L’URAGANO LAINE

Capitolo 1

Jules

 

Vi è mai capitato di vivere uno di quei momenti in cui la vita sembra finalmente andare per il verso giusto, e voi state seguendo tutte le regole, comportandovi da brave persone, e poi un giorno semplicemente… quella stessa vita decide di darvi un bel calcio nel sedere?

E no, non intendo una piccola pacca amichevole data per incoraggiarvi a non mollare. Mi riferisco più ad uno di quei calci ben assestati che hanno tutto l’intento di farvi cadere.

Magari non lo vedete neanche arrivare; è probabile che non vi sarà possibile neanche immaginare ciò che sta per succedere fino a quando non vi ritrovate con la faccia immersa nello sterco di vacca che si trova giusto dove state atterrando… perché, per qualche strano motivo, in questo scenario siete in una fattoria.

Insomma, avete afferrato il punto, no? Il punto è che mentre voi state provando di tutto per fare il vostro meglio e vivere la vita come viè stato insegnatoa fare, quella stessa vita decide di saltarvi addosso come fosse un cane rabbioso… che, tra parentesi, si trova sempre in quella stessa fattoria.

Bene, adesso che avete questo scenario in testa, non vi verrà per niente difficile immaginare me in questo momento, seduta ancora una volta nella sedia dell’ufficio di Bill, il Responsabile Incarichi Temporanei. Sostanzialmente, Bill è colui che dovrebbe trovarmi lavoro. E lui me li trova pure, i lavori.

Me ne ha trovati abbastanza per poter andare avanti? Diciamo di sì.

Ma la veritàè che non è colpa di Bill, se mi trovo qui ancora una volta.

L’unica da incolpare è la vita.

Voglio dire, io sarei anche pronta a dire che la colpa è mia, ma io ho sempre lavorato sodo. Ho sempre portato a termine tutti i compiti assegnati, mi sono sempre presentata in orario, ho sempre fatto tutto ciò che mi veniva chiesto.

Quando sono a lavoro cerco sempre di essere amichevole, ma il giusto; sorrido anche quando le battute che fanno i colleghisono di pessimo gusto, e mi premuro sempre non solo di imparare tutti i loro nomi, ma di usarli casualmente nelle frasi cosicché anche loro sappiano che li ricordo: «Oh, Aiden, quel meme di Baby Yoda! Troppo divertente!»; «Sì, Brie, ho visto il meme di Baby Yoda»; «Pat, ovvio che so chi è Baby Yoda! Non lo dico di certo solo perché tutti quanti in ufficio sembrate avere una malsana ossessione nei suoi confronti e se non faccio presente che lo conosco anch’io, per qualche motivo rischio di essere bollata come quella strana che non troverà mai marito e morirà da sola.»

… Va bene, forse ho esagerato un po’, lo ammetto.

Però avete afferrato il punto, no?

Io sono una brava persona, e mi impegno a dare il massimo. E continuo ad accettare questi lavori che dovrebbero durare due, tre mesi, e poi – per qualche motivo – Bill mi chiama nel suo ufficio neanche a metà del tempo, esattamente come è successo oggi, per dirmi sempre la stessa cosa: «Dunque, Jules… ho delle brutte notizie.»

«Non dirmelo…»

«Mi dispiace tanto. Dobbiamo sostituirti a lavoro.»

«Ma perché? Non lo capisco. Ho fatto qualcosa di sbagliato?»

«Oh, no, niente del genere!»

«E allora perché mi sostituite?»

«È una questione aziendale.»

«Una questione aziendale? Come può il mio lavoro da coordinatrice di fatture in un’azienda di materiale plastico essere una ‘questione aziendale’?» gli chiedo, sul punto di esplodere.

Bill mi guarda per un attimo, poi fa spallucce. «Non so che dirti… mi dispiace. Faccio solo ciò che mi viene detto di fare. Tutto ciò che posso dirti con certezza è che tu non hai fatto niente di male. Sei stata un’ottima risorsa per ogni azienda per cui hai lavorato. Ti amano tutti. Sono certo di poter riuscire a trovarti qualcos’altro in fretta.»

«No, Bill, tu non capisci, io… io ho bisogno di questo lavoro. Il mutuo, il prestito universitario, mi occupo anche di mia madre…» Poi, però, mi fermo, perché mi torna in mente una delle regole fondamentali di questo lavoro: a nessuno importa dei tuoi problemi personali. Ognuno ha i suoi, e se vuoi tenerti stretto il tuo lavoro, farai meglio a tenere i drammi personali a casa tua. Queste persone non sono tuoi amici, sono soltanto lavoratori sottopagati che cercano di riempire il vuoto delle loro tristi vite con la loro malsana ossesione verso meme di merda…

Oh, l’ho fatta tragica un’altra volta, vero? D’accordo, però avete afferrato il punto.

«Bill, se riesci a trovarmi qualcosa il prima possibile, te ne sarò grata per sempre. Contavo sui soldi di questo lavoro…»

«Ti prometto che appena arriva sulla mia scrivania qualcosa per cui so sarai perfetta, non esiterò a chiamarti. Promesso» dice lui, e la sua voce mi sembra sincera.

«Grazie, lo apprezzo molto», gli dico, cercando in tutti i modi di sotterrare la disperazione che vuole prendere possesso di me. 

Alzandomi, sento il telefono suonare dentro la mia tasca proprio quando sono vicina alla porta del suo ufficio: è un messaggio, da parte di Bill.

Senza aprire la porta mi giro nuovamente verso di lui.

«Mi hai appena… mandato un messaggio?»

«Sì… mi sembri molto giù. Ho pensato di mandarti qualcosa che potesse tirarti su di morale.»

Così volto lo sguardo verso il mio cellulare per poter leggere il messaggio: è un meme di Baby Yoda.

Devo realmente mettermi d’impegno per capire da dove venga questo Baby Yoda. Se devo tirare ad indovinare, direi… Il Trono di Spade?

Ringrazio educatamente Bill con un sorrido tirato, poi esco.

Una volta nell’open-space, ad accogliermi sono facce eccitate di giovani pronti a far parte di Temporary Temps. Guardandoli, non posso fare a meno di pensare a quanto male sia andata la mia vita. Non era così, che doveva andare.

Io vivevo a Seattle. Avevo un bel lavoro. Avevo degli amici. Avevo sempre qualcosa da fare, il sabato sera.

E poi mia madre si è ammalata di cancro, ed io sono tornata di corsa a Calabasas, California, una città la cui principale esportazione sono le Kardashians.

Lo so… non esattamente il posto in cui essere povera e senza lavoro.

La cosa positiva è che mia madre adesso sta molto meglio: sono riusciti a prenderla in tempo. Adesso è in riabilitazione e piano piano sta tornando alla normalità. La cosa negativa, invece, è che i trattamenti hanno non solo spazzato via tutti i suoi risparmi, ma l’hanno costretta a prendersi un congedo da lavoro per mesi.

Una volta mia madre faceva un sacco di soldi. Era… beh, immagino che sia ancora il Vice Presidente di un’azienda d’intrattenimento di successo. È stato il suo lavoro a permetterle di estinguere il suo mutuo completamente, anni fa. Certo, poi ci ha pensato la mia retta universitaria a costringerla a mettersi sulle spalle un secondo mutuo. E in fondo lei non avrebbe avuto nessun problema ad estinguere anche quello, se non fosse stato per tutte le spese mediche che si è trovata d’un tratto costretta a sostenere. E sì, una volta era coperta dall’assicurazione sanitaria.

