogni ragazzo che le capitasse a tiro.

Questa serataè stata pensata da Saki come un modo per ribaltare le cose. Ha insistito per portarmi fuori a festeggiare la mia ritrovata libertà. Ovviamente, non ha idea di come ci si senta dopo la fine di una relazione lunga quattro anni. Ma ad essere onesti e sinceri, non posso dire che l’idea di fare sesso dopo quattro anni di siccità non sia allettante.

Certo, non sono eccitata abbastanza da farmi andare bene l’idea di essere venduta come schiava dopo il sesso, però la notte è ancora giovane e piena di possibilità. E sono passati due anni dall’ultima volta che ho fatto sesso.

«O—ka—mi! O—ka—mi! O—ka—mi!»

Se c’è una cosa che non mi era mai capitata di sentire durante questa mia permanenza in Giappone, sono grida di incitamento in un bar.

Sentirle è inaspettato abbastanza da tirarmi fuori da quell’analisi interiore su come potrebbe andare a finire la mia serata, e portare la mia attenzione alle persone intorno a me. Tutto quel calore è inusuale, in Giappone. Soprattutto perché il coro si è ora trasformato in vere e proprie urla. Ci sono così tante regole culturali sul parlare piano e mischiarsi alla folla, che urla da bar in stile Americano sono l’ultima cosa che mi sarei mai aspettata di vedere.

«Che sta succedendo?» sussurro a gran voce all’orecchio di Saki, tirandola fuori dalla conversazione con Mike, il possibile trafficante di donne.

Saki guarda prima me, poi le varie TV in giro per il bar.

«È il baseball. Non hai mai sentito parlare di Okami?»

«Avrei dovuto?» le chiedo, quasi sul punto di ricordarle che non tutti gli Americani nel mondo amano il baseball.

«Beh, sì, avresti dovuto. È il giocatore di baseball più famoso della squadra di Tokyo.»

«Okay» rispondo, come se quell’informazione abbia qualche importanza per me.

«È una persona parecchio importante» s’intromette Mike di punto in bianco.

Ma come ha fatto a sentirmi? È così che la mia vita come schiava sta per cominciare?

«È americano, come te. Pensavo che tutti gli americani fermi a Tokyo si conoscessero?» mi chiede, con un sorriso.

Decido di mettere da parte quel velato razzismo, e alzo gli occhi sullo schermo più vicino al nostro tavolo. La mia capacità di leggere il giapponese, ammetto, non è granché, ma da quello che posso capire, il ragazzo che la gente acclama si chiamava Forrest Wolf. Ed ora le cose cominciano a prendere senso: Okami, in giapponese, significa lupo. Significa anche “padrone di casa”, ma mi sembra impossibile che sia questo il modo in cui la folla, al bar, intenda chiamarlo.

Presa da ciò che sta mandando in onda il televisore, comincio a capire perché la gente sia così eccitata. La squadra di Tokyo è sotto di due punti, e Forrest Wolf è di battuta. A quanto pare, ha fatto due strikes ma niente palla. Non ci capisco molto di baseball, però anche io, con la mia ignoranza, riesco a capire che sia una cosa importante.

«Vedrai, ci metterà tutto se stesso» mi dice eccitato Mike. «Okami corre sempre fuori campo.»

«O—ka—mi! O—ka—mi!» continua ad urlare la folla.

Okay, non può fregarmene di meno del baseball, ma riesco a capire cosa ci sia di così interessante da portare la gente ad urlare. Ogni singola persona nella stanza ha gli occhi puntati sul Lupo Americano, che sannofarà bene il suo lavoro. Mentre la mazza si alza in aria, la sala si riempie di una sorta di sospiro collettivo, e tutti nella stanza sembrano trattenere il respiro. Poi Wolf colpisce la palla, e sembra quasi come se qualcosa si sia rotto. Ma quando la palla comincia a volare sempre più in alto, arrivando esattamente dovedeve arrivare, la folla comincia ad urlare. Sono tutti su di giri. Anche Saki sembra parecchio eccitata, ed io sono abbastanza certa che lei, di baseball, ne capisca meno di me.

«Voi Americani riuscite sempre a fare le cose» dice Mike, contento. «Abbiamo bisogno di più shots, per festeggiare!»

Non sarò mai in grado di abituarmi a questa cosa, non importa quanto tempo io passi ancora in Giappone. Andare fuori a bere non è mai un’esperienza che puoi goderti in tranquillità con un’amica, in un posto tranquillo. Le persone bevono un sacco, in Giappone. È martedì sera eppure ci sono uomini d’affari vestiti di tutto punto, con i loro pantaloni blu scuro e le loro camicie bianche, intenti a bere come se non ci fosse un domani. Berranno fino a tornarsene a casa barcollando, e poi l’indomani mattina si alzeranno e andranno a lavoro con i postumi da sbronza. E la cosa peggiore è che lo rifaranno di nuovo il giovedì sera. E subito dopo, il venerdì. È così che fanno, loro. E infatti, se riesci a beccarti un invitoè un disonore per loro ricevere un rifiuto. Lavorare dieci ore al giorno e poi passarti altre tre ore a bere è ciò che si fa, qui.

Forse, considerate le circostanze e quanto la mia vita sia cambiata con un solo avvenimento, dovrei cominciare a mettermi in pari con questo programma anche io. Del resto, una volta a Roma, prenditi una sbronza e scopati un bel ragazzo italiano, no? Non è così che recita, il detto?

«’Fanculo. Sì, beviamo ancora» dico al trafficante di sesso, lasciando che le mie origini prendano per un attimo il sopravvento.

Dopo il terzo giro di alcol comincio davvero a lasciarmi andare. Ma cosa mi aveva detto il cervello, a restare fedele a quello stronzo del mio ex per tutto quel tempo? Non sono neanche sicura di averlo amato davvero. Voglio dire, era okay come persona. E stare con lui era decisamente meglio che stare da soli. Ma non ne è valsa la pena, restare illibata per due anni interi soltanto per lui. Col cavolo che ne è valsa la pena!

È arrivato il momento di cambiare le cose. Ho bisogno che questa serata finiscadentro una camera di uno di quegli hotel dell’amore che vanno così tanto di moda in Giappone, e qualcuno dentro di me. L’unico problema è che, in quel momento, le mie uniche opzioni sono uomini d’affari giapponesi.

E non fraintendetemi, i Giapponesi per me sono sempre stati meravigliosi. Con un po’ di alcol, posso ammettere anche a me stessa che il mio interesse verso gli uomini giapponesi ha avuto un ruolo fondamentale nella mia scelta di finire l’Università all’estero. Ma il problema non è altro che culturale.

Punto primo, gli uomini Giapponesi devono essere le creature più timide su questo pianeta. Non saprei nemmeno spiegarmi come abbiano fatto a riprodursi così tanto.

Numero due, e sono certa questosia il problema più grande, gli uomini Giapponesi hanno un tipo di corpo ben preciso in mente, nello scegliere con chi andare a letto. Il loro ideale somiglia al corpo di una quattordicenne. Ed io non sono per niente così. Sono una donna con le curve. Tante curve. Considerato quanto loro siano magri, praticamente io sono più grande di loro. Come posso non sentirmi in imbarazzo o fuori posto, a parlare con loro?

Forse è quella la ragione per la quale non ho mai tradito il mio ex? Potrebbe essere. Ma non mi metterò a pentirmi mai di questa scelta. Lui mi ha tradito. Io no. Io resto superiore.

Sentendomi un po’ stanca e depressa, mi giro verso Saki, che invece sembra divertirsi un mondo.

«Non voglio stare qui. Non c’è nessuno qui, per me.»

Mi aspetto che Saki ribatta, che mi vada contro. Ma non lo fa. Si gira a controllare la folla, annuisce d’accordo, poi si gira verso Mike e comincia a parlare con lui in giapponese fitto. Io li fisso come se sapessi esattamente di cosa stiano parlando, e nell’attesa mi perdo a pensare a quanto velocemente Saki abbia concordato con me che non ci sia nessuno in questo posto a cui io possa risultare interessante. Voglio dire… è un conto che sia io a dire a me stessa che non c’è nessuno che possa trovarmi attraente, in questo bar. Ma vedere la tua migliore amica concordare, beh quella è tutta un’altra storia. I Giapponesi sono fin troppo diretti.

«Haruto dice che conosce un posto dove possiamo andare. È riservato solo ai Giapponesi, ma dice che può farci entrare», mi spiega Saki.

Dopo aver scoperto che il trafficante si chiama in realtà Haruto, mi chiedo se Saki abbia capito il motivo per cui voglio andarmene da qui. Come farà mai un bar esclusivamente giapponese ad aiutarmi a prendere tutte le scelte sbagliate, questa notte?

Certo, andare in un altro bar con qualcuno che decisamentefa parte della mafia giapponese può, a conti fatti, essere considerata una scelta sbagliata. Ma non è esattamente quel tipo di scelta sbagliata che io sto cercando di fare.

«Beh, ‘fanculo. Okay, andiamo» le dico, contenta almeno di poter cambiare visuale.

«Yay!» dice Saki, in un modo che mi ricorda tremendamente gli anime.

«Mi farò preparare l’auto» dice Haruto, confermando per sempre i miei sospetti che faccia parte della Yakuza.

Nessuno ha una macchina a Tokyo. Nessuno! Okay, forse entrambi i genitori di Saki hanno una macchina. Ma nessuno della nostra età può permettersene una in città. È chiaro che Haruto stia cercando di fare buona impressione su Saki, e da ciò che posso vedere… beh, sta funzionando.

È bella, ma Dio quanto può essere stupida la mia migliore amica… penso, mentre la seguo verso la macchina di Haruto.

«Non resterò per molto» le dico, vicine alla porta del bar.

«Oh… perché?» mi chiede lei, sembrando delusa.

«Non lo so, non penso mi piaccia questo posto. E poi… chi ce lo dice che mi faranno entrare?»

«Haruto dice che ti farà entrare.»

«Saki, lo sai che fa decisamente parte della Yakuza, vero?»

Saki ridacchia. «Non essere stupida. Non fa parte della Yakuza. È un ragazzo normalissimo.»

Come dicevo: bella. Ma parecchio stupida.

«Okay, come vuoi. Ma non credo comunque che resterò per molto.»

Questa volta Saki non dice nulla. Si limita ad afferrare il mio braccio, intrecciandolo al suo, e poi appoggia la testa sulla mia spalla. Sì, è parecchio stupida. Ma è anche parecchio dolce. Non è per niente una persona cattiva, ed io questo lo apprezzo.

Ora, non potrei mai dirvi tutto ciò che si stanno dicendo Haruto e il bodyguard fuori dal locale, ma posso spiegarvi cosa sembra. Immaginate un lottatore di sumo senza capelli con un completo elegante addosso. E adesso immaginate un giovane, magro ragazzo Giapponese che gli urla contro aggressivamente, il tutto mentre il lottatore di sumo lo guarda con la coda dell’occhio. Nonostante stia morendo di imbarazzo, devo almeno concedergli questa: Haruto vuole davvero entrare dentro le mutande di Saki così tanto che farà letteralmente tutto ciò che è in suo potere per poter entrare in questo posto esclusivo.

E sapete, questo in qualche modo mi fa sentire un po’ meglio riguardo l’intera serata che sto passando. C’è un ragazzo intenzionato a fare di tutto per farmi passare una bella serata. Certo, magari lo sta facendo per assicurarsi la mia presenza abbastanza da drogarmi e poi vendermi al miglior offerente, ma almeno in questo momento mi sento ben voluta. Ed è sempre una bella sensazione.

Quando il lottatore di sumo alla fine decide di cedere e ci lascia entrare, dovevo ammettere che è una bella sensazione. Il mio ex non avrebbe mai fatto una cosa del genere per me. Forse Saki ha più occhio di me, quando si tratta di uomini. Forse ho solo bisogno di un cattivo ragazzo gentile. Qualcuno che lotti per me e per il mio amore, e che mi insegni a sentirmi di nuovo una donna.

«Shots?» chiede Haruto, pronto a dirigersi al bancone.

«Abso-fucking-lutely!», gli dico in inglese.

Lui non capisce una singola parola di ciò che ho appena detto.

«Sì, grazie», ripeto in giapponese.

«Vedi qualcuno che ti piace?» mi chiede Saki, una volta rimaste sole.

Non riesco proprio a capire perché Saki voglia giocare a quel gioco. Ma va bene… giocherò con lei.

Ispeziono la stanza, senza riuscire a trovare nessuno che catturi davvero la mia attenzione. Non perché non ci siano bei ragazzi. Per esserci, sono qui. Ma non è quella la cosa importante, perché nessuno di loro mi avrebbe guardata in nessun altro modo se non come la straniera con le curve. E sto appunto girandomi per dirlo a Saki, quando i miei occhi cadono sul bancone di fronte, ed io riesco a trovare l’unica faccia non giapponese all’interno del locale.

Mi chiedete se i miei occhi siano caduti su di lui perché non è Giapponese? No, no, il motivo non è quello. I miei occhi sono caduti su di lui perché è incredibilmente sexy. Sembra avere pressappoco venticinque anni, ed è messo proprio bene. A guardare quanto squadrata sia quella sua mandibola, mi chiedo come deve essere il suo petto sotto quella maglietta. E come ha fatto ad entrare vestito in quel modo? E perché tutti accanto a lui sembrano pendere dalle sue labbra?

«Lo sai chi è quello?» chiede Haruto, di ritorno con i suoi sei shots per tutti e tre.

Dio santo, da quanto tempo lo sto fissando?

«No, chi?» gli chiedo, senza riuscire a togliergli gli occhi di dosso.

«Quello è il tuo amico americano. Okami.»

I miei occhi saltano un attimo su Haruto, giusto il tempo di assicurarmi che sia serio. Sembra parecchio eccitato.

«Quello è il giocatore di baseball?» chiede Saki, d’un tratto interessata alla conversazione. Fissa i suoi occhi su di lui, e Haruto deve averlo notato, perché non gli va molto a genio.

«Non è così speciale» dice subito. Ma io non posso fare altro che dissentire.

Sapete quella sensazione, quando stato fissando una persona senza porvi nessun problema, e quella persona ha l’audacia di cogliervi sul fatto? Beh, lasciate che ve lo dica, non è proprio una bella sensazione. E sapete quando avete bevuto un po’ troppi shots e la vostra reazione è così lenta che sembra proprio strisciare? No, nemmeno io. Però sembra proprio che, detto da un amico, equivalga quasi all’essere scopati con gli occhi da un famoso giocatore di baseball in un locale solo per Giapponesi.

«Ti sta fissando?» mi chiede Saki, facendo addolcire il mio ego.

«No», rispondo quando finalmente riesco a distogliere lo sguardo, consapevole che lui lo stiainvece facendo.

«Lexi, ti stava fissando!» dice, più sorpresa di quantodovrebbe essere, secondo la mia modesta opinione.

«Dai, smettila. Non mi stava fissando.»

Mi sta assolutamente fissando.

«Dovresti andare a parlargli», mi suggerisce.

«No!»