Così, visto che aveva bisogno di qualcuno che si prendesse cura di lei, io ho lasciato il mio lavoro a Seattle e mi sono trasferita con lei. Una volta scoperta la sua situazione economica, non ci ho pensato un secondo prima di mettermi alla ricerca di un lavoro: mi sono candidata per “Temporary Temps”, non sapendo quanto sarei rimasta a Calabasas, ma con il fatto che loro non avessero smesso neanche un attimo di sollevarmi dagli incarichi a metà strada, non sono riuscita ad aiutare mia mamma per niente. E adesso rischia di perdere la sua casa.

Avete presente quando vi sentite mangiare vivi dal rimorso perché la vostra mamma si è aperta un secondo mutuo per potervi permettere di studiare al college e di avere un’ottima istruzione, e voi venite fuori come le figlie peggiori che possano esistere perché non riuscite neanche a mantenervi un lavoro per abbastanza tempo da poter esserle d’aiuto, diventando inevitabilmente la causa della sua rapida discesa verso una spirale di tristezza e disperazione?

Esatto, nemmeno io. Chiedevo per un’amica.

Con il mondo pronto a crollarmi sulle spalle, una volta fuori dall’edificio decido di fare l’unica cosa che ci si aspetta ogni onesto cittadino di Calabasas faccia: vado a prendere una tazza di caffè da ben sei dollari.

Avrei potuto trovarlo più economico? Certo che sì.

Ma qui non si tratta del caffè in sé e per sé. Qui si tratta dell’esperienza stessa di prendere il caffè. Prendiamolo come se fosse… un pranzo di lusso. Quei sei dollari improvvisamente suonano come un affare, non è così?

Seduta sul patio della caffetteria di fronte Temporary Temps, mi ritrovo a fissare l’edificio, chiedendomi cosa diavolo dovrei fare, adesso. Non posso continuare a lavorare per loro… mi lasciano andare per una questione aziendale? Che razza di scusa è questa? E come possono considerarlo anche solo lontanamente giusto?

Se decidessi di non presentarmi a lavoro per un solo giorno, verrei mandata via a calci nel sedere. Ma loro sono assolutamente liberi di sollevarmi dagli incarichi quando più gli aggrada nonostante – se dobbiamo stare a sentire le parole di Bill – tutti quanti mi amano e il mio lavoro è apprezzato?

Perché succede sempre tutto a me?

È proprio mentre le mie lacrime si preparano a lasciare i miei occhi – che vagano per la caffetteria – che mi accorgo di qualcuno che non mi sarei mai più aspettata di incontrare: un ragazzo che conoscevo ai tempi del college.

O almeno… credo che sia lui?

“College” è un tempo che mi avvicino a poter definire “dieci anni fa”, perciò non so quanto io possa essere sicura. E in più, non è che fossimo amici. Però sono quasi certa di averlo visto in giro per il campus.

Il college era un piccolo edificio nel mid-west, non abbastanza grande da poterti impedire di riconoscere ogni singola faccia che lo frequentava.

Ma quante probabilitàci sono di incappare su di lui proprio qui, a Calabasas, in una caffetteria qualunque, nel bel mezzo della giornata?

E poi c’è indubbiamente la questione più spinosa: perché, vedete, io la faccia la ricordo bene.

È il nome che proprio mi sfugge.

Dovrei avvicinarmi a parlargli? Però, insomma, che senso ha? Non eravamo neanche amici, ai tempi.

Allo stesso tempo, però… non ricordavo fosse così bello, ai tempi del college. Non che avesse fatto parte di qualche squadra, al college, però il modo in cui quella camicia gli cadeva addosso sembrava urlare peccato nel senso più sporco del termine.

Per intenderci: ha quel tipo di prestanza fisica tale che, se fossi stata la me di sempre, non avrei esitato un secondo prima di immaginarmelo addosso.

Immagino che questo, però, sia abbastanza per fregarsene di un nome dimenticato e farsi avanti, giusto? Certo che lo è.

Non è che la mia vita possa scendere più in basso di così, comunque.

«Scusami?» dico, attirando la sua attenzione.

Quando si gira a guardarmi, ha quel tipo di espressione ferma e determinata che, in situazioni migliori, avrebbe fatto tremare la mia amica ai piani bassi. «Ti conosco?»

Il bell’uomo mi rivolge un bel sorriso. «Non lo so. Mi conosci?» mi chiede, quasi come fosse famoso.

Aspetta, non è che l’ho visto in qualche film, invece di esserci andata al college insieme?

Fottute Calabasas! È sempre così difficile esserne sicuri!

«Siamo andati al college insieme, vero? Beloit College?»

Il sorriso dell’uomo cade per un attimo, al riconoscere il nome della nostra scuola. Mi guarda come se cercasse di capire cosa stessi nascondendo. Poi però qualcosa cambia, e il suo sorriso torna subito dopo.

«Aspetta, sì. Sì, ti conosco! Tu stavi… come si chiamava il dormitorio vicino la palestra? Eravamo all’ultimo anno», dice, tutto d’un tratto eccitato.

«Haven», rispondo, annuendo. «Sì, si chiamava Haven. E sì, eravamo all’ultimo anno, ricordi bene» rispondo, sentendomi percuotere da una piccola scarica di speranza, al ricordo di un tempo in cui credevo la mia vita fosse piena zeppa di possibilità.

«Sì, Haven!» concorda con un sorriso. «Laine», dice, facendomi un cenno con la mano da lontano a simulare una stretta.

«Jules.»

«Ah, Jules, sì», dice, come se avesse appena ricordato il mio nome. Laine mi guarda per un momento con un sorrisetto compiaciuto sul suo viso, e mi chiede con un gesto il permesso di avvicinarsi al mio tavolo.

«Prego», gli dico, felice di avere compagnia.

«Allora, Jules, dimmi. Cos’hai combinato finora? Che ci fai a Calabasas? Vivi qui?»

Ecco che arriva subito la parte difficile.

Che cosa avrei dovuto dirgli? Non sono queste le situazioni in cui ci si aspetta che tu ti vanti umilmente dei successi accumulati nella tua vita? Che cosa avrei dovuto dirgli io?

Pensandoci, potrei dirgli dei 10 dollari che ho trovato totalmente a caso dentro le tasche di uno dei miei jeans, ma… non mi sembra onestamente il caso di vantarmi così tanto.

«Non molto, a dirla tutta», decido allora di dirgli. «Sono stata a Seattle, per un po’, poi ho avuto un problema familiare, e sono tornata qui.»

«Sei di qui?» mi chiede Laine, diventando per qualche assurdo motivo più bello secondo dopo secondo.

«Sì. Cioè, non di Calabasas. Però sud della California, sì.»

«E lavori qui? Di cosa ti occupi?»

Doveva proprio chiedermelo, non è vero? È una cosa così… L.A. da chiedere. Non ho onestamente le energie per prenderlo in giro e fingere qualcosa che possa rendermi meno patetica, perciò decido di dirgli la verità.

«Non lavoro da nessuna parte, in realtà.»

«Ah, sei sposata?»

Scoppio a ridere. Non ho un appuntamento da prima ancora di trasferirmi di nuovo qui. La mia signorina è disoccupata da tempo.

«No… è solo che per lo più cerco qualcosa di temporaneo, perché non so quanto la mia “situazione familiare” mi tratterrà a Calabasas. Ma l’agenzia per cui lavoro sembra non riuscire a darsi una regolata.»

Alla fine decido di scaricare la colpa sull’agenzia.

«Oh… capisco», dice, il suo interesse improvvisamente diminuito.

Fottuta L.A.!

«Ma parliamo di te. Che fai, tu? Sembra che tu te la passi bene!» dico allora, e il mio indirizzare l’attenzione su di lui sembra ciò che serve a far tornare la sua su di me.

Wow… chi l’avrebbe mai detto che un uomo possa essere interessato a parlare di sé stesso?

«Me la passo più che bene, veramente. Sono il proprietario di una società finanziaria.»

«Davvero?» dico, non avendo assolutamente nessuna difficoltà ad immaginare la sua concezione di “più che bene”.

«Oh, sì. Appena finito il college, mi sono trasferito a New York per lavorare in una di quelle banche importanti. Ho venduto un paio di azioni proprio prima della crisi e… mi sono portato a casa una piccola fortuna» dice, con indosso un sorrisetto da un milione di dollari.

«Perciò, mentre l’economia colava a picco…» dico.

«Io volavo su.»

«Huh» dico, ritrovandomi a considerare il modo in cui si era creato la sua fortuna.

«Però non lasciare che questo mi disegni come uno di quei banchieri bastardi che confezionano mutui da restarci secchi, ai tuoi occhi. Io non sono così.»

«No, sei quello che ha fatto i soldi scommettendo sul fallimento di quelle banche.»

«In realtà, io ho scommesso sul loro essere troppo grandi per fallire» dice, con un altro sorriso.

Non mi capita spesso di ripensare a quel periodo, quando eravamo appena usciti dal college, pronti ad entrare in un mondo che era sul punto di crollare. Ma non ho la forza di pensarci, adesso.

«E quindi, sei sposato?» gli chiedo allora, spostando finalmente l’argomento sulle cose davvero importanti.

«No, nessun anello al dito» risponde con voce piatta.

«Qualcuno di speciale?»

«Nessuno.»

«Come?» gli chiedo, quasi come se stessi flirtando… perché in effetti, è proprio quello che sto facendo.

«E chi lo sa» risponde, regalandomi un sorriso ammaliante.

Sì, il tipo è stato inquadrato: lo sa benissimo perché non è sposato. Non è sposato perché non vuole sposarsi. È chiaramente uno di quei tipi a cui piace tenere le porte aperte. Se oggi finiamo per fare sesso, devo tenere questo particolare bene a mente.

Ma non che ci siano queste speranze…

«Capisco» dico, restituendogli il sorriso.

«È divertente, però, che tu mi abbia chiesto proprio questo» mi dice, con quel tono di voce che mi invita a sapere di più.

«Perché?»

Laine si poggia alla spalliera e sposta lo sguardo da me. «Ti cacci mai in una di quelle strane situazioni senza sapere neanche come ci sei finito?»

«Oh Laine, se solo sapessi quante volte mi succede. Se quello fosse uno Stato, io vivrei lì.»

Laine ridacchia. «Allora forse mi potrai capire. Vado alle Bahamas tra poco meno di una settimana-»

«Mh, no, non ti posso capire» mi ritrovo ad interrompere, e lui ridacchia di nuovo.

«Ci vado tra una settimana e lì c’è un mio amico.»

«Sembra bello.»

«Beh, sì, ma potrei avergli detto una grossa cavolata…»

«Ovvero?»

«Gli ho detto che mi vedo con qualcuno e che avrei portato quel qualcuno con me.»

«Perché mai gliel’hai detto?» gli chiedo, confusa.

«Non ne ho la più pallida idea. È quel tipo di persona che… ci sono quelle persone che ti fanno sentire sempre come se mancasse qualcosa nella tua vita che loro hanno, non importa quanto bene stia andando la tua. Ecco, lui è una di quelle persone.»

Cavolo… quanti soldi deve avere quel suo amico per fare sentire un investitore di successo come se gli mancasse qualcosa?

«Sì, credo di conoscere bene quella sensazione» gli dico con sincerità.

«Sì, beh, lui è quel tipo di persona. E quindi, per non sembrare un totale fallito, devo trovare qualcuno che venga con me alle Bahamas e finga di essere la mia fidanzata.»

«La tua fidanzata?»

«Sì, lo so…» mi dice, abbassando la testa mentre passa un dito sulle sopracciglia, frustrato.

«Ti dirò, Laine… mi sembra proprio che tu ti sia messo in un bel guaio. Dunque, hai intenzione di dirgli la verità?»

«Dio, no. Assolutamente no. Non posso farlo.»

«Perché no?»

Laine si ferma un attimo, e riesco quasi a vedere un pensiero formarsi nella sua mente. «Perché semplicemente non posso.»

«E allora cosa hai intenzione di fare?»

«Dovrò trovarmi qualcuno che mi accompagni.»

«Devi trovare qualcuno che accetti di venire con te alla Bahamas… sì, sembra proprio difficile. Buona fortuna!» gli dico, ironica.

«Non è così facile come pensi!» ribatte.

«Sul serio? Non è facile trovare qualcuno che dica sì a venire alla Bahamas?»

«Esatto, non ci riesco.»

«Mi viene così difficile, crederti…»

«Te lo posso provare» mi dice, sicuro.

«Come?»

«Così: Jules, ti piacerebbe venire alla Bahamas con me e far finta di essere la mia fidanzata?»

«Oh, mi piacerebbe da morire, però devo lavorare.»

«Vedi!» dice, quasi trionfante.

«Okay, capisco cosa intendi. Però l’unica ragione per cui non posso dirti sìè letteralmente che devo lavorare. Credimi, se potessi non farlo, non ci penserei due volte a dirti di sì. Non so nemmeno come spiegarti quanto mi servirebbe una vacanza alle Bahamas, in questo momento.»

«È per la situazione familiare?» mi chiede, facendosi d’un tratto più serio.

«È più una questione economica. Ho un disperato bisogno di lavorare. Insomma, non voglio tediarti con i miei problemi. La versione corta è che necessito di soldi.»

Quindi… avete presente quel momento in cui un uomo super ricco e super affascinante vi guarda dritto negli occhi con quel luccichio strano che vi porta a pensare che sarebbe proprio bello buttarvici addosso? Beh, credo sia proprio ciò che sta succedendo in questo momento.

«Perché mi fissi così?» gli chiedo.

«L’unica cosa che ti frena dall’aiutarmi sono i soldi?»

«Sostanzialmente, sì. Non so in che tipo di mondo tu viva, ma nel mio sono importanti.»

«Non lo metto in dubbio. Però i soldi sono una di quelle cose che a me proprio non manca» mi dice, sicuro di sé.

Non so bene cosa prendere da ciò che ha appena detto. Dove vuole andare a parare?

«Cosa suggerisci, esattamente?»

«Quanto ti servirebbe per uscire da questa tua brutta “situazione familiare”?»

«Quanto? Cavolo, non saprei… probabilmente molto più di ciò che tu hai.»

Laine inclina la testa, dubbioso. Dio, quanto è presuntuoso questo tipo. Quanti soldi potrà mai avere? La mia situazione familiare può toccare i milioni, onestamente.

«Dammi un numero» mi dice, e mi ritrovo ancora una volta a chiedermi cosa stia succedendo.

Mi raddrizzo sulla sedia, gli occhi puntati su Laine.

Cosa sapevo di lui, al college? Non molto, ora che ci penso. Se non ricordo male era pieno di sé anche allora, pensandoci. Non ricordo di averci mai parlato, però le mie amiche sì. E se non ricordo male, era uno di quei tipetti che facevano i donnaioli.