Posso capire perché Saki pensi che tutti gli Americani siano sfacciati, ma per chi mi ha presa? Non ho intenzione di alzarmi per andare a fare la mia brutta figura con un giocatore di baseball in un bar. Certo, quegli shots mi stanno dando più coraggio del previsto, e non la considero proprio una brutta idea come normalmente farei. Ma fino a questo momento, ho ancora un po’ di rispetto per me stessa.

Persa a considerare quanti shots mi ci vorrebbero ancora per poterlo perdere completamente, guardo Saki e la trovo con gli occhi improvvisamente spalancati.

«Che c’è? Che succede?»

Sta succedendo qualcosa con Haruto che io non riesco a vedere? Sta cercando di toccarla da sotto il tavolo, quel bastardo?

Ma quando Saki fissa gli occhi dietro di me, capisco che non è quello. Sta succedendo qualcos’altro, e sembra quasi che Saki stia cercando diutilizzare qualsiasi potere telepatico possa avere per farmi capire di non perdere la testa. Il mio cuore sprofonda nel petto, ed io mi sento improvvisamente spacciata. Eccolo arrivato, il momento che temevo da tutta la sera. È arrivato il momento in cui qualcuno mi rapisce e mi trasforma in una schiava. Spero almeno che mi diano l’assicurazione sanitaria.

«Ciao, posso offrirvi da bere?» la voce più bella che io abbia mai sentito dice dietro di me, in un inglese perfetto.

La mia pelle prende a formicolare, quando d’un tratto il mio cervello comincia a capire cosa sta succedendo.

Il mio cuore prende a battere forte nel petto, e mi sento quasi leggera quando mi rendo conto.

Inglese perfetto. Inglese Americano, perfetto.

C’è soltanto una persona, all’interno di questo bar, che può parlare l’inglese in questo modo, oltre me. Dio Santo, il giocatore sexy seduto al bancone ha appena deciso di attraversare tutta la sala per venire da noi!

È qui per Saki? Beh, può assolutamente essere. Non sarebbe di certo stato il primo a raggiungerla dall’altro capo della sala. Ma è questo il caso, anche questa volta?

Quando alla fine trovo il coraggio di girarmi e incontro i suoi meravigliosi occhi verdi, però, scopro che no… non lo è. Dio Santo, il più bel ragazzo che io abbia mai visto in vita mia sta guardando me!

Dio, ho davvero bisogno di fare pipì.

 

 

Capitolo 2

Lexi

 

«Parli inglese?» mi chiede il ragazzo fin troppo bello che ho di fronte.

Tutto quello che riesco a fare è annuire velocemente col capo, come fossi incapace di parlare. Perché lo sono. Certo, sto sicuramente facendo una bruttissima figura, ma non è colpa mia. Mi sta scoppiando la vescica.

«Americana?», mi chiede.

Io annuisco un’altra volta.

«Lo sapevo! Riesco a riconoscere un altro americano da miglia di distanza! Ciao, sono Forrest Wolf» mi dice, nel modo più arrogante possibile.

Fissando la sua mano tesa verso di me, so prima ancora che succeda cosa sto per fare.

Perché, Dio Santo? Cosa mi ha portato a farlo? Forse davvero non m’importa più di non sembrare una pazza schizzata. Forse non voglio più tenere la maschera addosso. Deve essere questo.

Perché invece di stringere la sua mano e accettare quel piccolo gesto arrogante come tutte le persone normali, io lo guardo invece fisso negli occhi e poi dico: «O—ka—mi.»

E non lo dico soltanto una volta. O, no, sarebbe stato bello dirlo soltanto una volta. No, io inizio un coro. Sì, avete capito bene. La ragazza straniera che è entrata nel bar di soli Giapponesi per puro caso,ha appena alzato il pugno in aria e ha cominciato ad intonare: «O—ka—mi!»

E per mia sorpresa, alla terza volta le persone cominciano ad unirsi a me. Ben presto non sono solo io ad umiliare il più bel ragazzo che mi abbia mai rivolto la parola, ma l’intero locale pieno di uomini d’affari e membri della Yakuza.

Con gli occhi fermi dentro i suoi, riesco a vedere l’esatto momento in cui il ragazzo si trasforma da arrogante giocatore di baseball, ad un semplice ragazzo che avrei potuto incontrare per strada. Certo, resta assolutamente meraviglioso, ma almeno ha tolto quella maschera da icona Giapponese.

E quando le sue guance si tingono completamente di rosso, come fosse un ragazzino umiliato ed insicuro, fermo il mio coro e mi sento subito in colpa. Non volevo metterlo in imbarazzo. Okay, beh, forse lo volevo. Forse era esattamente quello il mio piano. Ma in questo momento il mio cuore si sta spezzando per lui, e devo trovare un modo per porre fine a quel coro.

«Okami», dico velocemente, battendo le mani e fischiando.

Per mia sorpresa, e sollievo—esattamente come per Wolf—il coro cessa immediatamente. Ancora con gli occhi fissi su di lui, io cerco di non perdere la mia dignità in tutto e per tutto. Mi sento così tanto in colpa per ciò che ho fatto che non so neanche cosa mi porti a non darmela a gambe levate dalla vergogna.

È quando il mio sorriso imbarazzato e per niente convinto comincia a scemare, che gli sento dire l’unica cosa che non mi sarei mai aspettata.

«Quindi hai sentito parlare di me. Fantastico. Per un attimo avevo temuto di dover iniziare quel coro per i fatti miei», dice, le sue guance rosse di imbarazzo ad aprirsi piano piano in un sorriso.

«No, è che ho capito che stavi per farlo e ho voluto risparmiarti la fatica» dico, non riuscendo nemmeno a spiegare quanto gli sia grata di aver cancellato quel momento. «Vuoi che lo faccia un’altra volta?» gli chiedo, aprendo la bocca pronta ad urlare di nuovo e a spararmi in entrambi i piedi per la mia deficienza, quando lui fortunatamente mi ferma.

«No, va tutto bene» dice velocemente. «Una volta basta e avanza. Non vorrai mica che mi si ingigantisca così tanto l’ego.»

«No, mi sa che non voglio.»

«No, non vogliamo entrambi. Quindi, ora che abbiamo capito che sei al cento per cento americana, cosa ne pensi di dirmi come ti chiami?»

Lo fisso sorpresa. Dopo tutto quello che ho fatto, sta davvero restando a parlare con me? È da pazzi. Forrest deve essere proprio pazzo. Voglio davvero continuare a parlare con una persona che non ha, chiaramente, tutte le rotelle al posto giusto?

«Lexi Rubin» rispondo immediatamente, ricordandomi che a me piacciono i pazzi.

«Piacere di conoscerti» mi dice, tendendo la mano verso di me un’altra volta.

Wow. La sua mano è così grande, a confronto con la mia. Mi sembra quasi di perderla, stretta dentro la sua. La mia mente, ovviamente, si perde subito dopo a pensare a quanto quella stessa cosa sarebbe potuta succedere con i nostri corpi. A quanto il suo avrebbe inghiottito il mio. Non posso farci niente. Sono passati due anni dall’ultima volta che ho fatto sesso, e lui è così sexy che sono certa la gente prenda fuoco al suo passaggio.

«Ti chiederei se sei qui in vacanza, ma sei una straniera dentro un bar per soli Giapponesi, quindi… mi sa che questo risponde alla domanda.»

«No, vado all’Università qui. Sono qui con la mia amica Saki, e Haruto ci ha fatto entrare.»

Forrest si gira a guardare Saki e Haruto, facendo un cenno del capo a mo’ di saluto. D’un tratto Haruto sembra contento di aver insistito con il bodyguard per farmi entrare nel locale. Ha un sorriso che va da un orecchio all’altro. I Giapponesi amano davvero tanto il baseball.

«Grazie per averla fatta entrare», dice Forrest ad Haruto.