Aspetta, non avevo forse un’amica che era venuta da me a piangere, una volta, proprio per lui? Ma era lui o qualcun altro? È passato così tanto tempo… non riesco a ricordarlo.

Ma chiunque fosse, è stato dieci anni fa. Le persone cambiano, le situazioni cambiano. E cosa più importante, la mia situazione è cambiata. E in questo momento c’è un uomo che mi chiede quanto mi serve per sistemare la mia situazione economica, per uscire dal buco nero nel quale mi trovo.

Che cosa dovrei dirgli?

Se è sincero sulla sua offerta, non vorrei mai spaventarlo con una cifra decisamente troppo alta. Allo stesso tempo, però… è lui che si sta vantando di avere una montagna di soldi. Cosa mi impedisce di essere perlomeno onesta?

«Beh… non meno di duecentomila dollari.»

«Duecentomila dollari?»

«Sì. Tra spese mediche, e il prestito universitario, e…»

«Affare fatto» mi interrompe.

«Cosa?» chiedo, sicura di non aver capito bene.

«Affare fatto, ho detto. Per me va bene. Se vieni con me alla Bahamas e fingi di essere la mia fidanzata, ti daròduecentomila dollari.»

Sono scioccata.

Sono certa che anche lui possa vedere quanto io sia scioccata.

Lui è lì che mi guarda con quel sorrisetto presuntuoso sul viso, ed io non ho la più pallida idea di come mi dovrei sentire riguardo ciò che sta succedendo. In che cosa mi sto cacciando? Per qualche assurdo motivo mi sento quasi come se fossi il topo messo all’angolo dal gatto.

Ma perché dovrei sentirmi così, poi? Laine non è il gatto, semmai è il mio salvatore. Quella cifra riuscirebbe a coprire il debito che mia madre ha accumulato per mandarmi al college. Non cancellerebbe le bollette mediche, ma riuscirebbe ad estinguere il mutuo, e questo per lo meno le darebbe un po’ di respiro, almeno fino al suo rientro a lavoro.

Certo, non è un milione di dollari, ma sono abbastanza per evitare di perdere la casa. E a questo dovrei aggiungere che questi soldi mi aiuterebbero a ritornare a com’ero prima che l’Inferno liberasse le sue fiamme sulla Terra e mi inghiottisse.

Ma tutto questo sta sul serio succedendo a me?

«Voglio la metà prima», sputo d’un tratto.

«Cosa?» mi chiede, preso alla sprovvista.

«Voglio metà del pagamento prima di partire», gli spiego allora.

Mi guarda, raccogliendo di nuovo tutta la sicurezza che lo aveva lasciato per qualche secondo. «Chi mi dice che non prenderai i soldi e scapperai via da me?»

«E chi mi dice che alla fine tu mi pagherai? Non posso neanche essere sicura che tu ce li abbia, tutti quei soldi.»

Laine ride, come se ciò che ho detto fosse assolutamente ridicolo.

Ma quanti soldi ha questo tipo?

«Ti dico cosa faremo», comincia, prendendo un biglietto da visita dalla tasca dei pantaloni. «Mi piacerebbe discutere di tutto questo ancora, però forse è meglio che entrambi facciamo le nostre dovute ricerche l’una sull’altro prima di buttarci a capofitto su questa cosa. Qui c’è il mio biglietto da visita. Cercami dove ti pare e fammi sapere entro domani. Se riesci a trovare qualcosa di meglio tra oggi e domani, lo capirò. Ma se non così non fosse, allora sono veramente tanto contento di averti incontrato e sono certo che t’innamorerai della mia isola privata.»

E, detto questo, Laine spinge il suo biglietto da visita verso di me, si alza, e si dirige verso la macchina più bella e costosa che io abbia mai visto.

Credo sia una Jaguar, di quei modelli per cui serve un accento inglese per pronunciarne il nome come si deve. Non sono esattamente un’appassionata di auto, però so riconoscere le cose belle.

Quella certamente lo è.

Laine avvia il motore ed io lo guardo allontanarsi in fretta, e quando non è più nella mia visuale sposto lo sguardo sul biglietto che mi ha lasciato.

‘Laine Toros, Triad Investments’

Scrivo queste esatte parole sulla barra di ricerca Google e quando clicco invio, la sua foto è il primissimo risultato che viene fuori.

Sembra proprio che non abbia esagerato con il suo atteggiamento.

Èdavvero ricco da fare schifo.

La sua compagnia ha investimenti da cinque bilioni di dollari.

Ora mi è chiaro perché si sia messo a ridere quando ho suggerito che potesse non avere tutti i soldi che mi servivano. Lui è chiaramente quel tipo di persona che, se perdesse un bigliettone da cento per strada, non se ne farebbe per niente un cruccio.

E, ora che ci penso, non ha forse detto di avere un’isola privata alle Bahamas?

Non riesco a credere che tutto questo sia vero.

E se è vero, non può non esserci una fregatura.

 

 

«Dovrai fare sesso con lui?» chiede mia madre, preoccupata.

«Dovere?»

«Sì. Ti costringerà a fare sesso con lui?»

«Costringermi?» chiedo, prendendo il cellulare dalla mia tasca e mostrandole una sua foto.

Mia madre fissa in silenzio la foto di Laine, e riesco a vedere dal suo sguardo che stia calcolando quanto immorale in effetti possa essere considerato, prostituirsi, quando si tratta di farlo con l’uomo più sexy del mondo.

«Sembra una brava persona» mi dice, avendo chiaramente capito il tipo di persona che Laine è dentro tramite una sua foto a petto nudo. «Ma cosa sai di lui, però?»

«Beh, ho frequentato il college con lui per quattro anni.»

«Quindi eravate amici, ai tempi?»

«Non esattamente. Però me lo ricordo. E conosceva un bel po’ di mie amiche.»

E con questo intendo che aveva fatto sesso con un bel po’ di loro.

«E loro ne parlano bene?»

«Immagino di sì»

E con questo intendo assolutamente no.

Ma non posso dirlo a mia madre. Si preoccuperebbe per nulla, e mi direbbe che non dovrei farlo.

Però io devo farlo. È in ritardo di mesi sul mutuo. Riesco a sentire l’avviso di sfratto avvicinarsi inesorabile. Io ho bisogno di farlo.

E, poi… se finisco per fare sesso con lo scapolo più sexy e single dell’universo, beh, quello è uno di quei sacrifici che sarei disposta a fare.

Ma guardatemi, pronta a fare di tutto per le persone che amo.

Sono proprio un angelo.

Ammetto, comunque, che la sua reputazione di allora, il modo in cui mi ha sorriso ela sua risposta quando gli ho chiesto perché non fosse sposato mi preoccupa un po’. L’ultima cosa che voglio è rischiare di finire emotivamente coinvolta con qualcuno che non è in grado di provare sentimenti.

Ci sono già passata. Comprato le sue cose preferite… e finito per buttarle tutte via, inclusa quella maglietta di football che lui, chiaramente, amava molto più di me.

Ma questa è una lunga storia. Magari ve la racconto un’altra volta.

Però… Laine non ha avanzato nessuna proposta di quel tipo. L’unica cosa che vuoleè qualcuno che finga di essere impegnato con lui per una settimana o due, giusto per impressionare quel tipo ultra milionario.

Non posso dire che mi dispiaccia l’idea di stargli incollata addosso per una settimana. E fino a quando continuo a ripetere a me stessa che è soltanto un lavoro, che sto fingendo e che è come recitare una parte in un film, riuscirò a mantenere i sentimenti rinchiusi in gabbia.

E poi, io non sono una di quelle ragazze che perde la testa in un nanosecondo per uno di quei ragazzi super attraenti con un sacco di soldi in tasca che erano sicuramente delle teste di cazzo al college, ma che adesso hanno un sorriso che ti fa sentire le gambe molli e la voglia irrefrenabile di buttarti tra le loro braccia… no, io non sono così.

E onestamente, mi dispiace tanto per le ragazze che invece lo sono.

 

«Ciao, Laine. Sono Jules. Ci siamo incontrati oggi al bar. In realtà, beh, ci siamo incontrati al college, diciamo che oggi ci siamo rincontrati… oggi… a Calabasas…»

Che cazzo sta succedendo?

Ricomponiti, Jules.

Sento Laine ridere. «Sì, mi ricordo. Hai pensato alla mia offerta?»

«Ci ho pensato, sì, e… no.»

Aspetta, che cosa ho appena detto?

«Hai appena detto no?»

Ho appena detto no? «Sì, no» ripeto, senza sapere chi io sia e quale entità folle abbia preso il possesso delle mie facoltà mentali. «È un’offerta molto generosa. E mi servono i soldi. Voglio dire, mi servono davvero tanto quei soldi. È solo che sembra tutto troppo strano.»

«Che intendi? Si tratta di una persona che non vedevi da dieci anni che ti ha proposto duecentomila dollari in cambio dei tuoi servizi di attrice per fingerti la sua fidanzata in modo tale che lui possa impressionare il suo amico. Cosa c’è di strano?»

«Scherzi? Tutto. Letteralmente tutto.»

Laine ridacchia dall’altra parte del telefono. «Senti, lo capisco. È strano. È tutto strano, e non parlo solo dell’offerta. Lo capisco, è proprio perchéè strano che ho avuto problemi a trovare qualcuno che accettasse di farmi questo favore. Mi dispiace averti fatto perdere tempo con tutto questo. Ti auguro una buona vita!»

«Aspetta! È tutto qui?» chiedo, una parte del mio cervello che si riprende giusto in tempo per evitare che tutte le mie speranze vadano in fumo.

«Che intendi?»

«Dico, hai intenzione di… arrenderti, così?»

«Cosa vorresti che facessi?» mi chiede, e dal tono mi sembra di percepire della ragionevole confusione.

«Beh, non so, potresti… cercare di convincermi che non sarebbe strano?» chiedo, sentendomi quasi in difetto per essere stata io ad averglielo fatto notare.

Laine ride un’altra volta. «Okay… cosa ti fa sentire che sarebbe strano?»

«Non saprei… forse mi sembra una grande quantità di soldi per un po’ di recitazione.»

«È la cifra che hai chiesto tu.»

«Lo so, però… per esempio… quando dici che dovrei fingere di essere la tua fidanzata… questo mio fingere, che cosa comprende?»

«Mi stai chiedendo se mi aspetto che tu venga a letto con me?»

«Ovvio che ti sto chiedendo se ti aspetti che io venga a letto con te, di cos’altro potrei mai star parlando, altrimenti?»

Laine ridacchia un’altra volta. «Okay, allora chiariamo questo punto: non mi aspetto che tu faccia sesso con me. L’unica cosa che mi serve da te è che tu faccia credere al mio amico che io e te siamo davvero una coppia. Ma questa farsafinisce nel momento in cui io e te ci troviamo da soli nella stanza.»

«Quindi condivideremo una stanza.»

«Quale coppia non condivide una stanza?»

«E… ci saranno… come posso dirlo?»

«Due letti?»

«Sì. Come ci comporteremo per dormire?»

«C’è soltanto un letto. Se preferisci, io posso dormire sul pavimento. Non ho problemi a farlo. Se dormo sul pavimento la cosa diventa meno strana per te?»

«Beh, sì, sicuramente lo diventerebbe. Però poi penserei al fatto che ti sto facendo dormire sul pavimento nella tua isola privata, e immagino che questo sia strano di suo.»

«E allora cosa proponi di fare?»

«Beh… immagino che possiamo tenere il pavimento come possibile opzione, ma… vedremo come vanno le cose?» dico, cercando il più possibile di risultare pratica.

«Mi sembra un ottimo compromesso. C’è qualcos’altro di cui vorresti parlare?»

«No, credo che questo sia tutto.»

«Quindi… questo significa che accetti?» mi chiede, in maniera del tutto casuale.

«Immagino di sì. Cioè, sì, certo, accetto.»

«E ti va bene essere pagata dopo?»

Avevo già preso in considerazione questa parte. «Ho fatto qualche ricerca su di te. Mi sembri messo bene. Credo di potermi fidare.»

«Ottimo, quindi anche questo è un sì?»

«Sì, d’accordo» dico un’altra volta, e ancora una volta non so chi o cosa si stia impossessando di me e parlando al posto mio.

«Oh, magnifico!»

«Oh, però… ho, in effetti, un’altra domanda?»

«Spara.»

«Ecco… perché gli articoli che ho letto su di te ti chiamano ‘Uragano Laine’?»

Laine ride. «Ha a che fare con un’acquisizione che ho fatto qualche anno fa. Certe volte, quando prendi le redini di un’azienda, devi… scuotere un po’ le cose, renderle più interessanti. Beh, io ho dato la scarica… e sono finito per arruffare alcune piume. Ed è d’allora che la stampa ha deciso di chiamarmi in questo modo. Però non so, a dirti la verità, un po’ mi piace. Rende tutto più eccitante. Non credi?»

«Oh, decisamente, concordo» dico, perché la sua spiegazione ha assolutamente senso. Almeno credo.

«Vuoi sapere qualcos’altro?»

«Sì, solo un’altra cosa. Quanto staremo lì?»

«Mh… questo non lo so con certezza. Ti consiglierei di preparare le valigie come se dovessi stare lì per tre settimane. Anzi, facciamo un mese. Potrebbe essere soltanto una settimana, alla fine. Però dipende un po’ tutto da come andranno le cose con il mio amico.»

«Che intendi?»

«Tu fai i bagagli per un mese. Se sarà più corto, beh, è andata così.»

«D’accordo. E quando partiamo?»

«Ho parlato con il mio amico proprio oggi, in effetti. Saresti pronta a partire in tre giorni?»

«Tre giorni? Pensavo avessi detto che non saresti partito prima di una settimana o poco più?»

«Beh, sì, l’ho detto, ma il tempo è una cosa relativa. Allora, puoi?»

«S-sì, immagino di sì. Posso.»

«Oh, perfetto! Ti farò mandare l’itinerario dal mio assistente. Grazie per quello che stai facendo, Jules. Mi stai aiutando tanto.»

«No, tu stai aiutando tanto me. È un piacere fare affari con te.»

«È proprio un piacere, concordo» mi risponde, e riesco quasi a percepire quel suo sorriso furbo e sexy dal telefono.

Quando attacco, mi sento molto meglio riguardo tutta questa situazione.

È decisamente cambiato rispetto ai tempi del college.

Questo non potrebbe mai essere lo stesso ragazzo che ha fatto tornare un sacco di mie amiche con le lacrime agli occhi. Eppure ciò che è successo tanto tempo fa non era poi tutta colpa sua.