«Certo», risponde lui, probabilmente troppo occupato ad urlare internamente per poter pensare a qualcos’altro da dire.

«Perché mai lo stai ringraziando di avermi fatto entrare?» gli chiedo, trovandolo un po’ strano.

«Beh, perché se non fossi entrata non ti avrei incontrata. E se non ti avessi incontrata, tu non avresti mai fatto partire quell’incantevole coro» dice, col chiaro intento di punzecchiarmi.

«Ascolta… mi dispiace per il coro. Non so perché l’ho fatto. Deve averti dato parecchio fastidio.»

«Nah, non preoccuparti. Quando sono in campo, amo sentirlo intonare.»

«E quando sei in un bar?»

La risposta a quella domanda mi arriva in maniera silenziosa, con i suoi occhi nei miei ed un sorriso tirato. Ovviamente lo odia, ma sta cercando di essere un vero gentiluomo e non farmelo pesare. Dio, quanto voglio che faccia residenza fissa in mezzo alle mie gambe. Forse il trasloco sarebbe difficile da organizzare, ma farei in modo di trovargli posto.

«Bella partita stasera, comunque» gli dico, provando a cambiare argomento.

«Grazie, l’hai vista?»

«Una parte, sì» rispondo, e del resto era vero.

«Sei una fan del baseball?»

Mi fermo, cercando di capire quale risposta gli possafare più piacere sentire. «Non proprio, no. A malapena conosco le regole.»

«Sul serio? E allora come hai fatto a trovare esattamente il modo perfetto per mettermi in imbarazzo?»

«Mh… potrebbe essere una dote ottenuta dopo anni e anni passati a mettere in imbarazzo gli uomini?» suggerisco, alzando le spalle.

Forrest ride. «Wow! Dovrei preoccuparmi, adesso?»

«Sì?» suggerisco un’altra volta, perché chiaramente questa sera sto cercando in tutti i modi di far seccare la mia vagina a tal punto da farla scomparire per sempre.

«E allora come mai non ho per niente paura?» mi chiede, sorridendo.

«Scarsa capacità di giudizio?» suggeriscoancora, dandomi definitivamente la zappa sui piedi.

Forrest ride un’altra volta. «Non sarebbe la prima volta che qualcuno me lo dice.»

«Sul serio?»

«Wow! Non lo segui davvero il baseball, eh?»

«No, non lo seguo davvero.»

«Mi piace», mi confessa, sorridendo.

«Allora alla scarsa capacità di giudizio» dico, alzando il mio bicchiere.

«Aspetta, non ho nulla con cui brindare.»

Nel momento stesso in cui lo dice, Haruto gli passa il suo bicchiere, facendo piccoli inchini col capo subito dopo.

«Grazie» dice Forrest, per niente stranito da ciò che è successo, come se fosse abituato a ricevere drink dagli sconosciuti. «Alla scarsa capacità di giudizio», e i nostri bicchieri si scontrano prima che lui si scoli giù tutto il contenuto del bicchiere in un colpo solo.

Osservo l’uomo meraviglioso di fronte a me bere il drink di qualcun altro, e in quel momento due cose si fanno chiare: la primaè che davvero ha scarsa capacità di giudizio. Voglio dire, ha letteralmente bevuto un bicchiere pieno di qualcosa che non sa neanche cosa sia. Come ha fatto fino a quel momento a non svegliarsi ritrovandosi uno schiavo del sesso?

E, secondo, Saki ed Haruto stanno ascoltando ogni singola parola di quella conversazione. Guardo dietro di me per avere conferma, e… sì. Stanno proprio ascoltando, e non cercano nemmeno di negare l’evidenza. Devi amare la sincerità dei Giapponesi.

«Ehi, ti va di ballare?» chiedo a Forrest, sperando di poter avere un po’ di privacy.

Forrest getta uno sguardo alla pista da ballo, poi mi guarda di nuovo. «Non c’è letteralmente un’anima in pista.»

«Sì, ma tu sei Okami. Se tu balli… tutti ballano» dico, facendo un gesto mistico con gli occhi e le mani.

«Smettila» dice Forrest, un’altra volta in imbarazzo.

«Che c’è, non mi credi?»

«Andiamo, smettila.»

«Mh, e se scommettessimo?»

«Okay, che cosa vuoi scommettere?»

Ci penso per un secondo. È difficile aggrapparsi a pensieri normali quando i miei pensieri impuri prendono letteralmente tutto lo spazio.

«Se vinci tu, allora deciderai tu cosa facciamo dopo» gli dico, sentendomi coraggiosa.

«E posso scegliere qualsiasi cosa?»

Mi fermo un attimo a considerare. Chissà come me la sarei cavata a massaggiare uomini con il corpo nudo per il resto della mia vita.

«Qualsiasi cosa» confermo con un sorriso. «Ma lo dico soltanto perché so già che sarai tu a perdere.»

«Okay, mi sembra giusto. E che succede se vinci tu?»

«Vuoi dire… quando vinco io.»

«Okay, Miss Sicurezza. Che succede quando vincerai tu?»

«Allora sarò io a scegliere cosa faremo dopo.»

«Ovvero?»

«Immagino lo scoprirai se accetti la scommessa» rimbecco, cominciando a camminare verso la pista da ballo dopo avergli scoccato un sorriso civettuolo.

«Mh, okay. Ci sto. Accetto la scommessa.»

Se devo essere onesta, non ho la più pallida idea di ciò che succederà una volta cominciato a ballare. Questo tipo di persone ballano? So che bevono. So che cantano al karaoke come se fossero all’ultimo round di American Idol. Ma… ballano?

Non passa molto prima di scoprire la risposta a quella mia domanda interiore. Proprio quando comincio ad alzare le mani in aria, muovendo il corpo in maniera seducente, e lui comincia a fare dei piccoli movimenti imbarazzanti che sicuramente ha scambiato per mosse di danza, la pista comincia a riempirsi.

All’inizio è solo una persona, che potrebbe benissimo essere lì da prima che noi cominciassimo a ballare. Ma poco a poco altre persone cominciano ad unirsi. Quelle persone ballano? Ma certo che ballano. Ubriachi per come la maggior parte di loro è, ci deve essere solo una motivazione per la quale nessuno stava ballando prima che andassimo noi: perché gli uomini Giapponesi sono le creature più timide di questo mondo, e sicuramente nessuno di loro voleva andare in pista per primo.

Avvolgo le braccia attorno all’uomo sexy ma con scarsa capacità di giudizio, assaporando la mia vittoria. Sto per ricevere qualsiasi cosa voglia da lui. Lui! L’uomo più sexy che io abbia mai visto in vita mia. Da dove dovrei cominciare?

«Okay, quindi hai vinto tu» dice, le labbra vicine al mio orecchio. «Che cosa facciamo ora?»

Do la colpa all’alcol per ciò che dico dopo. «Mh, io propongo di lasciare i nostri amici qui e andarcene via.»

Forrest mi scocca uno sguardo compiaciuto. «Se lo dici tu, allora dobbiamo proprio farlo.»

Okay, lo so cosa state pensando. Non è una bella cosa da fare, non mi sto comportando da amica responsabile. Praticamente sto lasciando Saki da sola con qualcuno che sono ancora convinta faccia parte della mafia Giapponese. E, come se non bastasse, non le sto neanche dicendo dove sto andando, o se tornerò indietro.

Non mi sto comportando da amica. Ma volendo vederla in maniera più positiva, non mi aveva forse trascinata lei fuori, quella sera, proprio per finire a letto con qualcuno? Quindi, andandomene via con Forrest, non le sto forse facendo un favore? Sì, le sto proprio facendo un favore. Altro che cattiva amica, praticamente dovrebbero chiamarmi Madre Teresa. Ve lo dico io, non faccio altro che dare e dare. È stato un piacere, Saki, non devi ringraziarmi.