Lo ammetto… io ero un po’…  scatenata, ai tempi. Niente che andava oltre le righe, ma le mie amiche erano decisamente fuori di testa. Erano simpatiche, e le adoravo, ma il loro modello di vita era una cantante che aveva dato fuoco alla casa del suo ex ragazzo.

Ai tempi non sembrava poi così irragionevole, ma se ci penso adesso… eh.

Perciò, forse Laine non era poi così tanto un cattivo ragazzo come io me lo ricordo. Magari ha avuto soltanto sfortuna. E anche se non fosse stato un angelo ai tempi del college, chi è che lo è stato?

Io non di certo. Ma siamo tutti persone diverse, adesso. E ognuno di noi merita una seconda occasione, un nuovo inizio.

E con i soldi che mi entreranno da questo “lavoro”, potrò permettermene uno anche io.

 

Con la data di partenza vicina alle porte, devo sbrigarmi ad occuparmi di tutto ciò che c’è da fare. Laine mi ha mandato un assegno da duemila dollari da poter usare per potermi comprare qualcosa mi permetta di trasformarmi in qualcuno che possa sul serio essere presa per la fidanzata di un multi milionario: unghie, capelli, ceretta, insomma, ci siamo capiti, no? Il solito.

E la cosa più bella di tutte: il guardaroba.

Per l’occasione, mi concedo di andare a fare shopping a Beverly Hills, perché immagino sia qui che vanno le persone di spicco con tanti soldi nel portafoglio.

Camminandovedo un bikini in vendita ad ottocento dollari! Ottocento, non scherzo.

Cosìpenso che forse sia il caso di volare più in basso, verso una piccola boutique francese chiamata Targét. Lì dentro compro quattro costumi e qualche snack a meno di duecento dollari! Duecento, mi avete sentito bene.

Mi sento una diva, ve lo confesso.

 

Il giorno prima di partire, ricevo ciò che capisco essere la nostra “storia”: a quanto pare, io e Laine ci siamo conosciuti soltanto quattro mesi fa. Ovviamente è stato amore a prima vista. Poi lui mi ha portato a Parigi, la scorsa settimana, e mi ha chiesto di sposarlo. I dettagli di questo immaginario momento sono molto romantici e commoventi. Ma quando arrivo alla parte del jetlag, si spezza la magia. Quello è stato orribile. 

Non avendo visto né sentito Laine per tre giorni da quell’ultima telefonata, prima della partenza, mi aspetto quasi di trovarlo dentro la macchina che ha mandato per venirmi a prendere; lui, però, non c’è. Allora mi sento sicura che lo troverò al mio fianco una volta arrivata al check-in.

Ma anche lì, di lui nessuna traccia. Non lovedo neanche durante il mio volo verso la Florida. Se questaè la premessa di come questo nostro immaginario matrimonio andrà nel futuro, vi confesso che non si prospetta una lunga durata.

Non ricevo sue notizie fino a quando non faccio il biglietto per Bimini, e per allora sono già un fascio di nervi.

 

Ciao piccola, non vedo l’ora di vederti in aeroporto.
Vedrai, t’innamorerai dell’isola.

 

Il messaggio calma i miei nervi istantaneamente. Almeno significa che non sto andando incontro ad una nuova versione di Survivor in cui uomini ricchi sfondati mandano giovani donne in isole tropicali a combattere tra di loro per accaparrarsi duecentomila dollari.

Non che rifiuterei di giocare… e precludermi la mia assoluta vittoria. Dico solo che comunque ho appena rifatto le unghie, quindi… sono pronta.

Mentre l’aereo si avvicina all’isola, dal finestrino guardo giù verso l’acqua.

Non ho mai visto le Bahamas prima di questo momento. Ho visto delle foto, ma nessuna di quelle avrebbe mai potuto prepararmi a ciò che adesso ho davanti agli occhi.

È assolutamente meraviglioso.

Bellissimo.

Magico.

Non sapevo neanche che certe sfumature di blu esistessero. E più ci avviciniamo all’isola, all’acqua, più mi sembra di riuscire a scorgere chiaramente pesci nuotare nell’acqua cristallina. E se è vero, significa solo che i pesci in questo posto sono fin troppo più grandi di quanto io possa mai sentirmi a mio agio ad avere accanto. E questo significa anche che tutti i costumi che ho comprato non saranno mai bagnati da quest’acqua meravigliosa.

Beh, almeno la vista è pazzesca.

Quando finalmente atterriamo sulla corta pista d’atterraggio, mi rendo conto di quanto avessi bisogno di tornare sulla terraferma.

Le porte del velivolo si aprono, e mi ritrovo sorpresa di essere accolta da una temperatura così calda. Beh, è sempre più umidità che effettivo caldo, peròè comunque uno shock. Prendo a sudare immediatamente, e questa non è mai una cosa buona.

Soprattutto su di me.

Mai su di me.

Percorro velocemente la pista ed entro in aeroporto, continuando ad aspettarmi di vedere Laine accanto a me da un momento all’altro.

È tutto così nuovo per me. Se non fosse stato per questo fidanzamento immaginario, non avrei mai potuto dire di aver fatto un viaggio fuori dal mio Paese.

È la mia prima volta, quindi non so bene cosa fare. Immagino non ci sia molto da fare, visto quanto piccolo è questo posto, però mi sento comunque un pesce fuor d’acqua.

Mi ritrovo a seguire la persona di fronte a me, diretta verso l’altro lato dell’aeroporto, verso l’uscita.

Nessuno mi presta la minima attenzione.

Ma insomma, non sapete di chi sono la finta fidanzata? Laine non ci starebbe niente a fingere di comprare questo posto e venderlo al migliore offerente. Voglio dire, non è che dico che mi piace fingere di essere una di quelle persone altezzose. Però sarebbe stato bello non sentirmi come uno di quei personaggi sfigati in quelle sitcom, assolutamente all’oscuro su cosa fare e come comportarsi e decisamente fuori dal loro vero mondo.

«Jules, piccola! Finalmente sei arrivata!»

Una voce mi chiama quando esco fuori dall’aeroporto. Mi guardo intorno, e finalmente lo vedo: Laine non è più vestito da giocatore multimilionario. Adesso sembra più quel tipo di multimilionario in vacanza, pronto ad una gita in yatch: indossa una maglietta bianca che gli fascia il torace perfettamente, un paio di pantaloncini color cachi e dei sandali in pelle.

Dio, se è bello.

Appena lo vedo lascio andare le mie valige e corro ad abbracciarlo, scioccandogli un bacio. Spero sia venuta fuori una mossa sexy e sdolcinata proprio come è riuscita a fare Julia Roberts in quel film che ho visto.

«Laine, tesoro, è così bello vederti» gli rispondo, con un marcato accento inglese che ho preparato per l’occasione.

Laine mi guarda, quasi chiedendosi come io sia arrivata a queste scelte per la mia parte, poi però fa un cenno con la mano all’uomo che gli sta accanto.

Ed è lì che finalmente lo vedo.

No.

Non può essere.

Deve essere uno scherzo.

È uno scherzo, giusto?

«Jules» sento Laine dire. «Ho il piacere di presentarti il mio caro amico, Reed. In realtà, anche lui è andato nella nostra stessa università.»

No, non può essere vero.

Non Reed. Tra tutti, non Reed.

Non ho bisogno di presentazioni, io lo conosco bene. Forse anche lui mi conosce bene. Io… noi… c’è una storia complicata dietro la nostra conoscenza, se storia può essere chiamata. Insomma, da un certo punto di vista io Reed lo conosco meglio di quanto conosca Laine.