Con quelle giustificazioni e la mia razionalità a farsi fottere, io e Forrest usciamo dal locale ed entriamo nel buio della notte. Tutto sommato è ancora presto, quindi c’è ancora un po’ di gente per strada. Siamo a Shinjuku, la parte più interessante della città. Tutt’intorno a noi ci sono locali carini, un po’ più avanti troveremmo il Red Light District. Ma nessuna di quelle cose sono ciò che ho in mente.

«Allora, dove andiamo?» mi chiede Forrest, non sapendo cosa fare.

«Che ne dici se per ora semplicemente camminiamo?»

«Ah, mi piace questa idea» dice, poi allunga entrambe le braccia in due direzioni opposte, chiedendomi implicitamente dove voglia andare.

Scelgo una direzione ben precisa, facendogli credere che sia casuale, e lui mi segue.

«Allora… da quant’è che stai in Giappone?» gli chiesi.

«Da poco più di due anni.»

«Oh, quindi sei qui da un po’ più di me. Sei venuto qui per giocare a baseball?»

«Sì. Sono entrato in una squadra dopo un anno di college. Ho giocato in squadre minori per un bel po’. Poi, quando mi è arrivata l’offerta di giocare per il Giappone, ho accettato.»

«Perché il Giappone?» gli chiedo, avvicinandomi abbastanza da permettergli di mettere un braccio intorno alla mia vita. Lui non lo fa.

«È una delle tre città più grandi nel mercato dello sport. La paga era buona.»

«E ti piace il Giappone come posto?»

«È meraviglioso, sì.»

«Concordo. Ma…» dico, sicura che ci fosse un “ma” in arrivo.

«“Ma” cosa?» mi chiede, confuso.

«Non stavi per dire che il Giappone è meraviglioso, ma…?»

«No, nessun ma. Mi piace questo posto. Avevo bisogno di andare via, la mia vita negli States mi stava stretta. Avevo bisogno di… cambiare panorama.»

«Beh, qui di certo ci sei riuscito.»

«Sì, non c’è modo di confondere il Giappone con l’America» dice, e scoppiamo entrambi a ridere.

«Sì, hai ragione. Ci sono così tante differenze culturali… Mi ci è voluta un’eternità per riuscire a scoprirle tutte, e molte di queste continuano a non avere molto senso, per me.»

Quello è il momento in cui, finalmente, Forrest capisce l’antifona e circonda la mia vita con il braccio.

«Io credo di aver capito un po’ tutto, qui. Dimmi cosa non capisci, cercherò di spiegartelo.»

«Oh, quindi sei un esperto, eh?» gli chiedo, vedendo il suo lato arrogante fare di nuovo capolino.

«Sì» dice, sicuro di sé.

«Okay. Allora dimmi, com’è possibile che nessuno parla quando si è sul treno? Nelle ore di punta specialmente, ci saranno almeno cento persone tutte in un posto, e nessuno dice una singola parola. È inquietante.»

«Ah, questa è semplice. È perché ci sono cento persone tutte in un posto. I Giapponesi hanno un grande rispetto per la comunità. Immagina cosa succederebbe se cento persone prendessero a parlare tutte insieme. Quindi, per evitarsi questo incubo, hanno deciso collettivamente di restare in silenzio.»

Ci penso a fondo, non avendoci mai davvero riflettuto prima di quel momento. «È una cosa molto… gentile.»

«Che c’è, sei nuova qui? Benvenuta nella Terra dell’educazione!» dice Forrest, con un gran sorriso.

«Okay, mi sa che hai ragione. Ma, insomma… era parecchio facile come spiegazione, volendo essere sinceri. Ci sarei arrivata anch’io, se mi fossi davvero fermata a pensarci.»

«Allora mettimi alla prova con qualcosa di più difficile», insiste.

«Mh… okay, ce l’ho. Gli Hotel dell’Amore. Spiegami quelli.»

Okay, ecco una piccola premessa: gli Hotel dell’Amore qui in Giappone sono frequentati tanto quanto il McDonald’s. Non ci troveresti mai scritto sopra “Hotel dell’Amore”, ma dopo un po’ impari a riconoscerli. Sono tutti edifici alti e moderni, e solitamente hanno nomi inglesi. Per esempio, a Tokyo c’è un hotel chiamato Hotel Bianca. Non tutti in Giappone parlano l’inglese. Eppure c’è un hotel chiamato come la ragazza con cui sono andata alle superiori in Eugene, Oregon. È strano.

«Ah, sì… gli Hotel dell’Amore…» dice, guardandomi poi dall’alto. «Com’è possibile che non sai niente sugli Hotel dell’Amore?»

«Forse perché non li frequento come la maggior parte delle persone» chiedo, cercando una giustificazione per quella domanda.

«Sì, però sono Hotel dell’Amore. Anche se non ci vai… dovresti sapere cosa sono.»

«Oh, ma io so cosa sono. Solo che non so… cosa sono.»

«Aaah!» dice lui, come se avesse appena capito cosa intendevo. «Okay, ora ha senso. Bene… ecco, gli Hotel dell’Amore sono pensati… per persone della nostra età, per esempio. Perché in Giappone la gente tende a restare di più in casa con i genitori, rispetto a noi. E poi… beh, diciamo solo che i muri nelle case Giapponesi sono… veramente troppo fini, ed è difficile lasciarsi andare, se capisci cosa intendo.»

«Intendi avere un orgasmo?»

Nel momento stesso in cui lo chiedo, a Forrest vengono rosse le guance. Ed io non mi aspettavo di certo una cosa del genere. Ma chi èquesto ragazzo? Un arrogante giocatore di baseball che riesce a prendersi ogni singola ragazza che vuole, oppure no?

«Sì, immagino di sì» dice. «Ma… beh, intendo anche semplicemente per rilassarsi e godersi la presenza di qualcuno. Se hai ventidue anni ed il tuo ragazzo ha ventidue anni ed entrambi vivete ancora con i vostri genitori, allora…»

«Dove farete sesso?» chiedo, completando il suo pensiero.

«Dove potrete distendervi l’uno tra le braccia dell’altra, se magari, invece, è solo questo che volete fare? Dove potrete fare qualsiasi cosa? Lo sai quanto sono piccole le case, qui. Alcune non hanno nemmeno le porte al loro interno.»

«Quindi, se ti stai vedendo con qualcuno, devi necessariamente andare ad un Hotel dell’Amore per poter fare qualsiasi cosa con loro.»

«Beh… sì. È considerato maleducazione anche solo mostrare affetto in pubblico, qui», spiega Forrest.

«Quindi quello che stiamo facendo noi in questo momento ci varrebbe qualche bella occhiataccia da parte di qualcuno?» chiedo, sentendomi assolutamente a mio agio tra le sue braccia.

«Beh… noi probabilmente ce la potremmo scampare perché siamo stranieri. Ci sono delle regole un po’ diverse per noi.»

«Ah sì, questo lo so», confermo. «Ma nonostante questo, credo che dovremmo portare le nostre effusioni da un’altra parte.»

«Avevi qualche posto in mente?» mi chiede, come se abbia completamente perso di vista il senso di tutto il mio discorso.

«Beh, come ho detto… non so molto sugli Hotel dell’Amore.»

«Quindi non ci sei mai neanche stata.»

«No», confermo.

«Vuoi andarci?»

«Beh… potrebbe essere interessante» dico, invece di urlare “Cavolo, sì!” come vorrei fare davvero.

«Okay. Allora ne troverò uno» dice lui, con un sorriso.