È solo una coincidenza, giusto?

Insomma, Laine non lo sapeva che io e Reed ci conosciamo.

Non può aver orchestrato tutto per qualche assurdo motivo.

No, è una coincidenza. Deve essere una coincidenza.

 

Giusto?

 

 

Capitolo 2

Reed

 

Questa non può in alcun modo essere una coincidenza.

Tre giorni fa Laine mi ha chiamato dicendomi di disdire tutti gli impegni che avrei potuto avere perché c’era una persona che doveva farmi conoscere. Gli ho chiesto chi fosse, e lui mi ha detto soltanto che fosse la sua fidanzata.

Laine Toros fidanzato? Non potevo crederci. Proprio Laine che cambia ragazze come fossero mutande. Non le ha mai viste come effettive persone, per loro sono soltanto premi da conquistare. Ed infatti gliel’ho proprio detto. Ma lui mi ha risposto che questa persona era completamente diversa dalle altre. Lei era speciale, così speciale che era stata in grado di cambiare il suo modo di vedere le cose. Mi ha detto che lo aveva trasformato in una persona completamente diversa.

E adesso scopro che questa meravigliosa persona è proprio la stessa per la quale avevo perso perdutamente la testa ai tempi del college.

Non può in alcun modo essere una coincidenza.

«Reed, vorrei presentarti la mia fidanzata» dice Laine in maniera casuale, proprio come se credesse che io non la conosca.

«No, ci conosciamo già, Laine» dico, cercando di riprendermi dallo shock iniziale. «Voglio dire, ci conosciamo, non è vero?» chiedo direttamente a Jules, mentre i ricordi del nostro complicato passato mi passano tutti davanti in un secondo.

«Sì, decisamente ci conosciamo» mi conferma Jules.

«Oh, ma… aspetta. Sì, giusto! Vi conoscete. È vero!» dice Laine, come se i ricordi stiano soltanto adesso affiorando nella sua mente. «Quanto è piccolo il mondo, non èvero?» dice, scoccando uno dei suoi fastidiosi sorrisi mentre circonda le spalle di Jules con un braccio. «Com’è stato il volo, piccola? Non dirmi che avrei dovuto comprare qualcosa di meglio per te.»

«Oh, è divertente che tu lo dica, tesoro» dice Jules, riportando lo sguardo su Laine.

«Perché mai?» le chiede lui.

Jules sorride. «Così, è divertente. Dunque, Reed. Cos’hai fatto da quando ci siamo visti l’ultima volta? È passato un sacco di tempo… l’ultima volta che abbiamo parlato credo sia stato… il giorno della nostra laurea?»

«Te lo ricordi?» chiedo, sorpreso che lei possa ricordare qualcosa di così insignificante.

«Certo che sì. Avevi la toga piena di pallini. Mi sono sempre chiesta come avessi fatto, tra l’altro! Cos’hai fatto, li hai cuciti a mano?»

«Sì!» confermo, troppo scioccato che lei potesse ricordare un dettaglio così minuscolo. «Li ho in effetti cuciti a mano. Ho speso tutta la notte precedente a farlo proprio con… oh, in realtà ero proprio con il tuo fidanzato.»

«Sì, mi ricordo bene» dice Laine, avvicinando Jules a sé. «Mi ricordo quanto fosse importante per te cucire tutti quei pallini. Era quasi come se non avessi potuto laurearti, senza.»

Mentre Laine ne parla, mi viene in mente un ricordo di quella stessa notte. «Ti sei intrufolato nell’aula di scienze per prendere ciò che mi serviva per cucire, se non ricordo male.»

«Sì, beh, tu minacciavi di non camminare più se non avessi potuto mettere i tuoi pallini sulla toga. Che cosa avrei dovuto fare?» mi chiede Laine.

«È vero» dico, ricordandomi solo in questo momento che Laine possiede, in effetti – seppur piccolo – un lato dolce, dentro di sé. Viene fuori molto di rado, ma è bello ricordare che esiste.

«Comunque, avremo un sacco di tempo per tuffarci nei ricordi del nostro passato quando saremo sull’isola. Reed, ti dispiacerebbe prendere i bagagli di Jules? Jules, questo è tutto quello che ti sei portata?»

«Lo sai che mi piace viaggiare leggera.»

«Sì, hai ragione, piccola. È in effetti una delle tante cose che amo di te» dice Laine, avvicinando il suo naso a quello di Jules e dandole un piccolo bacio subito dopo.

Mentre li guardo mi rendo conto che non so bene cosa stia succedendo, qui. L’unica cosa che so per certo, è che tutto questo non mi piace per niente. Non può essere semplicemente una coincidenza. E Laine non potrebbe mai aver dimenticato i sentimenti che avevo provato per così tanto tempo per lei.

Non riesco nemmeno a ricordare quante volte mi ero ritrovato a parlare di lei con lui, ai tempi. Una volta ne abbiamo parlato per così tanto tempo, che mi sono ritrovato ad un certo punto a rendermi conto si fosse fatta già mattina. Certo, ero sicuramente io quello che parlava di più, ma… non posso neanche pensare che lui abbia potuto dimenticarlo.

«Quindi, com’è che vi siete incontrati, voi due?» chiedo, guidando verso casa mia.

«Laine non te l’ha detto?» chiede Jules dai sedili posteriori.

«No. A dirti la verità, Laine non mi ha detto assolutamente nulla su voi due.»

«Vergognati, Laine caro. Ma permettimi di essere io a raccontare.»

«Il palcoscenico è tutto tuo, tesoro.»

«Ci trovavamo entrambi a Calabasas…»

«Io ho una casetta, lì», si intromette silenziosamente Laine.

«Vero. Ed io mi sono trasferita da poco per potermi prendere cura di mia madre.»

«Oh, mi dispiace! Che cos’ha tua madre?» chiedo, genuinamente preoccupato.

«È stata operata di cancro. Ma va tutto bene, adesso. Si sta riprendendo.»

«Tua madre ha avuto il cancro? Ma io non lo sapevo!»

«Ma certo che lo sapevi, sciocchino. Te l’ho detto. Lo sai che sono tornata a Calabasas per prendermi cura di mia madre.»

«Oh, aspetta… sì, vero! Per prenderti cura di tua madre. Scusatemi, stavo decisamente pensando a qualcos’altro. Ma vai pure avanti, tesoro.»

«Comunque…» Jules continua. «Stavo lavorando in un’agenzia di Impiego Temporaneo.»

«Un’agenzia di impiego temporaneo?» chiedo, ricordandomi all’improvviso di qualcosa.

«Sì. Non sapendo esattamente quanto tempo mi sarei fermata a Calabasas, ho pensato che sarebbe stato più semplice così. Ma comunque sia… quindi, ero appena stata licenziata da uno dei miei lavori temporanei, e così avevo deciso di andare a prendere un caffè. E chi l’avrebbe mai detto che la persona che incontro lìè proprio Laine Toros, dal college!»

«Ero proprio io!» interviene Laine. «E poi, beh… sai come sono queste cose. Abbiamo cominciato a parlare, da cosa tira l’altra, e… adesso siamo qui.»

«Adesso siamo qui», conferma Jules.

«Wow… sembra una di quelle storie impossibili da credere. Non pensavo certe cose succedessero davvero…» dico. «Immagino che foste destinati a trovarvi.»

«Sì, era decisamente destino» dice Laine, poggiando la mano su quella di Jules.