Lascia andare la mia vita per un po’, prendendo il cellulare dalla sua tasca. Approfitto del momento di pausa per prendere il mio. Ci sono alcuni messaggi di Saki. Il primo mi chiede dove sono. Il secondo è a pochi minuti di distanza dal primo, e dice che assumerà semplicemente che io stia bene.

Sul serio? Assumerà semplicemente che io stia bene? E se invece io fossi in pericolo? Se Forrest, invece, mi avesse rapita?

Mi fermo un attimo a prendere in considerazione come sarebbe stato, essere rapita dall’uomo più bello del mondo. Mi avrebbe presa subito? Oppure avrebbe usato il mio corpo piano piano, sottomettendomi alla sua volontà? Mi avrebbe legato le braccia al letto, le gambe spalancate verso di lui e il suo cazzo dentro la mia vagina pulsante?

«Quindi, come sta andando la ricerca?» chiedo, sentendo una scarica elettrica prendere improvvisamente possesso di me.

«Penso di averne appena trovato uno che accetti stranieri. Non è molto lontano da qui. Che dici, andiamo?»

«Voglio dire… se ti va.»

«Hai vinto la scommessa. È il minimo che posso fare» dice, continuando il nostro piccolo giochetto.

Mi aggrappo al suo braccio, lasciandomi guidare. La carne in mezzo alle mie gambe va a fuoco. Mi chiedocome sia possibile che le mie mutandine non abbiano ancora preso fuoco.

Mi avvicino di più a lui. Odora di uomo vero. Sicuramente è andato al bar subito dopo la partita. Quindi, anche se è chiaramente pulito, c’è ancora quel piccolo alone di uomo che resta addosso dopo la doccia. Mi sta facendo uscire pazza. Voglio semplicemente spogliarmi e buttarmi su di lui.

L’Hotel che ha scelto appare ai nostri occhi velocemente. È un edificio nuovo e pulito, che sembra urlare classe e ricchezza. Quando entriamo, io mi metto da parte, permettendogli di fare ciò che deve fare.

Essendo un giocatore di baseball famoso, quella non può per niente essere la sua prima volta in un posto del genere. E quando alla fine sceglie una camera e paga dalla macchinetta, mi fa cenno con la mano di avvicinarmi a lui, prima di dirigerci verso l’ascensore.

Dio, quanto voglio sentire la sua mano in mezzo alle mie gambe. Le sue dita sono così grosse. Non posso fare altro che chiedermi cosa dica questo del resto del suo corpo. E quando alla fine entriamo nella stanza, che sembra uscita fuori da un hotel a cinque stelle, non devo aspettare molto prima di scoprirlo.

Spingo i miei seni sul suo stomaco, inclinando la testa indietro verso di lui, in attesa delle sue labbra. Non mi fa aspettare molto. Mi bacia. Le sue labbra sono decise e piene. Quando spinge la lingua dentro la mia bocca, io gli offro la mia. La sensazione delle nostre lingue che ballano insieme è paradisiaca. Faccio scivolare la mia mano sul suo corpo, e la sensazione si fa anche più intensa.

Quello che sentoquesta volta è difficile da credere. I giocatori di baseball indossano delle coppe sotto le mutande? Devono farlo, perché è l’unica cosa che possa spiegare ciò che sto sentendo. È grosso. Così grosso… E Dio, quanto è duro. L’unica cosa che rende chiaro ciò che sto toccando è la forma. Non c’è modo di non capire che sia un cazzo, non importa quanto grosso possa essere.

Stringo tra le mani il suo membro ancora coperto, e la sua intera energia sembra cambiare. Quello che sto facendo lo sta facendo impazzire. Riesco a sentirlo. Voglio vedere cosa potrebbe succedere, così spingo la mano più forte. Lui sospira, quasi gemendo. E quando alla fine faccio scivolare ancora più in fondo la mano, stringendogli le palle, lui non riesce a sopportare nient’altro.

Afferra le mie spalle, sollevandomi da terra come se pesassi nulla. Ed io non sono magra, ma sulle sue braccia mi sento piccolissima. C’è un uomo forte a prendere il controllo su di me. Non riuscirei a fermarlo neanche se ci provassi.

E non ci provo nemmeno. Voglio che faccia anche di più. E quel più lo ottengo quando mi posiziona sul letto, strappandomi di dosso i vestiti. Per un attimo provo a fermarlo, allargando le mie gambe, ma è completamente inutile. Lui le unisce di nuovo, e fa scivolare via i miei pantaloni con un unico movimento. Le mie mutandine però sono ancora qui. Non so bene perché. Lui afferra il mio mento con una mano, e fa scivolare l’altra in mezzo alle mie gambe, dentro le mie mutandine. La sensazione è meravigliosa. Le sue dita spesse trovano velocemente il mio clitoride, e pressano su di esso. Quel singolo movimento sembra essere già troppo. È quello il mio turno di sospirare e gemere. È così fottutamente bello. Beh, non “fottutamente bello”. Perché quella parte arriverà dopo.

Per il momento, con la sua mano a carezzare il mio punto debole, l’altra va a slacciare il mio reggiseno. Mi viene tolto di dosso in un istante. Forrest è il secondo ragazzo in tutta la mia vita a vedere i miei seni nudi e quello, più di qualsiasi altra cosa, mi fa sentire vulnerabile. Ma quando la sua grossa mano afferra il mio seno e lo stringe, il mio corpo sembra infiammarsi. La sensazione è meravigliosa. Quando abbassa le labbra su di esso e la sua lingua prende a sbattere avanti e indietro sul mio capezzolo, la mia vagina viene presa da un tremito.

Ad ogni scoccata di lingua, il mio corpo si contorce. Non posso farci nulla. Lui è il Padrone, ed il mio corpo è nelle sue mani. Il sesso con il mio ex non è mai stato come quello che sto provando in questo momento. Ma cosa mi sono persa in tutto quel tempo? Quando alla fine lui divarica le mie gambe e fa andare via le mie mutandine, io lo scopro.

Dio Santo, quanto cazzo è bravo. Non è solo che è grosso. Perché sì, lo è. Ma a renderlo meraviglioso è il modo in cui entra dentro di me con una precisione da maestro. Fa male. Sì, fa male, ma solo un poco, e il dolore è piacevole. Mi apro a lui come se stessi dando il benvenuto a casa a qualcuno che ha sempre vissuto lì. Mi riempie esattamente come ho bisogno di essere riempita. E quando comincia a spingere, il mio corpo viene preso d’assalto da onde di elettricità impossibili da sopportare.

Lui spinge. Io urlo. E continuiamo così, ancora e ancora. Non voglio che la cosa finisca. Ma più lui spinge, più io sento il mio orgasmo montare, farsi sempre più vicino. E non posso farci niente. Lui, invece, ha ancora la mano ferma sul mio seno e stringe, forte, come se non possa lasciare andare. Mi resterà il segno rosso delle sue dita, l’indomani, lo so già.

Tutte quelle sensazioni si stanno facendo troppo grandi per poterle controllare. È così spesso e forte, che tutto ciò che mi ritrovo a fare ètremare. E quando alla fine vengo presa in pieno dalla scossa di elettricità del mio orgasmo, che va a scoppiare in mezzo alle mie gambe e dentro, nella mia vagina, io lascio andare via tutto.

Urlo di piacere, il mio petto inclinato verso l’alto e il mio corpo tutto un tremore. Posso a malapena respirare. Non ho mai provato una cosa simile prima di quel momento. Èquesto che significa, avere un orgasmo? E allora cosa avevo provato prima di questo momento?

Dio, mi sento la testa leggera. Sto per perdere i sensi? Sul serio, che cosa avevo provato per tutto quel tempo? Non voglio che questo calore meraviglioso finisca. Quasi non finisce, in effetti. Perché Forrest continua a spingere e spingere e spingere.