Al vedere un altro di quei gesti d’affetto, mi costringo a riportare lo sguardo sulla lunga strada vuota.

Questa novitàè un bel boccone amaro da digerire.

Mi ci è voluto così tanto tempo per dimenticarmi di Jules. A dire la verità, quello che era successo tra di noi era proprio il motivo per cui mi sono trasferito qui, dopo il college.

Tutta quella situazione aveva davvero preso il controllo del mio cervello. Non ho ad oggi la minima idea del perché mi venisse così difficile, chiederle di uscire. Ho sempre sentito come se, alla fine, lei avrebbe anche accettato di uscire con me, se solo mi fossi proposto. Ma non l’avevo mai fatto.

Forse ero troppo incasinato, ai tempi. Cavolo, non credo di poter dire di essere uscito da quei casini neanche adesso.

Voglio dire, che cosa ho fatto io della mia vita mentre Laine andava in giro a riempire le sue tasche fino a svenire? Niente. Io vivo ancora nella stessa casa rattoppata nella quale mi sono trasferito dieci anni fa, quando sono arrivato qui, e li posso contare sulle dita di una mano i soldi che posseggo.

Durante il tragitto mi imbatto nei Johnson, che mi salutano con la mano con un gran sorriso. Io ricambio, appuntandomi mentalmente di tornare a far loro visita, quando sarò libero. Gli anni, per loro, cominciavano a farsi sentire, e alcuni di noi si offrivano di prenderci cura del loro giardino per evitare che lo facessero loro. Il mio turno stava per arrivare.

«Signor Johnson, signora! Buongiorno. Come sta Thelma? E il vostro nipotino?»

«Oh, stanno benone, caro, grazie!» dice il signor Johnson mentre mi fermo proprio accanto a lui.

«Ha ricevuto i manghi che le ho mandato?»

«Sai, credo proprio di sì!»

«Ah, sono contento. Sono molto dolci. Dovrei portarne qualcuno anche a voi, ora che ci penso!»

«Oh, te ne saremmo grati. Lo sai quanto ci piacciono i tuoi manghi» mi risponde il signor Johnson con un sorriso.

«Comunque, questi sono due miei amici. Sono qui in vacanza dagli Stati Uniti. Lui è Laine, sono certo si ricordi di lui dai miei racconti. E questa è la sua fidanzata, Jules. Siamo andati tutti al college insieme.»

«Molto piacere di conoscervi» dice il signor Johnson rivolto a loro, poi si gira di nuovo verso di me. «È questa la ragazza di cui parli sempre?»

«Non ho la più pallida idea di cosa intenda, signor Johnson. Comunque, tornerò presto a portarvi i manghi! Ci vediamo quando torno» dico velocemente, mettendo ancora una volta in moto, allontanandomi quanto più possibile dal signor Johnson.

Mi ero ritrovato a parlare con loro di Jules e del mio cuore spezzato tante, tantissime volte durante gli anni. E adesso che il signor Johnson avanza con l’età, è difficile per lui mantenere un certo filtro nel dire le cose.

Devo allontanarmi più in fretta che posso, perché non c’è nulla di ciò che il signor Johnson possa lasciarsi scappare che mi piacerebbe ritrovarmi a spiegare a Laine o Jules.

«Sembrano molto simpatici» dice Jules, richiamando la mia attenzione.

«Sì, lo sono. Sono tutte delle brave persone, qui. È una piccola comunità, ci conosciamo tutti. Io sono il padrino del loro nipote» dico con un certo orgoglio.

«Intendi il figlio di Thelma?» mi chiede, come se conoscesse Thelma meglio di me. «Thelma con i manghi» scherza, ridacchiando.

Mi ritrovo a ridacchiare a mia volta. «Sì, Thelma con i manghi.»

«Una piccola isoletta pittoresca» s’intromette Laine, con il chiaro intento di fermare il nostro botta e risposta.

Laine viene qui almeno una volta l’anno, ma per quanto mi piacerebbe dire che riesce ad abbracciare la vita che si conduce in quest’isola, non l’ha mai realmente compresa. Qui ci sono persone troppo di basso rango, per lui. Smette di parlare un secondo dopo averlo introdotto a qualche persona nuova. E per qualche ragione, ho sempre avuto l’impressione che non gli piacesse per niente il mio vivere la mia vita qui.

Così, quando mi ha detto che aveva comprato un’isola a pochi chilometri dalla costa di South Bimini, sono rimasto non poco sorpreso.

Non me ne ha mai neanche parlato prima della sua chiamata di tre giorni fa. Peròdeve esser stato qui per comprarla, ad un certo punto, no? Insomma, deve averla vista prima di decidersi ad acquistarla, giusto?

O forse le persone ricche come lui comprano proprietà senza curarsi di vederle con i loro occhi, prima. Immagino non ci sia la paura che noi comuni mortali condividiamo di spendere soldi a vuoto, perché a loro i soldi di certo non mancano.

Voglio dire… la mia casa può essere considerata una discarica se messa a confronto con la sua, immagino; eppure io l’ho visitata cinque volte prima di decidere di comprarla davvero.

«Siamo arrivati!» annuncio mentre parcheggio davanti la mia umile casetta.

Quando guardo Jules, la trovo intenta a fissare la mia casa con aria sorpresa.

«C’è qualcosa che non va?» chiedo, sentendomi immediatamente esposto alle mie mancanze finanziarie.

«No, assolutamente no. È solo che ero quasi certa… Tu non fai lo stesso… lavoro che fa Laine?»

«Oh, no. Per Dio, mai» dico, scherzando.

«Non c’è bisogno che tu lo dica in questo modo» dice Laine con un sorriso tirato.

«No, intendevo solo che credo ci basti una persona a fare il lavoro che fa Laine. Voglio dire… non credo ci siano abbastanza compagnie da sfruttare. Giusto, Laine?» dico, dandogli una leggera gomitata sul fianco.

«Quanto hai ragione. Se ce fossero, sarei molto più ricco di così. No, il nostro Reed qui ha deciso di seguire il suo sentiero personale.»

«E cosa fai?» chiede Jules.

«Un po’ di questo, un po’ di quello. Principalmente mi occupo di un programma extrascolastico che offre una preparazione in vista del college. Non è proprio una cosa che porta soldi, ecco. Peròè quello che so fare, dunque… lo faccio.»

«Sono cinque anni che lo fa» aggiunge Laine. «Ehi, Reed, dille quanti ragazzini hai mandato al college in cinque anni!»

«Sei» rispondo con orgoglio.

«Sì, quasi uno all’anno… dopo cinque anni!» dice Laine, con il suo solito tono sprezzante per il modo in cui conduco la mia vita.

«In realtà, quest’anno sono due.»

«Due studenti interi in un anno, eh?»

Mi giro verso Jules. «È che prima che istituissi questo programma, soltanto una persona finiva per andare al college, qui. Quindi questi numeri sono parecchio grandi, per il posto.»

«No, è una cosa meravigliosa» mi assicura Jules, con tono sincero.

Io le sorrido grato. «Grazie mille» le rispondo, quasi sentendo il bisogno di lasciare andare qualche lacrima.

Ai tempi del college, io e Jules non avevamo mai condiviso delle profonde chiacchierate. Io l’ho sempre presa per una ragazza più da feste e divertimenti che per una persona che sa apprezzare le cose semplici della vita. Volendo considerare la persona con cui ha deciso di spendere il resto della sua vita, forse non è cambiata poi così tanto da allora.