Il mio orgasmo non arriva alla fine fino a quando lui non si ferma. E l’unico motivo perché lui si fermaè che anche lui si lascia andare ad un lungo, meraviglioso orgasmo.

Perché nessuno mi aveva mai detto che è possibile provare sensazioni simili? Perché sono rimasta con quel perdente del mio ex per tutto questo tempo? Forrest deve essere l’amante migliore del mondo. Non voglio più separarmi da lui per il resto della mia vita. Non sono certa al cento per cento, ma sono parecchio sicura che mi stia innamorando di lui. Deve essere questo il motivo di tutto quelle sensazioni, no? L’amore?

Qualsiasi cosa sia davvero, non importa. L’unica cosa che importaè che sono ora alla mercé di Forrest, e può farne di me qualsiasi cosa vuole. Mi possiede, sono agganciata a lui come la linea al centro del campo. È un termine di baseball, no? Cosa che mi ricorda che dovrei cominciare ad imparare qualcosa sul baseball. Che deve essere lo sport con quella piccola palla bianca con le corde rosse, lo so.

Ma qualsiasi cosa debba fare, non ho intenzione di lasciare Forrest mai più. Beh, a meno che lui non mi voglia intorno. Dio, quanto spero che mi voglia al suo fianco. Mi sto innamorando di lui, ne sono certa. Non passerò mai più un giorno della mia vita senza averlo al mio fianco.

 

 

Capitolo 3

Forrest

 

Dio, quanto è stato bello. È stato così bello. Le sue labbra. I suoi seni. La sua figa calda, che ha preso il mio cazzo come se le appartenesse. Come potrei non volere tutto questo per il resto della mia vita? È stata la cosa più bella del mondo.

Com’è che si chiama? Cosa ha detto, Lexi? O forse Betsy? In quel posto la musica era così alta. Cazzo! Come faccio ora a chiederle il nome un’altra volta, dopo ciò che abbiamo fatto? Oh, no, mi è venuta un’idea.

«Oh, comunque, avrò bisogno del tuo numero di telefono» dico, senza fiato.

«Ora?» mi chiede, ridendo. «Ho ancora il tuo cazzo dentro.»

«Giusto. No, però volevo solo farti sapere che ho intenzione di prenderlo.»

«Okay» dice, ridacchiando un’altra volta.

Sapete, mi succede una cosa parecchio strana ogni volta che finisco di fare sesso. All’inizio sono sempre, wow, è fantastico. Come potrei non volere tutto questo per il resto della mia vita? Ma dopo un po’ di minuti, qualcosa dentro di me cambia. Non so ben capire cosa. E per quando sono pronto ad andarmene, non m’interessa più molto se rivedrò un’altra volta quella persona.

Non lo capisco. Sembra come una maledizione di cui non riesco a disfarmi. Ma sono sicuro che non succederà anche con Lexi/Betsy. Lei è diversa da tutti gli altri. Ha uno spirito così… acceso. Non so, forse mi piacciono le ragazze cattive. Dio, ma cosa dice questo di me? Quanto sono fuori di testa?

Beh… conosco già la risposta a questa domanda. Sono parecchio fuori di testa. Ma questo non significa che non posso cambiare, dico bene? L’aveva detto anche quello psicologo della polisportiva che avevo incontrato una volta.

Quindi, forse Lexi/Betsy potrebbe essere la ragazza per la quale finalmente mi ritroverò a cambiare. Adesso resterò qui accanto a lei per qualche altro minuto, poi prenderò il suo numero di telefono, poi la accompagnerò alla stazione… no, anche meglio, le chiamerò un taxi che la porti a casa. E poi tornerò di corsa a casa, preparerò le valige, cercherò di fare qualche oretta di sonno e poi alle sei mi alzerò e sarò pronto a raggiungere la squadra nel nostro pullman.

«A cosa pensi?» mi chiede Lexi/Betsy, tirandomi fuori dai miei programmi.

«Cosa?»

«Non sei più dentro di me.»

Butto un occhio giù per accertarmi che sia vero. Sì, mi ero tirato fuori da lei. Aspetta, perché mai me lo sta facendo notare? Non è così che fanno solitamente i ragazzi? Voglio dire, non è successo quella volta che ho preso il Viagra. Ero ancora parecchio duro dopo un’ora. Ma tirarsi fuori da qualcuno non è una cosa normale dopo il sesso?

«Sì… è che stavo pensando al fatto che devo andare. È che non vorrei lasciarti» dico, che poi è parecchio vicino alla verità.

«Aaah. Potremmo restare qui per la notte, se ti va.»

«Mi piacerebbe tanto. Ma ho un pullman da prendere alle sei del mattino. E ho bisogno di andare a casa a preparare le valige, e le cose. Ma se mi lasci il numero ti scrivo! Così quando torno di nuovo a casa possiamo riprendere esattamente da dove abbiamo lasciato» le prometto, baciandole le labbra.

«Sei sicuro che non possiamo restare qui ancora per un po’?»

Ci penso su un attimo. Tecnicamente, potrei. La differenza sarebbe nell’ora in più o in meno che riuscirei a farmi di sonno. E potrei sempre dormire sul pullman, e sul treno. Ma ad essere onesti e sinceri, io vorrei andarmene. Non nel modo spasmodico in cui di solito sento il bisogno di andarmene, ma… più perché se resto qui potrei rovinare tutto continuando a parlare, ecco.

O almeno credo. Dio, quanto cazzo sono fuori di testa.

«No, devo andare. Il mio coach mi sta col fiato sul collo e non posso presentare all’allenamento stanco.»

«Okay» risponde, chiaramente delusa.

«Ma quando torno… okay?»

«Okay», ripete, alzando la testa per ricevere un altro bacio.

Approfitto dell’opportunità per rotolare via da lei e afferrare i miei vestiti. Lei non fa la stessa cosa. Resta lì coricata, nuda e meravigliosa. Vorrebbe restare qui? Ho solo tre ore da darle. Anche se potrei quasi pensare di restare qui e darle tutta la notte.

«Volevi rimanere?» le chiedo, non sapendo cosa sia giusto fare.

«No, vado. Sto solo ammirando la vista» dice, con un sorriso civettuolo.

Dovrei tornare a letto e scoparla un’altra volta? Ci riuscirei, anche volendo? Nah… non mi sembra il caso di rischiare. È stato meraviglioso il modo in cui il mio corpo ha risposto al suo. Non credo succederà una seconda volta nello stesso momento.

«Grazie. Anche io» le dico, mostrandole il mio culo dopo averle sorriso.

Mi piace davvero. Sono sicuro al 75% che voglio vederla un’altra volta, e per me questo è un passo vicino al matrimonio. Ho solo bisogno di capire come non rovinare le cose. Perché, sapete, succederà di certo.

Decido di mettermi d’impegno per vestirmi, e per quando lei alla fine fa la prima mossa per prepararsi, io sono già completamente vestito. Devo ammettere che la cosa si sta facendo parecchio imbarazzante. Sta cominciando a sembrare uguale a tutte le altre mie esperienze con le donne, io che mi rimetto velocemente i vestiti per andarmene via, e lei anche coricata sul letto non intenzionata ad andarsene. Non è un buon segno, e mi sto un po’ preoccupando.

«Quindi, ehm… dove abiti?» le chiedo, sperando non risulti chiaro che sto cercando di farla andare via.

«Ho un appartamento al campus.»

Nuoto tra i ricordi della chiacchierata al bar, cercando di ricordare se abbia detto qualcosa riguardo all’essere una studentessa. Non mi viene niente in mente. Ma il bar era così rumoroso, che decido semplicemente di fare come se lo sapessi.

«Oh, giusto. Quale università era, quella pubblica di Tokyo?»

Lei si ferma prima di rispondermi. «Sì, è quella. Te l’avevo già detto?»

Aaah, me l’aveva detto? «Sì. Non l’hai fatto? O forse sono bravo ad indovinare.»

Okay, tutto questo deve davvero volgere al termine. Non sta andando per niente bene. Con un telefono, posso almeno prendermi il tempo per pensare alla risposta giusta da dare. Ma così… non ce la faccio.

«Vuoi che chiami un taxi per farti riportare a casa?» le chiedo d’un tratto.

«Uhm… no, va tutto bene. Posso prendere il treno» mi dice, sembrando delusa per qualche motivo.

«Sei sicura? Non sarebbe un problema.»

«No, va bene. La fermata del treno è ad un isolato da casa mia.»

«Okay» le dico imbarazzato, aspettando che si vesta. Devo andarmene via da qui il prima possibile.

Non diciamo nient’altro mentre si veste. Prima di uscire dalla stanza le chiedo il numero di telefono un’altra volta, passandole il cellulare per poter mettere lei tutte le sue informazioni.

Il suo nome è Lexi. Lo sapevo. Non so perché non ho indovinato da solo. Usciamo dall’hotel dall’entrata sul retro, ritrovandoci in un vicoletto a pochi passi dalla strada principale.

«Beh, questo è un Hotel dell’Amore. Cosa ne pensi?»

«Non ho visto molto dell’hotel. Però la vista che ho avuto è stata fantastica» mi risponde, con un altro sorriso meraviglioso.

No, mi piace decisamente questa ragazza. E decisamente le scriverò domani. È bello stare con lei, e non intendo solo sessualmente. Se le cose non dovessero andare bene tra me e lei a livello… sentimentale, sarebbe bello avere una persona del genere con cui uscire.

«Okay, questa è la stazione…» le dico, avvicinandomi all’entrata.

«Prendi il treno anche tu?»

«No, casa mia non è molto lontana. Ci vado a piedi.»

«Sei sicuro di non aver bisogno che ti accompagni a casa?» mi chiede, suggestiva.

Ci penso per un secondo. La tentazione è forte. «No, ho davvero bisogno di fare le valige.»

«Okay» risponde, chiaramente ferita.

«Ma appena torno! Ci sono tantissime cose che possiamo fare.»

Cristo Santo! Ma che cosa significa? Ci sono tantissime cose che possiamo fare? E che cosa sono, un set di coltelli?

«Comunque, devo davvero andare. È stato divertente!» le dico, sentendo il bisogno di andarmene via.

«Sì, lo è stato» dice prima che io le dia un altro bacio e cominci a camminare via.

Per quando lei comincia a camminare dall’altra parte, io non mi giro neanche indietro a guardarla. Dio santo, mi sono comportato da stupido. E lei è così divertente. È esattamente il tipo di donna con cui riuscirei a vedermi insieme. E il modo in cui il mio corpo ha reagito a contatto col suo… Dio, potrebbe davvero essere quella giusta.

Camminando verso casa, mi perdo a pensare a tutte le cose che sono successe oggi. È stata una bella vincita. La squadra Osaka è la nostra rivale più grande. È la squadra che ci ha battuti la scorsa stagione ai Japanese World Series, e sono stato io a segnare la vittoria oggi. Non c’è sensazione più bella di questa.

E poi ho deciso di uscire ed ho incontrato Lexi, la ragazza più figa che io abbia mai incontrato in vita mia. E abbiamo fatto sesso. Sì, questa potrebbe essere la giornata migliore che io abbia mai avuto.

Le cose si sono fatte un po’ strane verso la fine, ma credo di aver fatto tutto sommato una buona impressione. Voglio dire, sono stato un po’ troppo veloce ad andare via da lei, ma voglio davvero vederla un’altra volta. Ed è più di ciò che sono sempre riuscito a dire su qualsiasi altra ragazza qui a Tokyo. Anzi, su qualsiasi altra ragazza che io abbia mai incontrata. Quindi deve essere tutto apposto!

È quando finalmente arrivo a casa che realizzo quanto davvero io sia stanco. La mia spalla destra mi fa male già da un po’. Probabilmente è l’adrenalina residua della partita e poi tutto il resto che me ne ha fatto dimenticare. Ma adesso il dolore è tornato, ed ho bisogno di dormire.

Butto qualcosa dentro il mio borsone da viaggio, poi mi libero dei vestiti e mi butto a letto. Riesco a sentire l’odore di Lexi ancora fermo su di me. Aveva addosso un profumo leggero che non ero riuscito a notare prima, ma adesso che ce l’ho addosso lo sento. Mi rilassa. E pensando a lei, mi addormento.

Quando mi sveglio la mattina dopo, non è per la sveglia. Lo so perché ho cercato di staccare la sveglia un sacco di volte toccandola, senza nessun risultato. La sveglia mi è stata regalata da mia madre quando i miei genitori si sono separati. Io avevo nove anni. Ed i bottoni restano sempre impigliati. È per questo che ogni singola mattina presso con tutta la forza che ho. Ma svegliandomi mi sono reso conto che il suono che sentivo non era della sveglia, ma del mio telefono.

Mi chiedo per quanto è andata avanti la suoneria prima che smettessi di cercare di spegnerla, e quanti squilli ci siano stati prima che la chiamata venisse passata alla segreteria. Prendo il telefono, e lo schermo mi dice che a chiamarmi è stato Vince Lowry, il mio agente. Perché mai il mio agente mi chiama prima delle sei del mattino? Non dico mai cose del genere, però davvero… per chiamarmi a quest’ora, deve essere almeno perché qualcuno è morto.

«Ciao» dico, non provandoci nemmeno a nascondere la mia stanchezza.

«Ehi, Forrest, sono Vince. Perché non sei ancora in piedi?» mi chiede, e mi sembra fin troppo sveglio.

«Perché sono le…» controllo l’ora. «Cinque e mezzo del mattino?»

«E tu devi essere sul pullman alle sei. Non poi fare tardi questa mattina, amico mio.»

«Prima di tutto, come fai a conoscere i miei impegni così bene?»

«Perché mi mandano una copia dei tuoi impegni per e-mail subito dopo averla mandata a te. Lo sai come funziona, amico. Devi alzarti da quel letto.»

«Non so se lo sai, ma ieri ho portato la vittoria a casa. Se faccio tardi, penso proprio che mi aspetteranno.»

«Sì, ma non credo tu voglia inimicarti il management proprio oggi, tra tutti i giorni possibili.»

Questa è una cosa parecchio strana da dire, anche per Vince. Non appena gli sento dire queste parole, mi sveglio un po’. «Che vuol dire proprio oggi tra tutti i giorni possibili?»

«Che non sono stato l’unico a guardare la tua partita ieri sera. E dopo aver fatto quel punto che ha portato la vittoria a casa, beh… qualcuno mi ha chiamato.»

Ora sì che sono sveglio. «Chi? Chi ti ha chiamato?»

«Beh… sai che a Portland, Oregon non c’è una squadra di punta e qualcuno ha cercato di ottenerne una per decenni?»

«Sì?»

«Beh, indovina? Sta finalmente succedendo. È ancora tutto in cantiere, ma stanno cercando di mettere insieme una squadra.»

«Okay. E…»

«E loro sono riusciti a trovare dei bravissimi giocatori, ma non delle star vere e proprie.»

«Okay…?»

«E a quanto pare ti osservano da un bel po’. La vincita di ieri sera è stato ciò che serviva per convincerli totalmente. Vogliono farti un nuovo contratto per comprarti e riportarti a casa. Vogliono darti la possibilità di salire di livello.»